Livia Turco non vuole Cognetti ed è sollevazione "bipartisan"

di Carlo Buffoli

E' una sollevazione ‘bipartisan' quella contro Livia Turco e a favore del prof. Francesco Cognetti, oncologo di fama internazionale e in aria di sostituzione, per scelta del ministro, alla direzione scientifica dell'Istituto Regina Elena di Roma. Uno spoil system apparso misterioso non solo agli addetti ai lavori – che non hanno fatto mancare attestati di stima al noto oncologo anche attraverso gli organi di stampa – ma soprattutto alle molte migliaia di pazienti che all'IRE hanno trovato cure appropriate e servizi eccellenti.

La prima voce a sollevarsi è stata quella del presidente dell'Eurispes, Gian Maria Fara. A seguire Andrea Ronchi (AN), il ministro Antonio Di Pietro (IDV), Daniele Capezzone (RNP), Gianni Pagliarini (PDCI), Mario Baccini (UDC). A queste se ne sono aggiunte altre di colleghi che hanno conosciuto il prof. Cognetti nella sua attività di medico: Emilio Bajetta (presidente dell'AIOM, Associazione Italiana Oncologia Medica), Franco Cavalli (presidente dell'UICC, Unione internazionale contro il cancro), Roberto Labianca (presidente della Fondazione Aiom).

Al momento il ministro tace, ma è chiaro che non potrà farlo per molto. Per capire meglio questa italica vicenda abbiamo deciso di farvi conoscere più da vicino il prof. Cognetti e di ripercorrere in breve con lui questi anni di esperienza straordinaria.

Professore, come si sente in questo momento?

Mi sento come un tecnico che ha sempre operato nelle Istituzioni mettendoci tutto l'impegno umano e professionale. Mi auguro di poterlo continuare a fare.

Ha parlato con il ministro, ha avuto almeno una spiegazione parziale?

Ho avuto un colloquio assai franco, a volte duro, con il ministro. Mi ha spiegato di aver orientato la sua scelta verso una donna che avesse pari titoli. Ma non voglio entrare nel merito perché non sarebbe corretto in questa fase. Ho però cercato di fornire al Ministro Turco elementi conoscitivi che in quel momento non aveva. Spero quindi che riveda la sua decisione. Ciò che conta è che l'Istituto Regina Elena venga diretto da una persona con grande esperienza e anni di rapporto diretto con gli ammalati. Il nostro Istituto, infatti, si occupa di ricerca ma è anche un ospedale, qui ci sono migliaia di pazienti che hanno bisogno di assistenza. Ritengo sia appropriato che a dirigere questi istituti sia un clinico o un medico che capisca al meglio i problemi degli ammalati.

È contento di questa ‘trasversalità' di appoggi? È la dimostrazione che la ricerca non ha colore politico?

Sono onorato e commosso delle testimonianze ricevute in queste ore. Sia dalla politica che da molti colleghi medici. Dimostrano che non ho mai fatto politica, che sono un medico, uno scienziato, a disposizione delle Istituzioni e degli ammalati. Non posso far altro che ribadire la volontà di operare all'Istituto Regina Elena nel quale ho vissuto tutta la mia carriera di oncologo. Mi auguro che il Ministro tenga conto dei risultati raggiunti in questi anni in termini di produzione scientifica, qualità dell'assistenza e autorevolezza dell'Istituto in ambito internazionale.

Ecco, appunto. Diciamo la verità: come ha trovato l'IRE quando è arrivato?

Questo non tocca a me dirlo. Però sicuramente i numeri parlano chiaro: tutti i parametri di valutazione sono in fortissimo aumento. Un merito non solo mio ma della comunità dei ricercatori dell'Istituto, che in questi 5 anni hanno lavorato bene e compiuto un piccolo, grande capolavoro. Per questo non mi sembra corretto che una decisione politica possa stravolgere improvvisamente l'iter di attività programmate da anni e con un trend assolutamente positivo.

Qual è stata quindi la marcia in più dell'IRE durante la sua direzione?

In questi anni sono state avviate collaborazioni internazionali straordinarie con i maggiori centri di ricerca del mondo, presso i quali abbiamo inviato molti dei nostri giovani medici e ricercatori. Da queste esperienze sono tornati completamente trasformati, prefigurando addirittura la possibilità di creare una nuova figura di professionisti, cioè clinici e medici che svolgono medicina traslazionale. È una parola difficile che spiega un concetto molto semplice: chi si ammala di tumore non può aspettare i risultati della ricerca di base, destinati ad arrivare nell'arco di anni. Ha diritto a ricevere il prima possibile il trattamento antitumorale più adatto e l'assistenza oncologica più completa. La medicina traslazionale consente il trasferimento diretto e l'applicazione immediata dei risultati della ricerca clinica e medica al paziente. Naturalmente questo non basta. Alla medicina traslazionale abbiamo aggiunto l'approccio mutidisciplinare al paziente.

Ci può spiegare meglio?

All'IRE ogni reparto ha unificato competenze appartenenti a diversi settori diagnostico-terapeutici. Questa scelta assicura la continuità di cura lungo tutto l'arco della malattia, fino all'assistenza domiciliare e alla convenzione con l'hospice per le cure palliative. Credo infatti che l'eccellenza della clinica e della ricerca da sole non bastino e che per fornire benefici reali a ogni persona colpita da tumore, e alla sua famiglia, la qualità debba sempre viaggiare insieme a un'attenzione e a una cura globali.

Lei è sempre stato in prima linea nel tentativo di arginare la fuga dei cervelli. Anzi, proprio durante la sua direzione molti sono tornati e hanno scelto proprio il Regina Elena per lavorare. Come sta andando il ‘reclutamento' dall'estero?

L'IRE in questi anni ha lavorato benissimo, come testimoniano ricercatori che dopo esperienze nelle più prestigiose strutture estere sono tornati in Italia scegliendo il nostro Istituto. Abbiamo fornito loro un obiettivo preciso, naturalmente: studiare i meccanismi genetici alla base dei tumori e mettere a punto le cure del futuro. Una sfida mondiale, alla quale l'Italia si prepara a partecipare con il Rome Oncogenic Centre (ROC) una struttura voluta proprio dal Regina Elena. Il ROC di Roma è, insieme a quello di Milano, il primo esempio della nuova rete della ricerca italiana in questo settore. Sono sicuro che le nostre Istituzioni sapranno supportare adeguatamente questo progetto. Si tratta infatti di consentire, a quanti lo chiedono, di poter fare ricerca d'eccellenza restando in Italia per sviluppare un settore, quello della biomedicina, strategico per lo sviluppo futuro del nostro Paese.

Quali i futuri progetti dell'IRE. O per scaramanzia, quali sarebbero se rimanesse?

Il programma del futuro, costruito negli anni insieme ai miei collaboratori, riguarda la biologia molecolare applicata all'oncologia. È molto ambizioso e era garantito da un importante finanziamento di 20 milioni di euro. Ora tutto si è fermato e dobbiamo ripartire da zero. Speriamo di riuscire comunque ad utilizzare almeno una parte di quei finanziamenti, affiancando risorse che possono arrivare anche dal privato, da amici e da quei numerosi sostenitori che hanno sempre aiutato il nostro Istituto.