"L’opinione" giovedì 24 aprile 2003

Mezzogiorno: ultimo treno

di Fiorenzo Grollino

L’Associazione per il Progresso del Mezzogiorno (Aprom) ha pubblicato di recente un "Rapporto sulla evoluzione e struttura dell’economia meridionale dal 1995 al 2002", evidenziando che se il trend attuale verrà riconfermato "ci vorranno 50 anni per fare una sola Italia". Ciò significa che il divario economico tra Nord e Sud è "abissale".

Il presidente dell’Aprom, oltre che della Confcommercio, Sergio Billè, analizzando le difficoltà che ostacolano la crescita nel Sud ha posto l’accento sulla gravità del gap infrastrutturale, che è intorno al 65% rispetto al Nord, quindi "o il problema si risolve entro pochi anni o il Mezzogiorno è destinato a perdere tutti i treni". Oggi tra Nord e Sud, aggiunge Billè, vi sono "abissali carenze nel sistema viario, ferroviario, portuale e quelle altrettanto vistose all’interno dei sistemi urbani, mancanza di infrastrutture anche nel settore dell’energia elettrica. Basti pensare che oggi se va in tilt una centrale elettrica del Lazio si può avere un completo balck-out in regioni come la Calabria e la Campania".

Da questo rapporto emerge ancora che a rendere difficile la vita delle imprese è la pressione delle organizzazioni criminali, che peraltro scoraggiano gli imprenditori ad investire nel Sud.

Un altro dato, che il rapporto sottolinea, è che il Sud consuma più di quanto produce, spostando così ricchezza verso altre regioni e paesi sia pure in misura non eccessiva, perché il divario della spesa tra il Sud ed il Nord è abbastanza consistente: circa 4.500 euro annui contro i 14.000 del Centro-nord. E così il tasso di disoccupazione si aggira intorno al 21% contro il 5,7% del Nord, per non parlare del tasso di disoccupazione giovanile (età 15-24 anni) che è del 55%, il che accentua il flusso migratorio verso il Nord.

Dalla Calabria in particolare negli ultimi 5 anni sono partiti ben 30.000 abitanti. In questo contesto il governo, spiega il ministro delle attività produttive Antonio Marzano, è impegnato con ben tre strategie per lo sviluppo del sistema imprenditoriale meridionale: una per la competitività, una per l’attrazione degli investimenti e un’altra per la diversificazione. A questo punto bisogna solo sperare che queste tre strategie funzionino, anche se molti sono i dubbi al riguardo. In particolare per quanto riguarda l’attrazione degli investimenti, perché, nonostante tutti gli incentivi dei POR delle regioni Obiettivo 1, non se ne sono visti per diverse ragioni, la prima fra tutte, come si è detto, la criminalità che è padrona del campo.

Tutto questo accade in una situazione finanziaria ottimale con un imponente flusso di fondi strutturali verso le regioni dell’Obiettivo 1, immaginiamo cosa accadrà con l’allargamento, quando i dieci nuovi paesi, che nel vertice europeo di Atene del 17 - 18 aprile scorso hanno firmato i trattati di adesione, entreranno nella Unione europea con le loro economie disastrate ed il loro carico di sottosviluppo e di disoccupazione.

Le prospettive non sono incoraggianti né per le regioni che, come la Basilicata e la Sardegna, usciranno dall’Obiettivo 1, avendo un Pil pro-capite superiore al 75% della media comunitaria, né per quelle che rimarranno, perché saranno i nuovi paesi, con quasi tutte le loro regioni in ritardo di sviluppo, ad assorbire la maggior parte dei fondi.

Ciò è reso possibile dal fatto che questi nuovi Paesi hanno allo stato un Pil di circa 30 punti in meno rispetto a quello medio europeo. Le stesse regioni che usciranno dal Pil con il prossimo Quadro Comunitario di Sostegno: la gran parte della Spagna e del Portogallo, oltre alle due regioni italiane, hanno comunque bisogno di aiuti, perché la loro uscita non potrà che essere morbida, non avendo ancora la piena efficienza economica e finanziaria, che un evento siffatto richiede.

Va da sé che l’entrata nell’Unione di questi dieci Paesi comporterà una diminuzione delle risorse destinate alle Regioni dell’Obiettivo 1 del Mezzogiorno d’Italia. L’ultimo Quadro Comunitario di Sostegno ha assegnato 51 miliardi circa di euro al nostro Mezzogiorno (tra risorse nazionali, regionali e fondi strutturali), è impossibile che nel prossimo Q.C.S. post 2006 verrà confermata alle quattro regioni in ritardo di sviluppo (Campania, Puglia, Calabria e Sicilia) la stessa somma, sulla quale deve essere compreso il sostegno transitorio a Basilicata e Sardegna. Si può già immaginare la lotta che ci sarà nel 2007 per accaparrarsi, ogni paese, la fetta più consistente di fondi strutturali, e le regioni dei paesi dell’Europa centro-orientale, che sono le più povere nel contesto dell’Ue, saranno le più scatenate nella corsa ai fondi.

L’auspicio è che verrà aumentato lo stazionamento complessivo di questi fondi, altrimenti è più che evidente che a subire il peso dell’allargamento saranno proprio le regioni più deboli dell’attuale Ue. È questo il grande rischio che corrono le nostre regioni del Sud ancora sottosviluppate, anche perché l’asse dell’Unione, con l’allargamento, si sposterà geograficamente ad Est, mentre il Sud dell’Europa potrebbe rimanere non solo isolato, ma addirittura subire tutte le conseguenze negative, in una situazione che non è esagerato definire epocale.

Per questo, quando si dice che bisogna spendere per intero le ingenti disponibilità finanziarie dell’attuale Quadro Comunitario di Sostegno, ottimizzando la spesa, si afferma una grande verità, perché questa è "l’ultima grande occasione" per il nostro Mezzogiorno.