Forlì/Convegno "Omaggio a Spallicci"

"Spallicci, gli eredi e l'eredità"

Testo dell’intervento del segretario regionale del Pri Widmer Valbonesi

L’on. Stefano Servadei, essendosi auto proclamato erede del pensiero spallicciano, ritiene di detenere il monopolio del ricordo e delle celebrazioni di Aldo Spallicci e reagisce sempre infastidito a chi, come il PRI, avendolo da sempre fatto, ne rivendica invece l’eredità storica naturale.

Naturalmente, se si utilizzano dei falsi storici o si citano documenti parziali o peggio ancora se si vuole annullare la propria storia personale, allora si può anche impossessarsi dell’eredità altrui: noi però dimostreremo coi documenti e con la storia vera che chi ha contrastato i princìpi e le battaglie politiche di Spallicci quando lui era in vita non ha il diritto alla sua morte di appropriarsene.

I fatti: l’on. Servadei dice: "Mi fa piacere che i dirigenti forlivesi del PRI, dopo trent’anni di silenzi, si accingano a ricordare Aldo Spallicci, mazziniano, antifascista, poeta patriota, parlamentare il quale, fino al 1963, militò attivamente e con prestigio nelle loro file".

All’indomani della morte di Aldo Spallicci il PRI forlivese fece un numero speciale del Pensiero Romagnolo che ne ricordò l’opera, tributando soprattutto con l’intervento di Icilio Missiroli l’omaggio che un grande repubblicano meritava, anche se era morto fuori dal PRI.

La Consociazione Forlivese fece un manifesto il 15/03/1973 dove, dopo averne lodato ed illustrato la figura, concludeva: "I repubblicani che, anche nel dissenso, gli mantennero affetto ed ammirazione, piegano commossi le loro bandiere sul suo feretro".

Servadei ha innestato una polemica sul perché non fu dato il Salone Comunale per allestire la camera ardente. Nei giornali dell’epoca non c’è traccia di questa polemica: in tutti i casi è evidente la responsabilità politica di tale atto, che il PCI, il PSI e lo PSIUP si assunsero allora, non del PRI che era all’opposizione.

Perché on. Servadei, lei che era una figura dominante del PSI forlivese, influente nel governo di centro-sinistra a Roma e in quello di sinistra a Forlì, non pose allora in termini perentori il problema, a Roma e a Forlì, e lo solleva invece oggi, strumentalmente, quasi a far credere che ci fosse una complicità del PRI?

Nel 1983, in occasione del decennale della morte di Aldo Spallicci, la rivista repubblicana Archivio Trimestrale (il cui presidente del comitato scientifico era il sen. Giovanni Spadolini, segretario nazionale del PRI), pubblicò ben 55 pagine a suo ricordo, con firme di Pacciardi, ritornato nel PRI (evidentemente non se ne era andato, come del resto Spallicci, che se fosse stato vivo sarebbe tornato, perché il Pri avesse abbandonato gli ideali mazziniani e garibaldini), Giovanni Gatti, Roberto Balzani ed Elio Santarelli, tutti e tre dirigenti del PRI forlivese.

Tutti gli anni, in occasione dell’anniversario, Spallicci fu ricordato sul giornale di cui fu direttore e, in occasione del centenario della nascita, a Bertinoro fu celebrato dal prof. Balzani assieme all’amico Gatti.

Allora perché lei, on. Servadei, che si è accorto di Spallicci solo quando ha impugnato la bandiera del Mar o quando, assieme a Biasini, Zaccagnini, Boldrini e Guerzoni faceva parte del comitato scientifico che aveva il compito di curare l’Opera Omnia, dice che il PRI non si è mai occupato di celebrare il grande poeta repubblicano?

Veniamo alle ragioni dell’uscita dal Pri di Aldo Spallicci in Fede ed Avvenire.

Inizialmente Spallicci non aderisce al movimento di Pacciardi, che in Emilia-Romagna si chiamò Alleanza Repubblicana Autonoma e poi Nuova Repubblica, costituitasi nel febbraio del 1964. Tanto è vero che sul Pensiero Romagnolo del 29/02/1964 è pubblicata una lettera aperta di Riccioli Menotti che dice: "Mi leggono, caro, carissimo Spallicci, sulla stampa del partito, la bella notizia della tua decisione di non lasciare la nostra Tessera per assumerne una fasulla".

Aderisce invece più tardi a Fede ed Avvenire, e si presenta alle elezioni comunali nel novembre del 1964 come capolista.

Le ragioni del dissenso non erano gli ideali mazziniani e garibaldini, on. Servadei, ma la creazione del governo di centro-sinistra con la partecipazione del PSI, tanto è vero che l’accusa lanciata da chi abbandonava il PRI a chi vi rimaneva era quella di "filosocialisti", come è documentato nel Pensiero Romagnolo prima citato.

Quindi la ragione del dissenso, on. Servadei, era il suo PSI. Ancora una volta Spallicci politicamente non era in sintonia con lei, anzi era proprio all’opposto. Tuttavia il partito socialista forlivese, inspiegabilmente, si rivolse a coloro che se ne andavano in rottura col PRI per non volere i socialisti al governo, con un comunicato in ordine alle eventuali collaborazioni con rappresentanti della cosiddetta Alleanza Repubblicana Autonoma a livello locale.

Perché avvenne questo?

Perché i socialisti di Forlì, dove influente era l’on. Servadei, cercavano di modificare le alleanze imperniate sul PRI con Sindaci Repubblicani a favore dell’alternativa di sinistra. La strada era strumentalizzare i fuori usciti legittimandoli contro il PRI, e andare al commissario.

Fede e Avvenire prese un consigliere. Capolista era Spallicci, la propaganda allora era "Spallicci è la Romagna, Spallicci è la fede repubblicana, Spallicci è l’esempio". Ma, come dice un corsivo sul numero 47 del Pensiero Romagnolo del 28/11/1964, "La Romagna, la fede repubblicana, l’esempio, il capolista" risultò terzo nelle preferenze della graduatoria di lista.

In quell’occasione, all’indomani delle elezioni del 1964, il PRI forlivese, di fronte alla strumentalizzazione fatta della sua figura sia dall’interno di Fede e Avvenire sia da parte di forze politiche esterne, utilizzandone il prestigio ma umiliandolo con le preferenze, colse l’occasione per sottolineare la cosa ma anche per chiedere scusa, "Per avere, durante la campagna elettorale, usato alcune parole che colpivano con troppa acredine la figura del sen. Aldo Spallicci".

Fu usato anche dalla sua strategia politica, on.Servadei, che si realizzò poi con la venuta del commissario e l’avvento delle giunte di sinistra di cui il PSI faceva parte, quella giunta che non concesse il Salone Comunale alla morte di Spallicci.

Ma veniamo alla questione Romagna e all’azione di Spallicci alla Costituente. Egli interviene il 21/04/1947 sul problema della tutela della salute e la promozione dell’igiene, e il 7/05/1947 sull’art.33, dedicato alla protezione del lavoro della donna. Poi presenta il noto emendamento in favore della regione Romagna che ritira, in seguito all’adesione all’emendamento Targetti per poi affidarsi all’emendamento Mortati, cioè a quell’articolo aggiuntivo che consentiva, entro cinque anni dalla costituzione repubblicana, di poter provvedere alla modifica delle circoscrizioni regionali con legge costituzionale.

Non è la battaglia del Mar, on. Servadei: quando Spallicci si affida a questa possibilità sa che questo può avvenire nei cinque anni successivi e, amareggiato, in due articoli sul Pensiero Romagnolo del 1959 scrive: la regione Romagna non si è fatta per "lo scarso interesse dei romagnoli stessi". In polemica con quella sinistra che lei rappresentava, commentò: "problema che non interessa le masse" e polemizzò con le ragioni "politiche"di certi partiti (monarchici, liberali e democristiani), che temevano i socialcomunisti ed usavano gli argomenti dell’esercito regionale rosso e della polizia locale contrapposta a quella statale come la vera ragione del fallimento della regione Romagna.

Le ragioni politiche del centro destra attuale, che vuole dividere la regione Emilia-Romagna per cercare di governare una delle due.

Lei, on. Servadei, allora come si collocava in questo dibattito?

In Consiglio Comunale e Provinciale furono numerosi gli attacchi al PRI, accusato di aver abbandonato la concezione autonomistica "perché finito sotto il cappello dei preti". Lei sempre riceveva risposte sferzanti e puntuali da Missiroli o Natale Graziani, ma lei era sulla linea denunciata da Spallicci, "problema che non interessa le masse". Non c’è un solo atto nella sua carriera politica che testimoni, quando si poteva fare, la sua disponibilità verso la regione Romagna, diversamente agli interventi di Missiroli e di esponenti repubblicani dell’epoca come Arrigo Bazzocchi ed altri. Lei ne fa oggetto di azione politica quando, finita la sua carriera politica dentro al partito socialista, dove accetta persino di essere consigliere dell’odiata Emilia-Romagna dopo essere stato a lungo parlamentare, capisce che non ha più possibilità di essere eletto.

E naturalmente deve trasformare la romagnolità, la cultura della romagnolità di Spallicci, in battaglia istituzionale per la regione Romagna nel nome di Spallicci, quello Spallicci che sul piano della battaglia politica lei aveva a volte ignorato, a volte combattuto, a volte strumentalizzato.

Poi, occorre darle atto che lei ha ben utilizzato, senza storicizzarla e quindi enfatizzandola, la battaglia di Spallicci per la regione Romagna, come se fosse stata l’attività prevalente della sua vita. Però non è così.

Lei può fregiarsi del titolo di erede del pensiero spallicciano, ma lo può fare solo ad una condizione: che rinneghi tutta la sua militanza politica e i contenuti di quella militanza. Altrimenti renda omaggio alla figura dell’uomo, del poeta, dell’antifascista, del repubblicano, senza pretendere che chi era repubblicano nei principi e nei valori, chi subì l’arroganza dei grandi partiti di massa verso la costituzione di uno Stato Federale, con la regione Romagna possibile, e lo è tuttora, lo possa fare tranquillamente come lo ha fatto sempre in questi anni, senza subire i rimbrotti di chi invece ha combattuto questa prospettiva e oggi strumentalmente cerca di servirsene. Non glielo consentiremo on. Servadei, proprio in memoria di un grande uomo e della sua vita politica.