Tavola rotonda organizzata dal Nuovo Psi: "Riformismo/Riformismi-idee per una sinistra" presieduta dal direttore dell’Avanti Valter Lavitola con la partecipazione del segretario regionale del Nuovo Psi Guerini, del segretario regionale dello SDI Zanca, del segretario regionale del PRI Valbonesi, del vicepresidente della Regione Del Bono per la Margherita, e del rappresentante della segreteria regionale dei DS Degli Esposti. Intervento di Widmer Valbonesi (Pri) Ringrazio il Nuovo Psi per l’opportunità che ci viene data di confrontarci su di un tema importante di strategia politica ,uscendo un attimo dalle secche della tattica di schieramento che purtroppo ormai domina la scena del dibattito politico quotidiano. Questa vostra iniziativa dimostra che al di là degli schieramenti in cui ci si è collocati per ragioni storiche contingenti, occorre sempre preservare la capacità e la volontà di costruire, strategicamente, alleanze fatte di idee condivise, di valori di riferimento che si collegano alle proprie origini. Certo questo dibattito è in parte condizionato dall’essere in tempi di guerra e da come questa situazione si ripercuote sull’azione politica di ognuno dei partiti che rappresentiamo. Il tema è quello del riformismo e quindi cercherò di definire ciò che,secondo me, significa essere riformisti e perseguire contenuti riformatori. Il riformismo io credo sia innanzitutto un metodo di trasformazione continua , ma graduale, della società, quindi una cultura di governo dell’interesse generale e, che si esercita anche quando si svolge un ruolo di opposizione. In questo, essere riformisti o riformatori , significa correggere, continuamente, le storture del meccanismo di sviluppo del paese, attraverso l’attività di governo se si è al potere o attraverso una funzione di garanzia e di controllo verso l’interesse generale se si è all’opposizione. L’esatto opposto del massimalista che contesta, in attesa della rivoluzione, e del liberista o conservatore che si affidano al potere del mercato ,come elemento di regolazione dello sviluppo economico e sociale. Il risultato per i massimalisti e per i conservatori, poi, è lo stesso, perché in attesa della rivoluzione frutto delle contraddizioni del mercato ,si finisce per mantenere la spontaneità che non tutela l’interesse generale, ma sempre i più forti, e le zone più ricche. Quindi essere riformatori significa adeguare l’innovazione del meccanismo di sviluppo, preservando condizioni di giustizia sociale e di riequilibrio territoriale. In definitiva significa considerare la politica, i partiti ,attraverso l’attività di governo ,come gli strumenti di cambiamento della società e di indirizzo del meccanismo di sviluppo, verso forme di consumo individuale o sociale, e non solo delle sovrastrutture . Proviamo a chiederci adesso se la cultura di governo riformista trova nell’attuale sistema maggioritario la possibilità di esprimersi o se invece la caratteristica di contrapposizione per la conquista del potere, non finisca per essere condizionata e paralizzata dalla logica di coinvolgimento delle estreme, che possono far conquistare il potere ma non governare il Paese. Una prima considerazione da fare è che se questo è vero , ed è vero, questo sistema maggioritario di fatto è funzionale solo alle esigenze delle forze conservatrici da un lato e dall’altro a quelle delle estreme. I conservatori liberisti ritrovano una loro coerenza nella sostanziale paralisi dell’attività di governo, perché comunque, tutto ritorna allo spontaneismo dello sviluppo e al mercato e quindi ad un meccanismo che difende e conserva privilegi , ma anche l’estrema sinistra perché nell’ immobilismo della capacità riformatrice si difendono privilegi ed assistenzialismo, e dalle storture dello spontaneismo si traggono occasioni di movimentismo e di lotta politica. Lo stesso intervento sociale assistenziale e caritativo del mondo cattolico trova in questo sistema una sua capacità di alimentazione, mentre per un riformista repubblicano la solidarietà è associazionismo che aiuta a rimanere liberi, molte volte per costoro è carità che abitua a diventare servi ed assistiti. In tutto questo non c’è agibilità per una cultura di governo riformatrice perché la necessità di vincere, di "tagliare prima il traguardo" -come dice ROBERT DAHL- obbliga ad alleanze che poi impediscono attività riformatrici di governo. Rimuovere questo sistema maggioritario quindi è il primo problema per coloro che vogliano trovare un’agibilità politica di governo riformatrice e riformista. Anche all’opposizione in questo sistema non si esercitano ruoli di controllo rigoroso e di garanzia verso l’interesse generale perché finiscono per prevalere il movimentismo e la pratica delle aspettative crescenti o promesse elettoralistiche che poi favoriscono anche pratiche clientelari in chi governa; nella sfida a chi promette di più. Farò poi alcuni esempi di come si dovrebbe essere riformisti nel campo istituzionale , economico e sociale ma prima vorrei dire che anche sul terreno della politica estera e della coesistenza pacifica un riformista è diverso ed ha caratteristiche distintive da chi predica" la pace senza se e senza ma" o la pace come semplice valore come se, nel dichiararla come aspirazione, diventasse poi una condizione reale. La pace è sempre il frutto di equilibri, di accettazione di regole comuni, di rispetto dei valori di civiltà democratica e quindi la si può garantire stabilmente solo se si rimuovono le ragioni che portano a minarne le basi e non è possibile per un democratico riformista non fare prima una scelta di campo fra chi si batte per i valori di libertà e di democrazia e coloro che quei valori calpestano impedendo ai cittadini di essere liberi , torturandoli , eliminandoli fisicamente ed armandosi di strumenti di distruzione di massa; cioè creando le condizioni di alterazione della coesistenza pacifica. Una forza politica che non abbia la capacità di dividere chiaramente la sfera dei valori e delle aspirazioni, da quella della politica reale, intervenendo per tendere a quelli, ma governando e risolvendo le situazioni reali anche se richiedono l’uso della forza , rischia di consolidare regimi dispotici e condizioni di pericolo permanente per la coesistenza pacifica e la democrazia. Se si sceglie di stare con la democrazia e i valori occidentali, stabilmente, solidamente , senza "il richiamo della foresta" dell’anticapitalismo e quindi dell’antiamericanismo che la sinistra marxista ha nel proprio DNA, al pari della dottrina cattolica, allora ,c’è un argomentazione riformista da far valere nei confronti degli USA e dei suoi alleati, una ragione di polemica di una sinistra democratica che può invocare delibere dell’ONU, che può dire agli alleati che se si vuole condannare e disarmare Saddam per crimini di guerra e contro l’umanità occorre portarlo di fronte ai tribunali contro i crimini di guerra, ma bisogna poi che gli USA accettino i tribunali di guerra e li riconoscano. Si può dire che un paese leader di valori di civiltà occidentale di rispetto dei diritti umani e della tolleranza deve accettare le convenzioni internazionali sull’ambiente e rispettarle. Cioè esistono argomenti di confronto sul terreno dei valori occidentali che possono esaltare il ruolo di forze riformatrici se esse vogliono stare in campo con la loro identità e non accodarsi alla demagogia del movimentismo, del massimalismo o del moralismo religioso. Oggi non è così però perché la conquista del potere porta a fare ragioni di politica interna anche le grandi questioni di politica estera e questo non aiuta la credibilità di forze riformiste e riformatrici. Detto questo è evidente che io sto con gli USA e alleati e spero che la guerra finisca presto, che si possano ritessere i legami fra l’Europa politica e gli USA e dell’alleanza Atlantica e ridisegnare un ruolo dell’Onu che non sia però l’alibi in cui si coprono di fatto situazioni di immobilismo rispetto al terrorismo o alla violazione dei diritti umani , in assenza di un esercito mondiale che se ne occupi. Sinceramente non mi pare che la sinistra riformista esca bene da questa situazione si è fatta trascinare su di un crinale da dove il nostro paese non eserciterebbe nessun ruolo ne diplomatico , né di protagonista europeista ed occidentale, ma terzomondista e neutralista essendo collocato geopoliticamente in uno snodo fondamentale degli equilibri mondiali. Come può svilupparsi una politica riformista nell’attuale contingenza politica? Intanto facendo uno sforzo per capire che se la politica ,anziché confrontarsi su ipotesi di buon governo, continua ad occuparsi di congiure, di complotti antiberlusconi o comunisti, a seconda di chi parla, il destino del paese è chiaramente di declino. La politica deve ritornare ad occuparsi dei problemi veri, capendo gli scenari nuovi in cui i cittadini e le imprese sono chiamati a muoversi e che non sono più quelli delle dimensioni locali, nazionali, od europee ma sono quelli della globalizzazione e produrre delle scelte di governo conseguenti. Da questo punto di vista è sicuramente prioritario per un riformatore determinare condizioni permanenti di competitività del sistema paese sia a livello infrastrutturale, sia a livello della conoscenza e del sapere sia a livello istituzionale. Occorre comprendere che il nostro Paese nei prossimi cinque dieci anni o realizza un efficiente sistema infrastrutturale e della conoscenza, oppure rischia di diventare non l’ingresso sud dell’Europa nuova, ma il SUD dell’Europa marginale e bypassato al di là delle Alpi. Così come il sapere ,la conoscenza e la ricerca scientifica devono diventare dati permanenti delle politiche di sviluppo di un Paese rispetto alle quali non possono venir meno le risorse, per cui ,ad esempio, sarebbe sicuramente riformista, una proposta che indicasse nella media europea la quantità di risorse da destinare permanentemente alla ricerca scientifica, all’istruzione e alla formazione professionale. Tutto quello che è aggiuntivo in termini di risorse costituirebbe una sfida positiva tra chi investe nel sapere come risorsa strategica e chi invece ritiene di favorire , ad esempio lo stato assistenziale. Direi che la quota che eccede la media europea sarebbe individuabile nel tasso di credibilità riformatrice che si esprime, oltre naturalmente alla qualità del sapere che rimane una sfida continua di un riformista rispetto alla quantità livellatrice( come tutto sommato mi sembra di intravedere ad esempio nella riforma Bastico della Regione dove dietro lo slogan" non uno di meno" può annidarsi il pericolo del livellamento verso il basso e non un miglioramento qualitativo e il premio al merito). Il merito è un valore del riformismo moderno, anzi è la condizione per mantenere un riformismo; è il livellamento ciò che rende piatte, statiche ed incapaci di ammodernarsi le società. Esiste un riformismo istituzionale, quello che ha il coraggio di rimuovere la logica localistica e clientelare degli oltre 8000 comuni, molti di proporzioni assurde ,ma che "bruciano" risorse e creano burocrazie, che impediscono di programmare sistemi d’area secondo l’interesse generale , che frenano l’ammodernamento del paese, che scatenano aspettative campanilistiche, assistenziali, mai funzionali alla qualità del servizio, spesso elettoralistiche. Ma nessuno , destra o sinistra ha il coraggio di esprimere coraggiosamente una proposta di riforma, si parla di presidenzialismo, di premierato e ognuno cerca di disegnare le istituzioni a proprio vantaggio elettorale, l’opposto di quello che dovrebbero fare forze riformiste cioè difendere l’impalcatura Costituzionale dei valori, propagandando quel patriottismo costituzionale etico che ispira coi principi la Carta Costituzionale, ma che poi non trova rispondenza nella pratica da parte di chi avrebbe il dovere di ispirarvisi a cominciare dalla difesa del pluralismo, dell’autonomia della magistratura e dai valori della giustizia sociale. Nello stesso tempo dovrebbero scegliere un organizzazione dello Stato sufficientemente partecipativa ma efficiente e snella con pochi livelli e possibilmente non in perenne contrasto tra di loro come avviene oggi. C’è un riformismo sulla giustizia che va esercitato sempre contro chi la vuole utilizzare come strumento di lotta politica e chi la vuole imbrigliare , per garantirsi un ruolo al di sopra della legge che è incompatibile con le regole dello stato di diritto e della civiltà occidentale. Il rispetto delle leggi per noi repubblicani non è una limitazione della libertà, un’ interferenza come intendono i liberali, ma è la garanzia della libertà altrui ; quindi la violazione della legge va punita e la scontabilità della pena èil presupposto per garantire lo stato di diritto. Capisco che per un cattolico che crede nel perdono ,come espiazione del peccato, si possa ritenere che i condoni, gli indulti o le amnistie, siano normali pratiche che si trasferiscono dal piano delle coscienze a quello dei campi della politica, ma questo determina delle ingiustizie colossali , non abitua al senso del dovere, alla creazione di quella virtù civile che è l’unica che tiene in piedi solidamente le società, ed alimenta sfiducia dei cittadini verso l’organizzazione dello Stato. Quindi esiste un modo laico di essere riformisti , noi abbiamo un modo di rapportarci alla nostra coscienza che io reputo un po’ più solido, se non siamo coerenti coi nostri princìpi non abbiamo sconti o perdoni liberatòri , ma essa è sempre lì a ricordarcelo e a condizionarci, crediamo nella distinzione tra la sfera politica e la sfera della coscienza e per questo non siamo d’accordo con questa sottomissione alla Chiesa che destra e sinistra compiono per ragioni di politica spicciola, facendo pagare un ritardo di diritti civili , di libertà e di sviluppo al nostro Paese. Infine , vorrei spendere due parole sull’invito a creare un tavolo riformista che il segretario del nuovo Psi ha lanciato; se questo è un tavolo dove si discutono programmi e si confrontano idee ci interessa, ma se esso fosse, nella testa di qualcuno, la prefigurazione di un nuovo tentativo di ridurre ad uno le culture politiche all’interno di uno schema maggioritario noi siamo contrari, l’esperienza della cosa 2 e di FI che hanno queste velleità, dimostrano che non portano valore aggiunto, ma mortificano delle scuole di pensiero, rendendole piatte nella convenienza di schieramento , mentre le culture devono rimanere vitali confrontarsi alimentare il pluralismo , in questo sono valori permanenti positivi delle democrazie. L’Ulivo; che qui è stato evocato come parte di un sistema bipolare esiste ancora? Esisteva un Ulivo italiano, europeo e mondiale dove è finito? Blair e Clinton sono con Bush, Schroeder è con se stesso, i socialisti francesi sono con Chirac e LePEN accomunati da sentimenti antiamericani e anticapitalistici, in Italia Ingrao spera vinca Saddam, Cofferati e Berlinguer che la guerra duri ,perché così si dà una lezione agli Usa, Fassino che duri poco, ma comunque critico con gli Usa, la Margherita e lo Sdi che duri poco e vincano gli alleati, a destra Formigoni la pensa come Ingrao, riceve Tarik Aziz, Fini non parla perché si ricordano tutti del suo essere filo Saddam nella precedente guerra del Golfo, come Bossi, molto più legittima di questa, i cattolici di centro destra, come quelli di centrosinistra, stanno con l’Europa ma anche col Vaticano, Berlusconi che vorrebbe stare con gli USA non lo può dire più di tanto perché una parte di FI è contro , gli unici due convinti sostenitori degli USA sono La Malfa e De Michelis. Questa è la chiarezza che doveva introdurre il sistema maggioritario bipolare ? No questa è confusione che disorienta la popolazione , il 35% dei cittadini non va a votare e allora, per un riformista si impone un dovere , quello di non accettare supinamente con rassegnazione un sistema che produce tanti guasti alla democrazia del nostro paese, ma deve chiedersi questo sistema ha prodotto maggiore democrazia? No perché oggi non sono i cittadini a scegliere i loro rappresentanti direttamente, ma oligarchie ristrette, le rappresentanze non sono riferite a rapporti reali ma ad equilibri di interdizione e di potere, c’è maggiore sviluppo, c’è maggiore solidarietà e virtù civile? Io credo di poter dire di no e allora un riformista deve avere il coraggio di dire si cambia e si ricerca una terza via, non quella suggerita da Antony Giddens un po’più liberali dei socialisti e un po’ più socialisti dei liberali il tutto condito da una maggiore capacità di affrontare secondo i bisogni crescenti le aspettative della gente, in modo da non essere in difficoltà sui temi delle tasse, della sicurezza , del Welfare alzando il livello delle promesse. Questo è ciò che in questi anni si è verificato nel paese con questo sistema bipolare imperniato sugli equivoci (cosa 2 e FI) come sintesi delle culture riformiste e moderate, noi vogliamo una terza via e una terza forza che esprima la cultura di governo dell’interesse generale e per fare questo deve pensare ad un progetto di Paese dominato da questa idea della politica come sfida positiva capace di affrontare e risolvere i problemi del paese mantenendo vivo un pluralismo politico, culturale e sociale che è il vero valore aggiunto di una democrazia, riformista e virtuosa. |