La forma dei carciofi e il futuro dell'Europa

Cosa c'entra la consistenza dei pisellini e dei fagiolini con il futuro dell'Unione Europea? E in che modo la lunghezza dell'equatore dei carciofi può influire sul processo di armonizzazione comunitaria? E soprattutto, che cos'è l'equatore di un carciofo?Queste non sono domande oziose, ma semplici perplessità che possono venire a chi si trovi a leggere una direttiva o un regolamento europeo riguardante prodotti agricoli, beni di consumo o, più in generale, il settore del commercio. E' da tempo ormai che molti osservatori criticano aspramente questo genere di legislazione comunitaria lanciando strali contro un atteggiamento eccessivamente pedante da parte della Commissione, e secondo i più maligni ispirato ad un'ottica protezionistica.

In effetti a Bruxelles non sembrano aver avuto molta fortuna le opere di quegli studiosi secondo i quali il protezionismo è sempre e comunque una strategia perdente. O meglio, visto che appare difficile mettere in dubbio le competenze degli esperti economisti che lavorano per i molti e svariati uffici dell'Unione, sembra di ravvedere una precisa scelta di campo alla base anche delle norme più astruse.

In base a tale scelta nel corso degli anni la Commissione ha puntato tutto sulla difesa dei prodotti europei, venendo così a creare un grande mercato privo di frontiere al suo interno ma quasi del tutto impermeabile nei confronti dell'esterno; per far ciò si sono adottate politiche di sostegno economico talmente esasperate che al giorno d'oggi i contributi devoluti per il mantenimento di una mucca allevata in Bretagna sono superiori alla quota pro capite di aiuti umanitari versata a favore di un abitante del Terzo Mondo. E quando poi le merci europee oltrepassano i confini dell'Unione si trovano spesso, salvo rare eccezioni in determinati mercati di nicchia, a dover contrastare merci estere equivalenti e dotate di una ben maggiore competitività.

Si è dunque preferita la protezione dei prodotti comunitari a scapito della loro promozione in mercati stranieri, e di questo ne recano il segno inconfondibile le molteplici direttive e regolamenti di settore. A questo scenario va anche aggiunta l'attuale "forza" (tutta apparente e ben poco reale) dell'euro sulle piazze monetarie del mondo, che non aiuta certo le nostre esportazioni sia a livello nazionale che comunitario.

Il risultato finale è una politica commerciale che sembra perfettamente in grado di soddisfare nel breve periodo i bisogni economici di un agricoltore della Renania o di un allevatore delle Fiandre, ma che a lungo termine appare del tutto frammentaria e paurosamente inadeguata. Esattamente come sta capitando per molte delle altre politiche di settore decise a Bruxelles, tutte tese a rispondere agli interessi immediati di singoli gruppi sociali diventati ormai vere e proprie consorterie.

L'Europa che si sta creando, in conclusione, sa perfettamente quanto deve essere grande il guscio di una noce perché la si possa definire come tale, ma ha le idee molto confuse su come gestire il suo futuro e quello dei suoi cittadini da qui a dieci anni. Effettivamente, c'è qualcosa che non funziona.

Riccardo Masini, Fgr Roma