Intervento di Francesco Nucara durante la recente assemblea di Confcooperative. Riforma del mercato del lavoro e fine del fordismo/Serve una più incisiva adattabilità al panorama dell'economia globale: un cammino ineluttabile che non significa comunque minori tutele. La nuova normativa e gli scopi mutualistici Quando irrigidirsi negli ideologismi significa ignorare il corso di un processo epocale Intervento pronunziato durante l'assemblea di Confcooperative. Roma, 21 aprile 2004. di Francesco Nucara "Progettare per modernizzare" era stato l'imperativo categorico sul quale Marco Biagi aveva dapprima intessuto la sua attività scientifica e, successivamente, la sua concezione della politica legislativa: un principio informatore sorretto dalla speranza di una effettiva metamorfosi del mercato del lavoro, verso l'equità sociale almeno quanto verso una ritrovata funzionalità. Egli affermava che "per dare corpo a una riforma complessiva del diritto del lavoro italiano non sono certo le idee e la progettualità a mancare…(ma occorre) evitare fenomeni di destrutturazione e deregolamentazione strisciante del mercato del lavoro: fenomeni che, a loro volta, rappresentano al tempo stesso causa ed effetto di una fiorente economia sommersa di dimensioni addirittura due o tre volte superiori a quella presente negli altri paesi industrializzati". Ed allora solo attraverso le riforme - egli affermava - è possibile eludere questi rischi latenti nell'attuale sistema del mercato del lavoro ed amministrare il cambiamento in atto tanto nei rapporti economici quanto a livello sociale. L'obiettivo prioritario da raggiungere era, per Biagi, una condizione di maggiore trasparenza ed inclusività del mercato del lavoro da realizzare attraverso soluzioni tecniche concertate di volta in volta. Era ben presente, al suo sguardo di giurista e di ricercatore sociale, la necessità di sdoganare dalla rigidità formale del diritto ufficiale del lavoro un esercito di lavoratori irregolari e di collaboratori coordinati fittizi, adeguando il mercato italiano a quello europeo sulla scorta delle linee guida elaborate a livello comunitario nell'ambito della Strategia Europea per l'occupazione. L'idea portante della nuova epoca giuslavorista si articola, peraltro, su di un canone dell'economia d'impresa a sua volta irrinunciabile: quello dell'attuazione di una corretta competizione di qualità tra le imprese, competizione che deve escludere la deleteria concorrenza al ribasso sul costo del lavoro attivata dalle dinamiche della dilagante economia sommersa e che, al contempo, deve e può tutelare il lavoratore stesso inteso, finalmente, come capitale umano. Ecco nascere quel diritto delle risorse umane in grado di proiettare il sistema di relazioni industriali in una dimensione concretamente europea: l'Italia "non può conservare istituti o regole che non siano presenti in altri ordinamenti…occorre rivedere il nuovo mercato domestico alla luce degli assetti normativi e contrattuali esistenti altrove… Si tratta piuttosto di accogliere una nuova filosofia …volta a eliminare gli ostacoli alla competitività delle imprese e all'adeguamento del quadro legale al dato socio-economico, pur nel rispetto di una cornice di diritti sociali fondamentali". Questa ‘nuova filosofia' del mercato del lavoro Marco Biagi non l'avrebbe vista realizzata appieno: qualcuno avrebbe fatto tacere per sempre la sua fervida intelligenza prima che vedesse la luce il decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276, di attuazione della legge 14 febbraio 2003 n. 30, ma soltanto dopo per fortuna- che le idee della riforma fossero già avviate, perché non soltanto in gran parte già trasfuse nel Libro bianco del mercato del lavoro dell'ottobre del 2001, ma anche già attuate, come nel caso della legge di riforma del socio lavoratore di cooperativa della legge 3 aprile 2001, n. 142. In realtà, il senso della riforma ‘globale' del mercato del lavoro è oggi come è stato detto - l'abbattimento di una categoria monolitica ed egemone: il rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato. Se si volesse cogliere un tratto distintivo della nostra epoca, esso sarebbe certamente costituito dal progressivo, ineluttabile tramonto del logoro assetto dell'impresa fordista, nella quale è nato e si è sviluppato il tradizionale rapporto subordinato, e la sua sostituzione con una diversa e più moderna organizzazione imprenditoriale, cui corrispondono, ovviamente, nuovi modelli di organizzazione del lavoro. In un'epoca di piena globalizzazione (o addirittura, secondo alcuni, di post globalizzazione), la dimensione internazionale del mercato ha inevitabilmente esaltato la concorrenza imprenditoriale, facendo soprattutto del costo di produzione l'oggetto principale di una competitività talvolta crudele: di qui la necessità di modelli di occupazione volti a contrarre i costi e, dunque, flessibili, temporanei, idonei ad adattarsi velocemente a nuove esigenze produttive. D'altra parte, l'impresa "a rete", non più accentrata, ma distribuita per settori produttivi e geograficamente ‘regionalizzata'; il sempre maggiore ricorso a forme produttive alternative a quelle tradizionali (ed in forza delle quali le imprese, conservando il core business, cedono in appalto a terzi interi settori di attività, secondo una collaborazione produttiva non più interna, ma esterna all'impresa) sono altrettanti fenomeni di profondo mutamento dell'originaria struttura d'impresa e, conseguentemente, del lavoro d'impresa. D'altra parte e qui il discorso presenta variabili complesse - l'ideologia del libero mercato, che domina il modello di sviluppo disegnato fin dall'inizio degli anni '80 negli Stati Uniti e poi nei mercati occidentali, postula la crisi dell'impresa pubblica o, quantomeno, l'uso di essa quale strumento di governo dell'economia. Non è solo la progressiva privatizzazione imprenditoriale a dominare la scena, quanto l'inibizione, per i singoli Stati, a condizionare l'andamento del mercato con aiuti che possano configurarsi come "alterazione" del principio di libera concorrenza. Dal calcio alle grandi crisi dei colossi industriali, da Enron a Cirio, abbiamo tutti assistito al crepuscolo dell'assistenzialismo di Stato, abbiamo tutti faticosamente accettato l'idea che non fosse più possibile, nel momento della crisi, sovrapporre lo Stato al mercato. Tutto ciò delineato con una sintesi che non rende onore alla complessità del problema - ha determinato l'inevitabile metamorfosi del rapporto di lavoro. Il tradizionale apparato del rapporto di lavoro subordinato ed indeterminato, pur nell'innegabile funzione sociale di garanzia di stabilità che esso ha svolto e svolge, è sembrato progressivamente incompatibile con un apparato imprenditoriale volto a ‘difendersi' non soltanto dalle ‘Tigri d'oriente', ma dalle frequenti crisi finanziarie e dalle ‘bolle speculative' che lo hanno periodicamente caratterizzato. Sono così nati i "nuovi lavori" e, come ha acutamente rilevato Giuseppe Santoro - Passarelli, le nuove frontiere del diritto del lavoro sono, oggi, i diritti che - da questa variegata tipologia dei rapporti di lavoro - occorre selezionare per tutelare. Non esiste più un'unica tutela, perché non esiste più un unico mercato del lavoro, il monolite, insomma, del lavoro subordinato ed indeterminato: al suo posto, sono sorti e si sono affermati i contratti di formazione e lavoro, i contratti a tempo parziale, il contratto di lavoro interinale, i contratti di lavoro a tempo determinato. Soprattutto, si è affermata quella galassia - ancora largamente nebulosa ma in via di progressiva chiarificazione - rappresentata dalla ‘serie' di lavori autonomi delle cosiddette collaborazioni continuative e coordinate, il cui acronimo (Co.co.co.) pare ritmare, nella sua impronunciabilità, un fenomeno a diffusione endemica. Per non dire dello sviluppo del ‘terzo settore', dell'espansione del non profit, della variegatura, cioè, di quei servizi imprenditoriali che, certamente, hanno superato il tradizionale know how del lavoro subordinato. Non sto sostenendo, evidentemente, che questa evoluzione sommariamente descritta sia come direbbe Voltaire - il ‘migliore dei mondi possibili' nell'ambito dei rapporti di lavoro: sto solo evidenziando uno stato di cose, rispetto al quale mi pare ingenuo un atteggiamento di nostalgia del passato, almeno quanto sterile la difesa cieca degli assetti precedenti. Non si tratta di ‘rimpiangere' (e basta) la garanzia di stabilità che il vecchio modello di rapporto di lavoro subordinato offriva, quanto di capire come oggi sia possibile offrire analoga qualità di garanzia in un contesto profondamente mutato. In questo senso credo che le forme di lavoro associativo rappresentino la via di un futuro da poter percorrere: ed è questo il senso della mia presenza oggi tra voi. Perché è avvenuto che, nell'ambito del lavoro cooperativo, la normativa quale che sia il giudizio complessivo su di essa - ha certamente colmato un vuoto prima esistente, ammettendosi oggi ciò che costituisce la principale connotazione della legge n. 142 del 2001- che in capo al socio lavoratore, oltre ad un primo rapporto di tipo associativo, e in conseguenza di esso, si attivi un secondo rapporto, di lavoro, che può essere alternativamente di tipo subordinato, parasubordinato o autonomo. Nella stessa figura del socio lavoratore di cooperativa si cumulano, insomma, una variegatura di diritti ed obblighi: basti pensare, ad esempio, alla completa estensione (tramite l'art. 2 della legge) ai soci lavoratori subordinati del reticolo di garanzie costituito dallo Statuto dei lavoratori. Non intendo, ovviamente, scendere nel dettaglio. Voglio solo evidenziare che questa pluralità di prospettive del lavoro in cooperativa rappresenta un indizio di ciò che si diceva sopra: che, cioè, i modelli devono essere adattabili al mercato, ma che tale flessibilità non significa, necessariamente, perdita delle garanzie, minor tutela del lavoratore. La flessibilità è dettata dalle regole del mercato: occorre prendere atto della sua ineluttabilità e, senza inutili tentativi di ormeggi al passato, pensare a nuove flessibilità, a nuovi adattamenti delle garanzie del lavoratore. Di certo, anche la normativa sul lavoro in cooperativa è perfettibile, soprattutto in numerosi punti ancora oscuri: ma già l'avere concepito una figura che partecipa, per un verso, del ruolo di gestore dell'impresa sociale e, per altro verso, di quello di lavoratore per il raggiungimento dello scopo mutualistico, pare un segno di dinamismo non indifferente. E' fondamentale che in questa riflessione sul nuovo modello di ‘mercato del lavoro' nessuno si irrigidisca nell'ideologismo, negando il corso di un processo storico che non si arresta certo con l'ideologia, ma si governa con la ragione: secondo il metodo del dialogo sociale, suggerito in maniera convinta da chi ha sacrificato la vita per questa idea. Ho ascoltato con molto interesse la relazione del Presidente Massimo Stronati e ne ho apprezzato in modo particolare quei passi che riguardano l'attenzione che il mondo cooperativo riserva alle tematiche della sostenibilità ambientale. Negli ultimi anni l'atteggiamento della politica è cambiato rispetto a questi temi e l'ambiente non è più considerato un freno allo sviluppo bensì una risorsa. In questo senso grande importanza la cooperazione dovrebbe dare al sistema di qualità e alla certificazione ambientale Emas. Molte imprese ormai stanno adeguando i propri impianti allo scopo di ridurre non solo le emissioni inquinanti ma anche i costi di smaltimento. La Confcooperative si dovrebbe quindi attrezzare, perché nell'ambito dell'ambiente vi sono ampi spazi di intervento che potrebbero agevolare la nascita di imprese cooperative. Soprattutto nel campo della raccolta dei rifiuti, della tutela dei parchi, del monitoraggio delle risorse idriche, si potrebbe operare per la creazione di nuovi posti di lavoro. Infine una esortazione. La cooperazione è forte nelle regioni settentrionali. Occorre imprimere rapidamente una svolta affinché anche nel Mezzogiorno essa sia protagonista dello sviluppo economico. Questo dovrebbe rappresentare nel medio termine un obiettivo fondamentale della vostra organizzazione e ritengo che voi abbiate gli strumenti adeguati e la cultura necessaria per farlo. |