Contro l'arretratezza non servono le prediche

Si susseguono dall'Iraq notizie di violenze e di scontri, di sequestri e di massacri che contribuiscono a rendere difficili le decisioni da prendere e certamente favoriscono nell'opinione pubblica occidentale i più contrastanti sentimenti. In questa situazione c'è chi ritiene opportuno restare in Iraq, c'è chi invece pretende il ritiro immediato e senza condizioni.

È indubbio comunque che oggi l'obiettivo fondamentale da perseguire è quello di fare dell'Iraq un paese pacificato e civile, in cui il progresso economico e sociale non sia precluso alla popolazione a causa di fanatismi religiosi o bande di criminali. Allo stesso tempo non si può pensare di giungere a compromessi con le bande terroristiche: si deve essere intolleranti con gli intolleranti, secondo gli insegnamenti di Popper, e questo è tanto più evidente quanto la situazione sembra aggravarsi.

Allora non ci sono alternative: si deve rimanere in Iraq, allargando il più possibile la rosa di nazioni presenti sul territorio con propri contingenti, dando un'unica voce all'Europa, avvicinando le due sponde dell'Atlantico, mettendo da parte rancori e rivalità, senza tirare in ballo pretestuosamente quell'O.N.U. che, come da noi sostenuto da diverso tempo in precedenti articoli, va radicalmente rifondato. Inoltre è fondamentale aiutare le autorità locali a riacquistare credibilità, contribuire a creare rapporti di reciproco rispetto e pacifica convivenza ed evitare che il fondamentalismo e il fanatismo, per ora di pochi ma seducenti criminali, prenda piede nell'animo di tutta la popolazione.

Nel caso in cui invece la coalizione alleata si dovesse ritirare dall'Iraq, prima di una sua completa pacificazione, si lascerebbe il paese in uno stato di guerra civile, dalla quale gli iracheni usciranno ancora più poveri, ancora più ignoranti, ancora più oppressi. Infatti, anche se militarmente può apparire una sconfitta degli Stati Uniti e dei suoi alleati, in realtà gli sconfitti sarebbero altri: il popolo iracheno, il mondo arabo e in generale le generazioni future che nasceranno in quelle zone. Unici vincitori il terrorismo, il fanatismo violento di matrice religiosa, un modello di società chiusa destinata già al collasso. Lasceremmo il popolo iracheno, e anche gli altri popoli mediorientali, nella povertà per chissà quanti altri secoli, senza una speranza, senza che si ponga fine alle oppressioni, alle discriminazioni, alle intolleranze, al fanatismo.

Insomma, tutto rimarrà come è sempre stato. Lo stato di "arretratezza" che oggettivamente contraddistingue il loro modello sociale continuerà a reggersi senza che i governanti, non solo iracheni ma anche degli altri paesi vicini, siano "costretti" a riconoscere al proprio popolo i diritti civili e politici. La loro ricchezza economica, saldamente nelle mani di pochissimi, continuerà a derivare dallo sfruttamento delle risorse petrolifere, fino ad esaurimento delle stesse o finché il mondo occidentale non troverà fonti energetiche alternative. A quel punto anche quest'ultima innegabile attrattiva cesserà e per molti anche solo porsi la domanda "Morire per Bagdad?" avrà poco senso.

Noi ce ne torneremmo a casa, nel nostro bel mondo imperfetto ma democratico e libero, e continueremmo la nostra vita di sempre mentre in quelle zone la vita, come sempre, avrà un valore relativo. Ma di più, obbediremmo ai terroristi nella vile speranza che così facendo si riesca a scongiurare il rischio di altri attentati. Perderemmo la preziosa opportunità di "contaminare" un po' la loro civiltà con la nostra e l'altrettanto preziosa opportunità di arricchire la nostra civiltà "contaminandola" un po' con la loro.

In questo quadro non vi è dubbio che si possa, e debba, contestare il metodo adoperato dall'amministrazione Bush, spinta da diverse motivazioni rivelatesi poi, è onesto ammetterlo, poco concrete. Ma anche quanti erano ciecamente per il "no alla guerra, senza se e senza ma" e che ora sono per il ritiro incondizionato debbono compiere un'autocritica e ammettere l'importanza della presenza in Iraq.

Per compiere un passo decisivo nella sconfitta del fondamentalismo, e del terrorismo, che ne è una derivazione, bisogna che, prima di ritirarsi, l'Iraq sia pacificato e dotato di regole democratiche rispettate e riconosciute da tutti. Per far questo è importante far capire alla popolazione che vi sono diversi modi per uscire dalla loro plurisecolare condizione di bisogno e di arretratezza, ma questi non passano di certo per le farneticanti prediche di sedicenti capi religiosi che inneggiano alla guerra santa.

Giovanni Postorino Consigliere nazionale Pri

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