Cessione delle quote Mediaset/Per la sinistra si starebbe creando un danno al Paese

Lettura viziata di un'operazione imprenditoriale

di Mauro Aparo

E' davvero surreale come il confronto politico italiano si vada impoverendo di giorno in giorno: sulla cessione di una quota di Mediaset, il coro della sinistra è pressoché unanime. Eccezion fatta per la posizione di Vincenzo Vita - che di queste cose si intende davvero, e la cui onestà intellettuale non viene offuscata dal calcolo politico - le dichiarazioni sono di quelle che suscitano più di una perplessità. Per Bertinotti Fininvest è un campione nazionale che va difeso, per altri la vendita è fatta e Rupert Murdoch è l'acquirente finale, per D'Alema Fininvest resta un patrimonio del nostro Paese: lui sì che se ne intende .

Dopo anni di denuncia del conflitto d'interessi, accade l'incredibile: Berlusconi diviene l'imprenditore italiano di grande successo al quale va chiesto di far restare italiana la propria azienda. Questa è la sinistra che dovrebbe governare l'Italia? A prescindere dal fatto che la cessione della quota di cui si scrive non intacca in alcun modo il controllo dell'azienda e dei propri processi di gestione; che piuttosto tale cessione consente di ottenere risorse dal mercato con le quali consolidare eventuali strategie di investimento o diversificazione; che tale pratica è assolutamente consueta in tutti i mondi economici che sappiano restare vitali; a prescindere da tutto ciò, non si comprende - se non nella logica dell'infantile "tutti contro Berlusconi" - una tale coerenza di posizioni.

Resta piuttosto il dubbio che si tratti di una manovra anticipata e concertata per schierarsi, nell'imminenza del domani, dalla parte della difesa del presunto interesse pubblico, allorché si dovesse tornare a parlare di privatizzazioni. Non vorremmo che ancora una volta si montasse una sorta di set cinematografico dove le comparse, assieme agli attori e ai deuteragonisti della modernità presunta, ricacciassero indietro lo sforzo di diffondere una cultura dell'impresa che francamente ci appare davvero da aggiornare. C'è da chiedersi quante aziende italiane possano o sappiano rivolgersi al mercato internazionale senza che - come nei più tristi casi recenti - sia soltanto il modo per falsificare delle ricevute bancarie. Dove era la sinistra, dove è la sinistra, sulle questioni di fondo dell'economia italiana? Forse fa più effetto un titolo o una dichiarazione attorno alla Fininvest: però non vorremmo che domani tutto questo si trasformasse in quel piangersi addosso, quasi che un destino cinico e baro abbia colpito il nostro Bel Paese. Non si tratta di difendere l'italianità ma di spingere perché si torni ad investire, si torni a reinvestire gli utili d'impresa, si dia un sistema finanziario che non si limiti alla pura intermediazione, tipico della gran parte del sistema bancario italiano. Chieda la sinistra strumenti di " venture capital", si chieda che Sviluppo Italia non sia un Inviluppo Italia e che nel Sud si investa, che non si debbano attendere anni per un finanziamento, qualora esso sia sostenuto da un progetto sensato.

L'Italia ha bisogno di risorse, ma ha soprattutto bisogno che vengano spese bene, che i tempi dell'amministrazione siano più brevi. L'Italia ha bisogno di mille Berlusconi e di una Confindustria che esprima un proprio ruolo che non sia di pantomima. Si guardi al rinnovato ruolo dell'Ice, al nuovo ruolo impresso alle nostre ambasciate, si guardi a quanto finora realizzato e ci si chieda, piuttosto, se difendere l'italianità delle imprese - peraltro non lesa dalla cessione annunciata di Fininvest - non sia intrinsecamente una cosa ridicola e non sia invece più giusto riconoscere a questo governo di avere avviato riforme che richiedono il tempo non di una, ma almeno due legislature.

Se la sinistra non ha compreso che l'Italia deve semmai impegnarsi a partecipare con diversa grinta ai processi di internazionalizzazione, è meglio che il risultato delle amministrative non si replichi mai nelle elezioni politiche. E' davvero malinconico constatare come si possa dare una lettura così approssimativa, se non addirittura sbagliata, ad un fatto d'impresa che in fondo può avere conseguenze sull'immagine del presidente del Consiglio, ma certo, nella sostanza, lo rende ancor più un imprenditore davvero avveduto, e forse un politico più accorto di quel che la sinistra ritiene egli sia.

La televisione è un'impresa che più di ogni altra viene giudicata dal mercato, dal suo pubblico: se Berlusconi davvero fosse un monopolista illiberale, difficilmente dall'alto della regia dei propri studi avrebbe perduto consensi Forza Italia. Ma domani magari si dirà, allorché vincesse le elezioni, che la sconfitta alle amministrative altro non fu che un'abile manovra mediatico televisiva, realizzata con il concorso del magnate Murdoch, per dimostrare l'estraneità del presidente alle televisioni.

Questo Paese dia di sé una immagine più seria, concentri le proprie risorse in alcuni settori strategici, torni a produrre energia in modo più economico e, soprattutto, torni a credere in se stesso. Pensare che vendendo una quota di Fininvest si intacchi il patrimonio dell'Italia, è davvero fuorviante, surreale, e poco serio.