Innovazione tecnologica come fattore di sviluppo per le PMI in Italia Contributo per il Consiglio Nazionale dell'08 marzo 2003 di Corrado De Rinaldis Saponaro e Marco Milanese Nel corso degli ultimi decenni la globalizzazione dei mercati ha profondamente alterato lo scenario macroeconomico italiano e mondiale in cui le piccole e medie imprese sono chiamate a giocare un ruolo d'importanza fondamentale. Nel villaggio globale la libera concorrenza in un libero mercato, nei prossimi anni, potrà produrre forti disequilibri fra imprese localizzate nei Paesi industrializzati, in cui il costo del lavoro spesso incide profondamente su quello del prodotto finito, ed imprese situate nei Paesi in via di sviluppo, in cui c'è abbondanza di manodopera a basso costo: la dislocazione geografica di un'impresa potrà divenire, a parità di know how e tecnologie, fattore chiave di crescita e sviluppo o viceversa di declino. In tale scenario l'innovazione tecnologica è divenuta e lo sarà sempre più, elemento cardine di sviluppo in tutti i settori dell'economia. In Italia, la spesa per la ricerca, secondo i dati ISTAT ed EUROSTAT, aggiornati all'anno 1999 è risultata pari a 12.638 milioni di euro, equivalenti all'1,1% del PIL. Questo dato testimonia il ritardo del nostro paese rispetto non solo al Giappone e agli Stati Uniti (che presentano percentuali pari rispettivamente al 3% e al 2,6%) ma anche rispetto ai paesi dell'UE, essendo circa la metà di quello medio europeo (2%). Facendo riferimento al rapporto comunitario sugli aiuti di Stato, nel periodo 1997 – 1999 in Italia è stato destinato alla ricerca il 2% circa del volume complessivo degli aiuti erogati. Ciò a fronte di una media UE pari al 4,3% e di quote significativamente più elevate per Francia (6,6%) e Germania (4,6). I principali strumenti previsti dal legislatore italiano per il sostegno alle attività di R&S, sono il FIT (Fondo per l'Innovazione Tecnologica) istituito dalla legge 46/82 e riformato dalla direttiva ministeriale del 16 gennaio 2001, ed il FAR (Fondo Agevolazioni Ricerca) che, introdotto dalla legge 1089/68, è stato successivamente rifinanziato dalla legge 46 e da essa disciplinato nell'arco degli ultimi vent'anni, fino all'approvazione del D.Lgs 297/99 e del relativo decreto di attuazione (DM 8 agosto 2000, n. 593). La differenza sostanziale fra questi due strumenti di sostegno alla ricerca risiede nella distribuzione percentuale fra attività di ricerca industriale ed attività di sviluppo precompetitivo. Le prime sono svolte al fine di ottenere elementi di carattere scientifico e/o ingegneristico necessari ad avviare le eventuali e successive fasi di sviluppo precompetitivo. In queste ultime le esperienze maturate divengono strumento essenziale alla realizzazione del prodotto finito, sia pure in fase prototipale. L'art. 2 del D.Lgs. 297/99, precisa sulla base delle vigenti definizioni comunitarie in materia, che il sostegno accordato alle imprese dal MIUR riguarda le "attività di ricerca industriale, eventualmente estese a non preponderanti attività di sviluppo precompetitivo, purché necessarie alla validazione dei risultati della fase precedente". L'ambito di intervento del Ministero della Ricerca viene pertanto chiaramente distinto rispetto alla sfera di competenza del Ministero delle Attività produttive, che dalla recente riforma del proprio Fondo per l'Innovazione Tecnologica, attuata con Direttiva Ministeriale del 16 gennaio 2001, viene collocata nelle "attività di prevalente sviluppo precompetitivo". Questi strumenti agevolativi hanno portato, negli anni trascorsi, forti squilibri al sistema della ricerca italiana svolta in azienda. Secondo la relazione sugli interventi di sostegno alle attività economiche e produttive pubblicata nel giugno 2002 dal Ministero delle Attività produttive d'intesa con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, se si considera l'attività di R&S svolta in Italia dalle imprese negli ultimi anni, si può osservare come la gran parte della spesa sia stata sostenuta da aziende di grandi dimensioni: le imprese con più di 500 addetti hanno infatti determinato oltre i 75% di tale attività di ricerca. Le imprese con un numero di addetti compreso tra 250 e 500 hanno assorbito circa il 10% così come quelle tra 100 e 250. Il residuo 5% è stato attivato da imprese fino a 100 addetti. Se si tiene conto della particolare composizione del sistema delle imprese in Italia, sotto il profilo dimensionale, la situazione di ritardo sul piano internazionale, in cui versa il nostro Paese in tema di attività di ricerca, appare in tutta la sua gravità. In Italia infatti le imprese con meno di 10 addetti rappresentano il 95% del totale; in tali imprese è occupato circa il 50% degli addetti. La dimensione media delle imprese è pari a 3,6 addetti (nell'industria è pari a 8,6 contro 15 nella media europea). Ciò lascia chiaramente intendere che la quasi totalità delle imprese italiane non è riuscita ad accedere ai finanziamenti destinati alla ricerca per l'innovazione di prodotto/processo: il 95% delle imprese ha attivato solo il 5% delle risorse finanziarie disponibili. Ulteriori squilibri sono stati registrati nella distribuzione territoriale della spesa per R&S con una significativa concentrazione a vantaggio delle regioni del Nord (75%) e del Centro (17%). Si tratta di uno squilibrio territoriale ancora più marcato di quello registrato per il PIL. Le ragioni che hanno condotto a tali disequilibri sono molteplici, ma da ricercare principalmente nella difficoltà per le PMI a disporre del know-how necessario alla redazione ed allo sviluppo di progetti di ricerca. Si consideri che l'innovazione tecnologica, per un'impresa che decida di avviare un progetto di R&S, può risultare d'avanguardia, nel caso in cui la ricerca miri a sviluppare un prodotto/processo di assoluta innovatività in campo mondiale o di allineamento a tecnologie di processo o standard qualitativi di prodotto già sviluppati in altre parti del mondo, ma ancora assenti sul territorio nazionale. Nelle fasi preliminari alla stesura di un progetto di ricerca è perciò essenziale che l'impresa esegua una foto dettagliata delle attività di ricerca industriale già effettuate in altre parti d'Italia e del mondo al fine di inquadrare con esattezza l'intervento ed evitare di presentare proposte, già ampiamente sviluppate da altre aziende e che non produrrebbero alcun vantaggio competitivo. Nelle fasi di sviluppo del progetto è poi importante che l'azienda disponga di laboratori ed uffici di ricerca e sviluppo, che consentano di portare a termine le attività previste. In sostanza lo sviluppo di un progetto di R&S richiede all'impresa l'impiego di mezzi, sia in termini di risorse umane, sia in termini di risorse informatico-scientifiche (banche dati delle principali riviste scientifiche mondiali) che consentano una accurata valutazione dello stato dell'arte e della ricerca scientifica in merito all'evoluzione della tecnica nel settore in cui l'impresa opera o intende operare. Detti mezzi, certamente presenti nella grande industria è raro trovarli nelle PMI, che difatti sono rimaste in gran parte escluse dall'accesso ai fondi di incentivazione alla ricerca. La situazione si aggrava ancor più nella richiesta di finanziamenti alla Comunità Europea, nell'ambito dei Programmi Quadro di sostegno alla ricerca (il VI Programma Quadro è già in vigore), poiché alle difficoltà di progettazione sopra esposte, se ne aggiungono altre legate sia alla lingua (i progetti devono essere presentati in lingua inglese), sia alla necessità di dover individuare più partner internazionali che contribuiscano in modo sostanziale al raggiungimento degli scopi della ricerca. Nello scenario delineato appare d'importanza vitale per il tessuto produttivo italiano, costituito in larghissima parte da PMI, non solo rifinanziare in modo adeguato i fondi strutturali di sostegno alla ricerca, ma anche individuare nuovi strumenti normativi che consentano di superare la situazione di empasse tracciata. A tal fine è necessario che gli Istituti Pubblici di Ricerca e le Università mettano a disposizione il proprio know-how e le strutture di cui dispongono a prezzi e con modalità accessibili alle PMI, soprattutto in fase progettuale. Tali Enti possono infatti, nell'ambito delle normali attività istituzionali, predisporre, con un dispendio minimo di risorse, piani industriali di ricerca e progetti di R&S in collaborazione con le imprese che ne facciano richiesta. Ciò consentirebbe alle aziende italiane di crescere, sviluppando nuovi ed innovativi prodotti/processi ad elevato valore aggiunto ed immuni dalla concorrenza delle imprese dislocate nei Paesi in via di sviluppo ed agli Istituti di Ricerca di acquisire risorse finanziarie fondamentali al fine di sviluppare le attività di ricerca di base, estremamente importanti da un punto di vista puramente scientifico, ma che non hanno possibilità di immediato trasferimento in campo industriale. Il modello esposto implica, da parte degli Istituti di Ricerca, lo sviluppo di una sensibilità imprenditoriale che li spinga a "rischiare", congiuntamente alle imprese, una parte del tempo destinato alle normali attività istituzionali, per la realizzazione di progetti di R&S. Detti progetti possono, nel caso in cui vengano ammessi a finanziamento, concretizzarsi in attività remunerative sia sotto il profilo finanziario, sia sotto quello scientifico, oppure, nel caso in cui non colgano un parere positivo, determinare una perdita, sia pur minima, sia da parte dell'impresa che dell'Istituto di Ricerca. Al fine di rispondere pienamente alle esigenze del tessuto produttivo italiano è necessario inoltre che di fronte ad una richiesta di collaborazione da parte di un'impresa, il mondo scientifico italiano, sia in grado di individuare l'Istituto capace di rispondere positivamente al quesito posto, ovvero di escludere la possibilità di sviluppare l'idea progettuale sia perché inconsistente da un punto di vista scientifico (l'idea progettuale potrebbe già essere stata ampiamente sviluppata da altre imprese) sia perché non esistono le condizioni e/o le competenze tecnico-scientifiche per poterla sviluppare sul territorio nazionale. In merito alla ripartizione dei fondi tra grande industria e PMI e tra Nord e Sud Italia è necessario ampliare la forbice percentuale di finanziamento dei progetti di ricerca: attualmente è prevista una maggiorazione del 10% per le PMI rispetto alla grande industria e del 10% per le imprese operanti nel Sud Italia rispetto a quelle che svolgono la propria attività nel Nord. In particolare è necessario che la percentuale di finanziamento riservata ai progetti di R&S della grande industria sia di almeno il 10% inferiore rispetto ai tassi di contribuzione comunitari, in modo da incentivare le imprese che dispongono di maggiori risorse, finanziarie ed umane, a presentare le proprie proposte progettuali direttamente alla Comunità Europea, lasciando alle PMI una fetta più consistente di finanziamenti nazionali. Nei prossimi anni l'innovazione tecnologica, diverrà sempre più indice dello sviluppo economico, sociale ed industriale degli Stati ed influenzerà in modo determinante il progresso o l'arretramento delle nazioni e dei popoli del mondo. Traducendo in strumenti normativi le ipotesi di lavoro sopra esposte è lecito attendersi che anche in Italia l'innovazione di prodotto/processo, già divenuta, grazie ai fondi strutturali, un'importante opportunità di crescita per la grande industria, consenta, anche alle PMI di adeguare il proprio sistema produttivo agli standard qualitativi internazionali. Nei prossimi anni, ciò consentirà al tessuto produttivo italiano di presentarsi come punto di riferimento nel panorama economico mondiale. |