Nucara apre il Consiglio Nazionale/Promuovere e rilanciare la ricerca scientifica

I repubblicani risorsa democratica per la modernizzazione del Paese

Relazione del segretario del Pri Francesco Nucara, Roma, 1° luglio 2005.

Nella relazione al Congresso Nazionale, citando Giorgio La Malfa, avevo detto che i repubblicani sono "la riserva democratica del Paese". Aspettiamo, continuavo, che il Paese abbia bisogno di noi e nel frattempo prepariamoci perché quando saremo chiamati dovremo essere pronti. Da quel giorno – 4 febbraio 2005 – all'ingresso del PRI nel Berlusconi bis, non è passato molto tempo e siamo stati chiamati a rappresentare le nostre idee con Giorgio La Malfa ministro delle Politiche Comunitarie.

E' una festa per il Partito Repubblicano Italiano, è una festa per tutti noi che su questo progetto abbiamo lavorato con pazienza e perseveranza. Non ci ha colto di sorpresa la nomina di Giorgio La Malfa. Sarebbe dovuta avvenire a luglio del 2004. A nostro avviso è arrivata in ritardo.

La considerazione di cui gode il PRI in questa coalizione è superiore di gran lunga al nostro più che esiguo peso elettorale. I partiti della coalizione, tutti i partiti, nessuno escluso, hanno voluto un repubblicano in Consiglio dei Ministri. E quando, come spesso succede, il Presidente del Consiglio ha avuto qualche difficoltà nell'assegnazione del dicastero, ci ha ascoltati, ha sentito le nostre ragioni ed ha confermato la posizione a noi gradita. Questo dicastero per noi è la continuazione di una storia repubblicana che guarda alla costituzione di un'Europa politica.

E' probabile che oggi qualcuno capisca la mia rinuncia a candidarmi a presidente della Regione Calabria. Ho rinunciato a soddisfare le legittime aspettative dei repubblicani calabresi, e non solo le loro, per realizzare quel disegno che avevo in mente dall'11 giugno 2001: riportare il PRI al governo della cosa pubblica.

L'aver poi ottenuto il coordinamento di 6-7 Ministeri per la realizzazione del processo di Lisbona, ha significato aver completato un'operazione politica carica di significato per il nostro futuro.

Il vero problema è: ma i repubblicani l'hanno capito?

Dal Congresso ad oggi

Il Congresso di Fiuggi si concludeva con l'approvazione, a larghissima maggioranza, di una mozione che così recitava: "i Repubblicani considerano quindi necessario un confronto con le altre forze politiche volto a far emergere una più ampia consapevolezza della necessità di nuove condizioni politiche e programmatiche in grado di sostenere l'azione di governo capace di arrestare il declino economico del Paese e di affrontare così le grandi sfide poste dalla globalizzazione".

L'obiettivo mi pare sia stato pienamente raggiunto. Se non arrestare, possiamo almeno frenare il declino economico o comunque gettare le basi perché la prossima legislatura abbia un Piano di Sviluppo che possa partire dall'opera che il Ministro per le politiche comunitarie realizzerà nei prossimi mesi.

Tra il Congresso di Fiuggi e oggi ci sono state elezioni regionali in 14 regioni, elezioni provinciali, elezioni comunali.

Partiamo dalle elezioni regionali.

Tra mille difficoltà e con la dovuta, forse eccessiva cautela, siamo stati presenti, con varie aggregazioni, in 9 regioni su 14, con la sola lodevole eccezione della Campania, che ha concorso nella consultazione con il solo simbolo dell'Edera. Non eravamo presenti in Liguria, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, e Umbria.

E' giusto però ricordare che, mentre mancavano le condizioni politico-organizzative per Veneto, Piemonte, Liguria e Umbria, non era così per l'Emilia Romagna dove una scelta politica della segreteria, della quale mi assumo piena e totale responsabilità, ha creato le condizioni perché la lista non potesse essere presentata. Per il prossimo futuro, se sarò ancora alla guida del Partito, mi assumerò le stesse responsabilità, sperando di non sbagliare e facendo tesoro dell'esperienza passata.

Nel 2000 eravamo presenti in 7 regioni. Anche nelle province e nei comuni c'è stata una maggiore diffusione delle liste repubblicane, specie nel Mezzogiorno.

In questo passato non molto lungo non ci siamo limitati soltanto alla formazione di liste: abbiamo fatto altre cose di cui faccio brevemente cenno. Un seminario per 25 giovani repubblicani tenutosi a Chianciano durato una settimana. Tra le mie ambizioni c'è anche quella di ringiovanire la classe dirigente del Partito. Tento di formare giovani creando in loro e con loro quell'armatura politica che consentirà a tutti noi di poter fruire di un nuovo gruppo dirigente.

Abbiamo affrontato la campagna referendaria con impegno da parte di tutti il partito e ringrazio Antonio Del Pennino per quanto ha fatto, rappresentando in tutte le sedi la segreteria del PRI con la sua autorevole e prestigiosa presenza di presidente del comitato. Io stesso sono stato tra i promotori del referendum. E proprio perché è un referendum non mi straccio le vesti per il risultato ottenuto. Caso mai per il prologo di quella consultazione di cui dirò tra breve.

Una rapida analisi del voto

I partecipanti al voto sono stati il 26,9%.

Orbene in qualunque consultazione ormai va alle urne non più del 70% degli avventi diritto e nelle consultazioni referendarie, quando si raggiunge il quorum, ci si attesta tra il 52 e il 54%. Se si considera la propaganda che si è fatta per l'astensione si darà una diversa valutazione del 26,9%. Le forze politiche italiane dovranno tenere conto che più di 10 milioni di persone e più di un terzo dell'elettorato che si reca normalmente alle urne è per la modifica della legge 40. Ruini e i cattolici hanno pieno diritto e titolo ad invitare all'astensione. A loro avviso quello è lo strumento che nel passato è stato utilizzato dalle stesse forze che oggi appoggiavano i quesiti referendari.

L'atto grave non l'ha commesso Ruini che giura fedeltà ad un altro Stato, ma il Presidente del Senato e il Presidente della Camera che invitando i cittadini all'astensione li hanno invitati a non tener conto dell'art. 48 della Costituzione che così recita al comma 2 "Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico". Nella Repubblica dei diritti lesi quotidianamente ci si dimentica dei doveri.

Povero Mazzini.

Il rapporto con la scienza

Cosa può fare un partito di minoranza estrema in un'Italia dove i numeri contano più delle idee e i progetti si contano e non si valutano? Fare da mosca nocchiera all'avvenire del Paese.

Come ho detto a Milano, se Mazzini dopo il fallimento della Repubblica Romana si fosse lasciato prendere dallo sconforto oggi non avremmo la Repubblica Italiana. Questa segreteria nazionale, seguendo le tracce di quella che è stata la storia del pensiero repubblicano e con le difficoltà di comunicazione, di disattenzione dell'opinione pubblica, di ignavia delle forze politiche di maggioranza e di opposizione, ha avvertito il problema fin da suo nascere.

Già l'8 marzo, in via eccezionale, si tenne a Milano un Consiglio Nazionale tematico dedicato a "Università e Ricerca". Nei primi mesi di quest'anno, alla sala del Cenacolo della Camera dei Deputati, nel presentare un libro del prof. Sala sugli OGM, abbiamo dibattuto sui "conflitti" tra scienza e politica; il 27 giugno scorso a Milano il Segretario e il Presidente del Partito hanno partecipato ad un dibattito sugli OGM. Tra i partecipanti, si è aperto un acceso dibattito, coordinato da Alessandro Cecchi Paone, di cui mi auguro abbiate letto sulla "Voce".

L'idea però che un piccolo partito come il nostro porti ad un incontro con Vingiani, Sala, Veronesi, Boncinelli, Ricci, Battaglia, Tullio Regge e tanti altri, è oggettivamente un'idea che mi affascina e il risultato è che Battaglia e Ricci, cui seguiranno altri, scrivono per il nostro giornale. Il merito dell'organizzazione e dei contatti con gli scienziati è giusto attribuirlo a Katia Mammola, nostro consigliere nazionale.

In questo dibattito non mi sono limitato a parlare solo degli OGM. Pur parlando di OGM, che era il tema del convegno, ho parlato anche di staminali e soprattutto di energia elettronucleare.

Quest'ultimo è il tema al quale, se ne ricorreranno le condizioni, dedicherò le mie energie nei prossimi mesi.

Solo una classe politica ottusamente ideologizzata può rifiutare il nucleare. In un convegno al CNR mi sono permesso di dire che quel giorno si stava celebrando il pre-de profundis del protocollo di Kyoto.

Un protocollo che, se mai attuato, avrà bisogno di ingenti risorse finanziare pubbliche e private e i cui effetti, se ci saranno, li vedremo tra 30-40 anni.

L'unica alternativa energetica credibile è il nucleare.

L'Europa si sta avviando verso un aumento di produzione di energia nucleare, poiché con l'ingresso dei paesi dell'Est Europa la percentuale di energia nucleare prodotta si è abbassata al 31,6%.

Esistono in Europa 149 impianti di cui 7 in Belgio, 6 nella Repubblica Ceca, 4 in Finlandia, 59 in Francia, 17 in Germania, 4 in Ungheria, 1 in Lituania, 1 in Olanda, 6 in Slovacchia, 9 in Spagna, 11 in Svezia e 23 in Gran Bretagna. Nessun sito in Grecia, Cipro, Malta, Portogallo, Lussemburgo, Estonia, Lettonia, Irlanda, Polonia, Austria, Danimarca e Italia.

Siamo alla pari con paesi che, messi tutti insieme, non fanno la popolazione italiana e le cui condizioni di sviluppo, tranne qualche caso, sono quelle dell'Italia degli anni ‘50-'60.

E mentre noi ci dilettiamo con l'eolica, in Provenza, sulla base di un accordo internazionale, sarà ospitato un impianto dal costo di 10 miliardi di euro, pari a 20 mila miliardi di vecchie lire, per la realizzazione di un mega reattore nucleare.

L'Italia continua a pagare alti costi energetici importando energia nucleare dalla Francia e pagando altri balzelli per accordi internazionali precedenti il referendum del 1987.

Dobbiamo passare dalle episodicità a un rapporto più stretto e pianificato con il mondo della Scienza.

Dobbiamo essere da supporto serio e concreto alla libertà di ricerca.

Dobbiamo aiutare il mondo scientifico ad ottenere risorse e compiere ricerche, perché così facendo aiutiamo il nostro Paese a crescere e svilupparsi omogeneamente. Questo è un obiettivo importante, che va perseguito con determinazione e costanza.

Il Pri e il partito unico

Dopo le elezioni regionali si è aperto un dibattito nel Paese per l'aggregazione di forze politiche sia nel centro-destra che nel centro-sinistra. Sulla "Voce" si è aperto un dibattito acceso e vivace e pure con qualche parola di troppo. Ma tra le "virtù" del vostro segretario, malgrado i tanti difetti, va annoverata la pazienza.

Non nei confronti degli amici repubblicani.

Quella non è mai abbastanza, ma nei confronti dell'evolversi degli avvenimenti politici.

Se poche sono le illusioni poche saranno le delusioni.

Si è parlato di vertici repubblicani "ambigui", "reticenti", "dediti al piccolo cabotaggio", "berlusconiani", "senza coraggio" e via di questo passo.

Orbene il segretario del PRI, che ha l'onore e l'onere di guidare un partito di circa 12000 iscritti diviso in tre tronconi, con tre linee politiche diverse e alternative, ha pensato che era meglio tacere fin quando non si fossero espresse le altre forze politiche. Questa convinzione si è rafforzata dopo una serie di incontri, da me sollecitati, per capire meglio la strategia del partito di maggioranza relativa, che è anche il partito-guida della coalizione cui noi abbiamo aderito.

Da una lettura dei giornali, anche superficiale, è facile evincere che di partito unico, almeno per questa legislatura non se ne parlerà.

Staremo a vedere se nei prossimi giorni discuteranno di un progetto federativo in cui è garantita la presenza dell'Edera e che va accompagnato dalla modifica della legge elettorale.

Sebbene mi si definisca "reticente", dico chiaramente che sono contro il Partito Unico. Tuttavia se dovessi essere messo di fronte ad una scelta, nel presupposto che il segretario sia il sottoscritto, convocherò un Congresso Straordinario che deciderà le sorti del Partito.

E non è che io voglia continuare a essere repubblicano, perché io sono repubblicano.

E aggiungo: non sono berlusconiano perché non sono iscritto al partito di Berlusconi e Berlusconi non è iscritto al Pri.

Qualche volta, magari nei ritagli di tempo, leggete la "Voce".

Il futuro del Pri

Finora ho parlato del passato. Veniamo al problema che mi sta più a cuore come Francesco Nucara e come Segretario del Partito.

Non so se sia stato sufficiente il lavoro svolto dal 2001 come guida del Partito e dal 1999 al 2001 come segretario organizzativo. Forse sono un "eroe per caso". Nei miei progetti personali non c'era la segretaria organizzativa e tanto meno la segreteria politica, mentre c'era l'intenzione di non ricandidarmi al Parlamento nel 2001.

Diverse sono invece le cose che ho realizzato per il PRI dal 2001 ad oggi e mi fa piacere dedicare qualche minuto a ciò che ritengo essere stati successi per il PRI e del PRI, non miei personali.

In politica da soli non si raggiunge alcun obiettivo: questa è una regola fissa che prescinde dalle qualità personali. Queste forse aiutano, ma non sono mai, proprio mai, decisive.

Il partito è arrivato all'appuntamento elettorale del 2001 in condizioni di sbandamento e di pre-sfascio. C'era stato il Congresso di Bari, La Malfa non era più deputato europeo, s'era determinata una scissione, anche allora il piccolo glorioso PRI diviso in tre parti, una maggioranza buona ma non consistente, un congresso contestato davanti al magistrato. Queste erano le condizioni del PRI nel febbraio 2001.

Ci si avviava all'incontro con Berlusconi in queste condizioni.

Con l'elezione di due parlamentari riuscimmo ad ottenere un sottosegretario e la prestigiosa presidenza di una importante commissione parlamentare.

Non eravamo invitati ai vertici. Fu dal 2003, dopo un colloquio tra Presidente e Segretario con il Presidente del Consiglio, che cominciammo a frequentare Palazzo Chigi e Palazzo Grazioli. Questo veniva consentito al segretario del PRI mentre veniva negato a qualcun'altro.

Fin dal 2003 mi sono battuto per una presenza nel Consiglio dei Ministri, a prescindere dal dicastero che ci sarebbe stato assegnato. Per me era importante la presenza. Con le sue indiscusse capacità La Malfa avrebbe saputo far valere le nostre ragioni.

Ci siamo arrivati in ritardo con un dicastero a noi gradito. Chiedo scusa per il ritardo.

Il PRI è tornato al governo dopo 13 anni esatti.

Ora, si può discutere se è giusta o sbagliata la linea politica, credo sia "tafazziano" discutere la presenza nel governo.

Accanto a queste innegabili soddisfazioni il PRI spesso ti porta amarezze, disagio, problemi di tutti i tipi e anche qualche avversione oggettiva. Ti domandi talvolta: ne è valsa la pena?

Chi ha tanto amore per il PRI può essere ricambiato con atti di slealtà?

Caro Giorgio, tu, forse, più di me ne sai qualcosa.

Tutti abbiamo un'anima, anche le cose.

Cari amici, non mi restato molte energie.

Quelle che mi restano le dedico ancora al partito. Vorrei dire all'on. Medri, quando parla della "robaccia" che si trova nei secchi della sinistra e della destra e che procura coliti, di stare tranquillo perché ormai ci convivo da 30 anni; è quasi una compagna di vita e non mi spaventa il degenerare dell'intestino, ma mi spaventa il degenerare del Partito.

Un partito a cui si avvicinano scienziati di fama mondiale, ma che continua a scandalizzarsi per una bandana o un trapianto dei capelli.

Un partito che per "comodità" si trova i suoi nemici, più che i suoi avversari, all'interno e non all'esterno.

Come se il nostro corpo fosse colpito da una malattia autoimmunitaria, di cui non si conoscono le cause ma che lentamente e progressivamente ci distrugge.

Cari amici, questo è un partito che può ancora esercitare un ruolo importante nel Paese.

La mia impietosa disamina di prima mi auguro serva a prendere coscienza che non abbiamo bisogno di pannicelli caldi ma di cure, per quanto possibile vigorose e se necessario chirurgiche.

Io credo nel futuro del partito.

In questo momento il mio pensiero è rivolto ai 12000 iscritti repubblicani, ai segretari di sezione, ai segretari provinciali, ai segretari regionali.

Sono loro che mi consentono di dialogare con i vertici dello Stato, sono loro che mi consentono di fare il vice ministro, sono loro che mi consentono di essere il leader del PRI. La leadership la condivido con loro e in questo La Malfa mi aiuta molto.

Ho iniziato questo percorso partendo dal Mezzogiorno, ho portato il PRI a successi politici ed elettorali. La prossima tappa, da subito, sarà la mia presenza nelle grandi città e si parte da Milano, città-motore della politica italiana da sempre.

Per fare questo ho bisogno della fiducia non verbale ma sostanziale di tutto il partito.

Il mio appello è rivolto anche a coloro che non mi hanno votato come segretario.

Ho bisogno di tutti voi per rilanciare il partito.

A quanti, pochi o molti, isolati o in compagnia, pensano a fare fronda perché le loro personali richieste non sono state totalmente esaudite, rispondo che della loro fiducia sic rebus stantibus, non ho bisogno. Anzi mi danneggia.

Eravamo in coma profondo, siamo via via passati al coma vigile, ora siamo al malato in via di guarigione.

Con il contributo di tutti voi, tutti quanti voi, guariremo. Su questo non ho dubbi.

Non abbiatene neanche voi.