Intervento al Cn dell'Edera/Fra perdita di competitività e ascesa della potenza cinese Nuovo patto per favorire e difendere lo sviluppo Pubblichiamo, dopo gli interventi del presidente e del segretario al Consiglio nazionale del Pri, l'intervento dell'amico Bruno Trezza. Preghiamo tutti i consiglieri nazionali di farci avere, via e - mail, una sintesi dei loro interventi per la pubblicazione sul giornale. di Bruno Trezza Abbiamo parlato a lungo della politica economica del governo, grazie anche all'intervento di Riccardo Gallo che ha illustrato con estrema chiarezza quali sono le condizioni di fatto del paese, mettendo in luce anche quella che dovrebbe essere la base di una nuova politica industriale, ricordandoci gli anni del '74, '75, quando si fece la legge della riconversione industriale. Una legge che trovava alla sua base l'idea di responsabilizzare i soggetti, evitando una percorso dirigistico, per effettuarne uno dinamico. Era necessario dunque stabilire un rapporto fra università e ricerca, e cercare di creare nuove applicazioni. La legge incontrò poi non pochi problemi, e fu applicata anche in maniera discutibile. Ma noi dobbiamo guardare a quell'impostazione dei problemi come ad un punto di riferimento per il futuro. La mia impressione è che ci troviamo nel mezzo di un cambiamento epocale e che forse il governo ha il torto di non averlo capito. Del resto non lo ha capito nemmeno l'opposizione. In Francia lo hanno capito? No. Per cui non possiamo dare una colpa particolare al nostro governo di non comprendere un fenomeno che resta ignoto a soggetti che forse dovrebbero anche avere maggiori capacità a proposito. Certo che è stato fatto l'errore di ritenere questo cambiamento epocale come una vicenda di tipo congiunturale, e che aspettando, prima o poi, sarebbe tornato il momento migliore, il gettito fiscale sarebbe ripreso, l'economia sarebbe ripartita e così via. Da che cosa è dipeso questo cambiamento epocale? Dall'entrata dei nuovi partners nell'agone mondiale, l'India e la Cina, ma soprattutto la Cina. Dobbiamo capire che la Cina non è un paese democratico. E' un paese nel quale hanno gettato sul fronte del mercato del lavoro alcune centinaia di milioni di lavoratori. Siamo di fronte ad una dimensione incomprensibile, mai sperimentata sino ad oggi, non abbiamo mai visto un fenomeno di questo genere. Se voi pensate che tutto l'occidente ricco - saremo sei, settecento milioni di persone - è quanto il mercato del lavoro in Cina, vi potete rendere conto di cosa stia succedendo. I cinesi potrebbero facilmente sostituirci tutti, i soli pendolari cinesi sono pari a tutta la forza lavoro degli Stati Uniti. Un lavoratore cinese prende circa 100 euro al mese, un ricercatore bravo circa mille euro, contro i mille ed i tre-cinquemila dei corrispondenti europei od americani. Questa la situazione. Ed i cinesi hanno una strategia, una strategia governata dall'alto. Hanno mandato i loro studenti nelle università in America, stanno acquisendo i risultati delle ricerche scientifiche, hanno creato delle università di eccellenza; in campo industriale si sono presi i gioielli dell'Ibm, come i nuovi calcolatori; stanno dando la scalata ad una società petrolifera e così via. Per un nostro ricercatore in America, ce ne sono 10 cinesi, i quali sono nei principali campi di ricerca. Ad esempio quello sui super conduttori ad alta temperatura, che servono sia a risparmiare energia, sia a fare nuovi materiali, cioè le principali tecnologie con cui dovremo misurarci in futuro. Cosa significa questo? Che noi ci troveremo in una condizione difficile con la Cina, che non avrà certo voglia, con questi rapporti di forza a suo vantaggio, di accettare uno sviluppo ancillare. La Cina ci taglierà dal basso con i costi, ora il tessile, domani le macchine per produrre il tessile, percorrendo via via tutta la scala. E dall'alto posizionandosi ai livelli di una tecnologia molto avanzata. La nostra risposta non è sufficiente. E' tradizionale, come l'America che, introducendo grandi quantità di denaro nell'economia, ha finanziato lo sviluppo della Cina. Bush è in un angolo, perché, essendo il campione del liberismo, non può certo rifiutare il denaro che proviene dalla Cina, né limitare la globalizzazione in atto. Certo l'America è un grande paese, dispone di grandi risorse e può essere in grado di fronteggiare l'avanzata cinese. Ma l'Europa? E l'Italia? Viste le cifre, noi rischiamo di sbaraccare molti settori. Allora occorre rispondere, ma la risposta deve essere politica. Ha ragione Blair quando dice che manca una guida politica, ma non va bene la sua ricetta, che non può essere il semplice liberismo. Questo non è adeguato, perché la Cina ne sfrutterà le possibilità senza pagarne tutti i costi, che rischiamo di pagare noi europei. Noi dobbiamo avere più stato, uno stato che aiuti, come negli Usa, capace di influenzare, di spingere per la ricerca, di creare dei quadri e di fare delle scelte. Ora abbiamo ripescato Lisbona che era rimasta nel cassetto, perché la crisi ci sta stringendo al collo. Ma Lisbona diventa un'occasione in termini politici, non tecnici. Il che significa fare un grande salto di impostazione in Italia ed in Europa. Dobbiamo tenere presente che questo processo colpisce la classe media. E con la classe media colpisce la spina dorsale di quella che è stata la nostra democrazia, quella su cui noi abbiamo costruito per anni. Tutte le nostre strutture, che sono le strutture del consenso sociale, sono state create per ripartire lo sviluppo. Il che, nelle nostre società occidentali, da diversi decenni è una cosa assunta come data. Il Partito repubblicano si è sempre battuto per una distribuzione in grado di favorire e difendere lo sviluppo, aiutando in questa maniera anche le Regione più deboli, come quelle meridionali. Questa è stata la posizione del partito, al tempo connessa a due elementi fondamentali: un certo consenso politico, garantito dalla situazione complessiva, e dal fatto che - più o meno - lo sviluppo arrivava. Oggi dobbiamo combattere con le unghie e con i denti per lo sviluppo, dobbiamo combattere con le unghie e con i denti per non essere travolti. E' una cosa molto diversa, è una cosa molto difficile, che richiede un grandissimo impegno. Noi dobbiamo fare un enorme sforzo: e Lisbona è la nostra grande occasione. Ove la posizione dell'Italia non deve essere di piena adesione alla posizione di Blair, ma deve essere una posizione che tenga un po' conto delle ragioni dell'Europa, e della sua civiltà sociale, che oggi la Cina minaccia. Questi mesi saranno utili se riusciremo a dare voce all'esigenza di un'intesa fra ricerca e impresa in Italia, in maniera da consentire all'Italia di restare un paese vivo. |