"La Stampa" 8 dicembre 2003/Ieri nella città americana cerimonia a ricordo del Nobel per l'economia scomparso lo scorso settembre Modigliani e la grande scuola di Boston Con Solow e Samuelson fu l'artefice del successo del Mit di Giorgio La Malfa Il dipartimento di Economia del Massachusetts Institute of Technology comprendeva, a metà degli Anni ‘60 quando ebbi la fortuna di studiarvi, 35 o 40 docenti (per circa 140 studenti) fra economisti, statistici ed econometrici - nomi per la maggior parte assai noti nella professione attorno a ciascuno dei quali si sarebbe potuta costruire una buona facoltà di Economia. Pur in questa concentrazione di ingegni, vi erano tre stelle nel firmamento degli economisti del dipartimento che, non a caso, furono fra i primi a essere insigniti del Nobel quando, negli Anni ‘70, il premio venne esteso alle discipline economiche. Si trattava di Paul Samuelson, di Bob Solow e di Franco Modigliani, uniti da una missione scientifica largamente comune e da un rapporto d'amicizia durato oltre 40 anni. Samuelson, che ha oggi 88 anni, era di qualche anno più anziano degli altri due ed era stato il motore della crescita nelle dimensioni e nel prestigio del dipartimento di Economia. Fra Mit e Harvard, distanti poche centinaia di metri, vi è sempre stata una certa concorrenza. Nel caso degli studi economici si trattava di una vera e propria rivalità, nata forse quando Harvard, dove Samuelson aveva ottenuto il suo dottorato, se lo era lasciato scappare o non lo aveva voluto come professore. Samuelson aveva chiamato nel dipartimento di Mit i migliori ingegni economici americani e fra questi, all'inizio degli Anni ‘60, erano giunti Solow e Modigliani. La facoltà di Economia di Harvard era stata completamente oscurata. Scherzando, Samuelson disse una volta, quando un economista osò lasciare il Mit per trasferirsi ad Harvard, che gli era sembrata un'ottima scelta perché così si sarebbe migliorata la qualità media di ambedue le università (nel senso che il peggiore di Mit era pur sempre meglio di uno di Harvard). Tutti e tre, Samuelson, Solow e Modigliani avevano una notevole preparazione matematica, più specifica i primi due, comunque molto alta per Modigliani che ne aveva studiata parecchia da quando, nel 1939, era giunto negli Stati Uniti per sfuggire alle leggi razziali. Su questa notevole base analitica era calata, con esiti determinanti, la rivoluzione keynesiana, la quale consisteva, al di là delle sue proposizioni formali, nella convinzione che l'economia politica dovesse essere utile per affrontare e risolvere i problemi della società e in particolare che il tema capitalistico avesse bisogno di adeguati correttivi nel suo funzionamento per reggere alla sfida che in quegli anni gli veniva portata dal socialismo. Della importanza fondamentale nella formazione degli economisti di quelle generazioni aveva scritto nel 1946 lo stesso Samuelson alla morte di Keynes. La pubblicazione della teoria generale - diceva Samuelson - aveva colpito il mondo degli economisti così come una epidemia poteva colpire una tribù di abitanti di una sperduta isola del Pacifico: tutti i giovani tra i 20 e i 30 anni ne erano stati contagiati e solo gli anziani o una parte di essi si erano sottratti al fascino della teoria keynesiana e avevano mantenuto un atteggiamento ostile verso di essa. Probabilmente Samuelson pensava in particolare al suo maestro di Harvard, Schumpeter, che non comprese mai fino in fondo la novità della teoria generale e diede un giudizio assai critico della teoria e del suo autore. A metà degli Anni ‘60 i tre del Mit erano nel pieno del vigore intellettuale, pubblicavano saggi teorici in tutti i campi dell'economia, partecipavano ai dibattiti di politica economica negli Stati Uniti e, per Modigliani, a partire da quel periodo, anche a quelli che si svolgevano e riguardavano l'Italia. Nei seminari del dipartimento di Economia si assisteva a discussioni memorabili: ne ricordo in particolare una molto aspra fra Milton Friedman e Paul Samuelson sul monetarismo. Modigliani era tenacissimo in quelle discussioni, sia con gli avversari sia con gli amici e non mollava il punto per nessun motivo. Tempo fa Samuelson ricordò di avergli detto una volta: "Franco, se continui a discutere così, morirai senza avere mai sentito la mia voce". Un'esperienza notevole accanto ai seminari del dipartimento erano le lezioni di questi tre grandi economisti. Ciascuno di loro aveva un modo diverso di insegnare. Samuelson, che aveva interessi molto vasti e aveva scritto in moltissimi campi dell'economia, in quegli anni teneva un seminario avanzato di teoria economica nel quale sceglieva di volta in volta un problema e lo illustrava in rapporto ad altre questioni della teoria economica con alcuni riferimenti alla letteratura che egli conosceva a fondo. Distribuiva degli appunti mimeografati pieni di equazioni e spaziava nella lezione in lungo e in largo. Non era facile seguire i suoi ragionamenti, ma egli apriva squarci su questioni apparentemente lontane fra loro. Le lezioni di Bob Solow erano completamente diverse. I suoi corsi riguardavano questioni molto complesse che richiedevano molta matematica, come la teoria della crescita economica. La sua esposizione era assolutamente perfetta, nel senso che si sarebbe potuto trascrivere e stampare ciò che egli diceva: ogni cosa era al suo posto, dalla notazione dei simboli alle dimostrazioni matematiche. Era talmente limpido nella sua esposizione che ci si rendeva conto della difficoltà delle cose che spiegava solo quando si riordinavano le note e si cercava di ricostruire esattamente lo sviluppo dei suoi argomenti. Ancora diversa era l'esperienza delle lezioni di Franco Modigliani. Tanto calmo era il mare delle lezioni di Solow così era invece in piena tempesta quello di Franco. I suoi corsi, in quegli anni, vertevano principalmente sull'economia e sulla politica monetaria, materie che ovviamente conosceva alla perfezione. Eppure si vedeva con chiarezza che ogni volta che apriva un capitolo o un tema egli non esponeva qualcosa che ricordava a memoria, bensì procedeva a scavare ex novo il problema per suo conto davanti agli studenti: avanzava in una direzione, poi muoveva a sé stesso delle obiezioni, si fermava, esplorava un altro percorso fino a quando, superate le esitazioni giungeva a una conclusione che gli sembrava soddisfacente. Alla fine si andava via con la sensazione di aver visto il modo nel quale una grande mente economica procede nella analisi e nella comprensione dei problemi. Per certi aspetti le lezioni di Modigliani mi ricordavano allora, e mi ricordano tuttora, la descrizione delle conferenze del professor Wendel Kretschmar nel Doctor Faustus di Thomas Mann. Ascoltando e vedendo oggi Paul Samuelson e Bob Solow nella cerimonia per ricordare Franco Modigliani e notando ancora i loro intelletti integri, in fondo ho concluso che quello di loro che emanava più calore umano era proprio Franco: lo si vedeva nelle sue lezioni, nei seminari, nello scrivere insieme con lui articoli di giornale o saggi scientifici. Aveva l'ardore di un riformatore sociale e la generosità di un maestro ed è questo il ricordo che ha lasciato in tutti coloro che hanno avuto la fortuna e la gioia di conoscerlo da vicino. |