Il Pri e le prossime elezioni europee/Riaffermare con forza la nostra identità

Servono atti di profondo significato simbolico

Sull'argomento delle alleanze tra i laici, pubblichiamo oggi l'intervento di Ciro Polidori.

di Ciro Polidori

Sto seguendo con interesse l'accalorato dibattito sulle future alleanze del Pri per le prossime europee e, come sempre succede nel mondo della dialettica politica, osservazioni ed analisi giuste e meno giuste, si trovano un po' in tutti gli interventi.

Fatta questa premessa voglio anch'io unirmi al coro e fare qualche considerazione in merito.

Tracciamo, tanto per capire meglio il senso del dibattito, una breve nota sulla natura politica ed ideologica (termine poco appropriato per noi, ma comodo per capirci) del Pri.

Dunque, il secondo dopoguerra cambia , per molti aspetti, il profilo politico-culturale del repubblicanesimo classico con l'ingresso degli azionisti di Ugo La Malfa, immettendo nelle sue vene un forte carica di entusiasmo per la modernità e per le nuove frontiere della cultura democratica, legata, principalmente, all'esperienza rooseveltiana e alle dottrine economiche di Keynes.

Sappiamo che non tutti accettarono di buon grado l'entrata degli azionisti nel Pri.

I tradizionalisti li consideravano troppo a sinistra e troppo vicini(per motivi resistenziali) ai comunisti che - per il pensiero mazziniano più ortodosso - rappresentavano, per il loro volgare e aberrante materialismo, la negazione stessa della più intima essenza umana.

Il vecchio repubblicanesimo, austero ed intransigente, apostolo della Nazione , della Patria e della santità dell'azione politica, intesa come elevazione morale e civile del popolo (chiamato ad essere forza e destino della storia futura) si fuse così con il nuovo filone lamalfiano, dando vita ad un nuovo e antico soggetto politico nella storia italiana; soggetto sicuramente atipico per questo Paese, ma straordinario per la ricchezza dei suoi contenuti culturali, politici, ideali ed etico-civili.

Quindi, vecchi e nuovi repubblicani sono stati veramente l'Altra Italia, come recitava un bellissimo manifesto di alcuni anni fa.

Ed hanno sempre rappresentato l'Italia del Dovere; l'Italia austera e laboriosa, che poco concede al politicantismo arruffone, demagogico e pressappochista, sempre tanto di moda in questo Paese.

E contro questa sua grande forza ideale si sono infranti quanti hanno cercato di cancellarlo dalla scena politica nazionale.

Ed ecco perché, in fondo, tutti gli interventi sulle future alleanze sono più o meno sostenibili; per la complessità e ricchezza, appunto, del nostro bagaglio ideale e politico.

In noi, infatti, si possono riscontrare motivi che per la dottrina politica classica possono essere considerati di destra (la Nazione, la Patria, uno spiritualismo laico ed immanentista, la negazione della lotta di classe come prassi politica, una certa eticità, di memoria spadoliniana, dell'atto istituzionale) e di sinistra (l'ardente desiderio di giustizia sociale , una irresistibile demofilia e l'amore per una società aperta a spazi sempre ampi di partecipazione e di libertà civili).

E il fatto che con il bipolarismo il Pri è stato il partito con più difficoltà di collocamento, dimostra quanto detto.

Per quanto mi riguarda, penso che il Partito debba assolutamente andare da solo alle prossime europee, perché il mostrare la bandiera in questo particolare momento della nostra storia non è un semplice atto di contabilità elettoralistica, ma un atto di profondo significato simbolico e politico: riaffermare con forza la nostra identità e dire agli italiani che ci siamo stati, ci siamo e ci saremo.