Dibattito sulle alleanze del Pri/Un intervento a favore del bipolarismo Tradizione e sguardo sul mondo contemporaneo Sull'argomento delle alleanze tra i laici, pubblichiamo oggi l'intervento di Antonio Zoli. di Antonio Zoli Credo che impostare un dibattito sul ruolo del Pri e sui suoi rapporti con il mondo laico, quindi sugli schieramenti, nel momento in cui sia il centro-destra che il centro-sinistra propongono liste uniche, ci porti fuori dal contesto istituzionale attuale. Ritengo che il bipolarismo possa subire degli aggiustamenti, ma che sia ormai accettato dai cittadini che non capirebbero un ritorno al proporzionale. Credo che l'interessante dibattito in corso, incentrato sulla testimonianza repubblicana e laica, a mio parere non sia sufficiente perché non tiene conto di due eventi importanti. Il crollo dei partiti che avevano contribuito alla vita politica del Paese per oltre 50 anni, ha creato una sorta di terremoto ideologico in cui si sono perse intere culture politiche; il crollo dell'appartenenza, ha fatto sì che militanti dello stesso partito si siano collocati parte nello schieramento di centro-sinistra, parte nello schieramento di centro-destra. Assistiamo all'esaurimento delle forme politiche conosciute ed alla crescita di vari populismi proprio a causa dell'allontanamento dei cittadini dai partiti classici. Il Pri non ne è immune, pur riuscendo a mantenere fermo il simbolo dell'Edera quale testimonianza delle proprie radici storiche. Se poi proviamo a ragionare seguendo logiche di schieramento politico (dopo l'ultima riunione dell'Ecofin sul Patto di stabilità), rischiamo il "collasso" nel constatare che i vincitori di Bruxelles sono il ministro del centro-destra italiano Tremonti e il premier socialista tedesco Schroeder, e che alla soluzione trovata sono contrari i democristiani di Germania e la sinistra italiana "riformista". In un mondo in cui la crescita comincia a non essere più una prerogativa dei paesi industrializzati, la nostra scelta deve agganciarsi alla nostra tradizione che non è la politica del protezionismo bensì la politica della liberalizzazione: "… qui voi avete il repubblicano che ha fatto la politica di liberalizzazione. Che…aveva il significato di rafforzare il potere d'acquisto delle masse lavoratrici, perché la politica di liberalizzazione è una politica di lotta al profitto monopolistico" (Ugo La Malfa, 8/11/1953, Convegno nazionale sindacale del Pri). Quindi salvaguardia delle prospettive di lavoro nella nostra economia, che deve integrarsi e giocare la sua partita in una competizione aperta con il resto del mondo. Prima di discutere in quale schieramento "stare" è bene confrontarsi su come contrastare le conseguenze di un capitalismo sregolato, il degrado dell'ambiente, l'aumento delle disuguaglianze fra i Paesi ricchi e quelli poveri e, nei Paesi ricchi, tra ricchi e minoranze povere sempre più in aumento; su come trovare gli strumenti idonei per una crescita più stabile, una rigorosa programmazione della spesa sociale in cui coesista un'equa spesa previdenziale e l'allungamento dell'età pensionabile, un'equa flessibilità del lavoro con la creazione di istituti di formazione e di preparazione per il reinserimento lavorativo. Dobbiamo pertanto scegliere di allearci con chi vuole pensare i problemi italiani all'interno di una lotta più ampia a livello mondiale per sostenere la quale abbiamo bisogno di stare dentro l'Europa, di contribuire alla crescita della sua potenza politica e di farci forti del suo modello sociale. Come dice Giorgio La Malfa, siamo per elevare a "livello europeo le responsabilità complessive della politica economica facendo carico alle istituzioni europee anche dei problemi che oggi restano affidati alle autorità nazionali….. oppure rinazionalizzare progressivamente tutti gli strumenti della politica economica ?". Io sono per elevare il livello europeo, in quanto credo in una Europa dei popoli senza l'egemonia di nessun Stato. Qui si innesta un altro elemento importante nel dibattito: non è forse prematura l'integrazione nell'Unione Europea di altri dieci Paesi, senza avere prima elevato il "livello Europeo"?. Voglio inoltre aggiungere qualche riflessione sullo stato generale del Paese. Tutti sanno che il Paese sta invecchiando e che tra poco avremo un numero di pensionati eguale e superiore a quello dei lavoratori. Secondo la Ragioneria Generale dello Stato ci sarà un incremento della spesa pensionistica di due punti di Pil nei prossimi 25 anni. Perciò affrontare oggi problemi di spesa sociale collegati all'invecchiamento della popolazione vuol dire fare il massimo per la riduzione del debito pubblico in rapporto al Pil. Il Presidente del partito sostiene, giustamente, che "… il Governo deve sempre sentire le parti sociali… con pazienza, ma se non c'è l'accordo è il Parlamento che deve decidere…". Credo che le proposte governative non abbiano seguito questo percorso, in quanto le parti sociali sono state messe davanti al fatto compiuto. Ritengo che dovremmo insistere con i nostri partner affinché, nell'ambito di una effettiva concertazione con le parti sociali, si discuta e si approvi una dinamica del sistema pensionistico, in base alle mutate condizioni demografiche ed all'allungamento della vita media. Come già accennato in un altro mio intervento, il nostro vero problema è l'impostazione di una politica economica che recuperi un sistema produttivo in declino, che perde quote di mercato e che non è in grado di produrre le risorse di cui c'è bisogno per evitare di arretrare. Dobbiamo evitare di appoggiare le leggi finanziarie che fanno gli interessi dei più furbi indebolendo la lealtà dei cittadini che pagano le tasse. Mi riferisco al condono ed alle varie una tantum che accompagnano la finanziaria. Bene abbiamo fatto a chiedere più fondi per la ricerca. Si obietta spesso che le imprese tendono a disfarsi delle persone di una certa età per rimpiazzarle con i giovani. E' ovvio che se esiste una legislazione che consente il ricambio, le imprese sono indotte a farne ricorso. Se tale possibilità non esistesse le imprese svilupperebbero sistemi di formazione per i propri lavoratori e studierebbero forme di flessibilità adatte alle nuove esigenze del lavoro. Le pensioni costituiscono un tema più che mai sensibile in una stagione di estrema insicurezza economica e sociale: in particolare gli strati più deboli della popolazione vivono ogni taglio al welfare come una lacerazione delle proprie garanzie di futuro. E' però auspicabile che il sindacato, nel suo insieme, non resti prigioniero della morsa del "no". |