Dopo la riforma del fisco necessaria una valutazione dell’Ici/Il gettito è legato al valore catastale degli immobili. Forti differenze tra Nord e Sud

Un’imposta che ancora continua ad aumentare

Se da una parte i contribuenti italiani salutano con gioia l’abbassamento delle tasse, cioè la nuova IRE, già nel 2005, dall’altra, e sono circa il 75% dei proprietari di immobili, si chiede a gran voce l’abolizione dell’Imposta Comunale sugli Immobili (ICI) discendente dall’ISI, un’imposta straordinaria introdotta il 1° gennaio 1992 per far fronte ad una situazione finanziaria statale che in quegli anni era molto debole. Gli interessati e le loro associazioni non vogliono il riclassamento degli immobili con conseguente aggravio dell’Ici. L’imposta comunale si paga non solo sulle abitazioni ad uso civile ma anche sui terreni edificabili, sui fabbricati industriali e commerciali e vi sono forti differenze tra Nord e Sud per il gettito pro-capite dell’Ici. A parità di aliquota tra città e città, il gettito complessivo è influenzato dal valore degli immobili che viene determinato dalle normative catastali e in undici anni , cioè dal 1993 sino ad oggi il peso dell’imposta comunale sugli immobili è aumentato, vedi tabella allegata, nei soli capoluoghi di regione sino al 75 per cento come nel caso di Trieste, del 60% a Bologna, del 55,60% ad Ancona e del 40% a Catanzaro. Inoltre, se in qualche città sono state introdotte variazioni significative rispetto all’anno scorso a Bari l’Ici è diminuita di un punto millesimale. A parte la gravosità, deve essere considerata l’iniquità dell’imposta che è incongruente con il nostro ordinamento tributario. I contribuenti italiani pagano le imposte sulla base del proprio reddito mentre i proprietari di case sono tartassati in modo del tutto particolare e così essi pagano un’imposta "patrimoniale" al Comune dove ha sede l’immobile, che nulla ha a che vedere con il proprio reddito, a carattere continuativo. La natura ambigua ed equivoca del tributo comunale può essere evidenziata da : a) non è una tassa sui servizi perché se lo fosse dovrebbe essere corrisposta da chi di quei servizi ne usufruisce e non da chi può aver ceduto l’uso dell’immobile; b) non è un’imposta patrimoniale corretta ed accettabile avendo aliquote diverse non soltanto da un Comune all’altro ma persino nell’ambito del medesimo territorio municipale essendo spesso, arbitrariamente, corrispondente all’ubicazione dell’immobile, all’utilizzo dei locali, alle condizioni dell’edificio.

Praticamente non esiste una sola Ici, uniforme in tutto il territorio italiano ma ci sono centinaia di imposte diverse con un effetto di fatto vessatorio ed incompatibile con un ordinamento fiscale corretto oltre che in evidente contraddizione con i principi fondamentali dei tributi di un moderno Stato civile e democratico.

A questa considerazione dobbiamo aggiungere che di fatto i Comuni sono riusciti a complicare in un modo indescrivibile le modalità di pagamento e per ulteriore confusione, l’imposta è soggetta alle incertezze conseguenti alla frequenza di variazioni di aliquote deliberate dagli amministratori locali soltanto nell’imminenza dei pagamenti dovuti. Ciò che mi preoccupa maggiormente e che l’Ici non è proporzionale alla capacità di reddito di ciascun contribuente e non è detraibile dall’Irpef considerando la medesima quasi una spesa voluttuaria. Considerando l’Ici la tassa più odiata dagli italiani essa dovrà essere sostituita unitamente ad altre tasse comunali (Tarsu, Cosap, Tosap, ecc..) con un’altra imposta con aliquota variabile in base alla qualità e quantità dei servizi prestati, annullando gli sprechi, dei Comuni.

Santino Camonita responsabile Pri per i problemi della casa