Rapporto di Confindustria: trend negativo di lunga data

Articolo pubblicato sul "Sole 24 Ore" del 15 dicembre 2004.

di Riccardo Gallo

Insufficienza della crescita economica, della produttività del lavoro, del numero di ore lavorate per dipendente, degli investimenti sia pubblici che privati, del valore aggiunto dell’industria su quello totale, della dimensione aziendale, del grado di concorrenza sui mercati, dell’efficienza della burocrazia, della produttività della ricerca universitaria, eccessiva lentezza della giustizia: un insieme di parametri così negativi a 360 gradi non si aveva dal dopoguerra, ha concluso ieri il presidente di Confindustria. Va chiarito subito che tutte le analisi presentate mostrano andamenti negativi dal 1990 a oggi, quindi da un lato si tratta di fenomeni strutturali, dall’altro la responsabilità non viene fatta ricadere tutta su un governo piuttosto che su un altro.

Lo sforzo di sintesi e di concretezza fatto da Confin-dustria è certamente da apprezzare, per molte ragioni.

Innanzi tutto, non è affatto banale la critica all’insufficiente concorrenza sui mercati, visto che alcuni autorevoli associati operano in condizione di forte oligopolio. In secondo luogo, le analisi sono state accortamente depurate da ogni tono polemico con le altre rappresentanze sindacali, del credito e del lavoro.

A questo punto occorre passare dall’analisi all’azione, ha sostenuto il direttore del Centro Studi. A sua volta, Alberto Alesina dopo aver fornito ampio supporto al quadro negativo, ha suggerito che Confindustria non cada nella tentazione della concertazione per chiedere sussidi. La somma di queste due conclusioni sembra tradursi in una pressione al Governo perché finalmente intervenga con azione efficace.

Nonostante la chiarezza del quadro emerso, a me pare che per procedere manchi ancora qualche passaggio di logica politica.

Manca una analisi simmetrica delle ragioni di successo sui mercati mondiali di alcune imprese medio - grandi. Anche una simile analisi sarebbe utile per cavare spunti per una loro generalizzazione. E’ certamente vero che il merito maggiore va a quelle imprese, ma sarebbe bene capire di quali condizioni di sistema esse hanno beneficiato. La "convention mondiale" delle Camere di commercio all’estero un mese fa ha passato in rassegna numerosi di questi casi.

Manca l’analisi critica delle politiche industriali messe in atto nel nostro Paese negli ultimi decenni. Il fatto che non può esser tutta colpa di questo o quel governo, dovrebbe far superare in partenza il rischio di equivoci. Che le politiche in passato siano state insufficienti, d’altra parte, sembra risultare dai numeri. Manca una analisi dell’accettabilità delle politiche giuste da parte di tutte le organizzazioni sindacali (del credito, del lavoro). E’ mai possibile che nessuno abbia saputo elaborare proposte corrette? O, piuttosto, esse non sono fattibili perché, anche se giuste, gli attori reagiscono male? Proprio qui sta, a mio giudizio, uno dei meriti maggiori dell’odierna Confindustria, nel senso che magari uno sforzo interno come quello coraggioso che Confindustria fa in tema di concorrenza sui mercati lo facessero anche tutte le altre organizzazioni sindacali!

Un’idea, allora, è che qualche organismo non di parte – in modo parsimonioso, rispettoso dei problemi altrui, nei tempi tecnici più brevi - si faccia carico di una rilettura delle analisi disponibili, delle politiche attuate e proponga una diagnosi condivisibile. Anzi, per responsabilizzare di più tutti i soggetti, ciascuno degli attori della politica industriale dovrebbe contribuire a questo sforzo. Per esempio potrebbe farlo l’Ipi, Istituto per la promozione industriale (e non perché ne sia il presidente) con l’ausilio di economisti industriali italiani, magari anche alla luce di quanto emergerà dagli incontri che il Governo dice che farà per discutere il provvedimento in fieri sulla competitività.