"Il Foglio" 15 febbraio 2003/"Alleanze e cortei"

"Europa e Usa non devono dividersi, ma unirsi per estendere libertà e democrazia"

di Giorgio La Malfa

Signor Direttore - non escludo che nei prossimi giorni alcune delle divisioni più aspre che si sono manifestate all'interno della Alleanza Atlantica attorno alla crisi irachena possano attenuarsi fino quasi a rientrare. Può darsi infatti che la Francia, preso atto del rifiuto opposto dal governo dell'Iraq alla presenza dei caschi blu dell'ONU sul proprio territorio, decida di non esercitare il veto su una seconda risoluzione del Consiglio di Sicurezza. E' altresì possibile che lunedì, nella riunione frettolosamente convocata dalla Presidenza greca, i capi di Stato e di Governo dell'Unione Europea riescano a sottoscrivere un qualche documento comune che nasconda le divergenze emerse nei giorni scorsi fra la posizione franco-tedesca e quella degli 8 paesi, fra cui l'Italia, firmatari di un controdocumento.

Tuttavia la crisi c'è: è ormai scoppiata e non riguarda tanto il caso specifico dell'Iraq. Essa investe la concezione stessa del rapporto fra l'Europa unita e gli Stati Uniti. Fino a quando è perdurata la minaccia sovietica, la questione è rimasta inespressa: l'interesse di tutti gli Stati europei ad una presenza americana in Europa coincideva con l'interesse americano a un'Europa coesa, capace di costituire almeno parzialmente un deterrente all'espansione sovietica. Ora non è più necessariamente così. Ed è indispensabile chiarirsi le idee sulla collocazione strategica che dovrebbe avere un'Europa unita nello scacchiere internazionale ed in particolare sul rapporto che essa dovrebbe avere con gli Stati Uniti ed i loro interessi. E' bene che di questi temi si cominci a discutere apertamente. Forse il Foglio potrebbe essere il luogo nel quale questa necessaria discussione si avvia.

Una parte importante delle forze politiche e delle opinioni pubbliche europee ha sempre subìto il rapporto con gli Stati Uniti come uno stato di necessità legato alla guerra fredda. Parlando con Alain Peyrefitte, nel 1960 il generale De Gaulle diceva: "Finché i paesi europei restano dispersi, essi sono una facile preda per i russi , come i Curiazi. A meno che gli americani non li proteggano. Hanno dunque solo la scelta fra divenire colonie russe o protettorati americani. Hanno preferito, e lo capisco, la seconda soluzione. Ma questo non durerà in eterno. E' urgente unirsi per sfuggire a questa alternativa". Questo è il vero manifesto dei cortei in Europa. Il gollismo non è solo una posizione di destra. In fondo la vecchia sinistra italiana, inizialmente egualmente ostile alla NATO ed alla CEE, si è convertita all'europeismo a metà degli anni ‘70 pensando a un'Europa terza forza fra USA e URSS. Essa continua a parlare di un'Europa dotata di un modello politico e sociale (che io non so quale sia) alternativo a quello degli Stati Uniti. Anche per una parte importante del mondo cattolico che, con la Democrazia cristiana al governo, non poteva sottrarsi alle responsabilità di un'alleanza come la NATO voluta da De Gasperi, ma osteggiata da una parte significativa delle gerarchie religiose, la fine della guerra fredda segna l'affrancamento da una condizione subita, ma non voluta. Quella parte del mondo cattolico oggi si sente anch'essa libera di contrapporsi al modello americano. Il caso dei nuovi orientamenti della Germania emersi negli ultimi mesi meriterebbe un'analisi molto approfondita. Non credo che si tratti soltanto di un calcolo elettorale di Schroeder. Sono all'opera fenomeni molto più profondi. Mi limito a osservare che fin dagli anni ‘80 in Germania la socialdemocrazia, finita l'era di Helmut Schmidt, aveva seriamente riflettuto sulla possibilità di una riunificazione tedesca attraverso la neutralità.

Una relazione tra eguali

Personalmente non ho alcuna simpatia per queste posizioni. L'altra Europa, quella dell'identità contrapposta a quella degli USA, neutrale di fronte alle grandi questioni internazionali, pronta ad inserirsi negli spazi aperti negli scontri fra gli USA ed altri, a me sembrerebbe un'Europa contratta su se stessa per la quale non varrebbe la pena di impegnarsi. Ritengo che le cose che uniscono Europa e Stati Uniti siano molte di più di quelle che li possono dividere: il comune modello democratico, il comune assetto economico, la tolleranza religiosa, il rispetto del pluralismo. Credo che Europa e Stati Uniti, insieme, possano fare molto per estendere nel mondo queste condizioni che entrambi hanno realizzato per se stessi. In questo le mie opinioni coincidono con quelle della gran parte delle classi dirigenti inglesi, laburiste, conservatrici o liberali. Penso, per usare una formula, che l'Europa unita dovrebbe puntare a sviluppare con gli Stati Uniti quella special relationship della quale parlò Churchill nel suo famoso di discorso di Fulton del marzo del 1946. E quella special relationship fra gli Stati Uniti ed un'Europa di 400 milioni di abitanti con un reddito nazionale assai vicino a quelli dell'America potrebbe divenire, come è giusto, una relazione fra eguali, chiamati a definire insieme le politiche che possano estendere l'area della democrazia, della libertà e dello sviluppo economico.

Un'area che bisogna continuare a difendere, oltretutto, dalle minacce che oggi si manifestano contro di essa, così come la si difese ieri dal totalitarismo.