Il Ponte sullo Stretto di Messina: qualche riflessione sulla base dell'esperienza di Eurotunnel di Giovanni Pizzo In questi giorni, con la presentazione dello studio di impatto ambientale, è tornato di attualità il tema del Ponte sullo stretto di Messina e si sono riaccese le dispute fra i sostenitori dei diversi punti di vista. La gente appare disorientata di fronte ad un argomento molto delicato che viene dibattuto con argomentazioni molte volte strumentali e populistiche. Il Governo ha affidato molte delle sue carte per rimettere in moto l'economia alle grandi opere pubbliche, cosa che noi Repubblicani abbiamo ritenuto lodevole; ma non dobbiamo dimenticare che le politiche di sostegno della domanda attraverso gli investimenti pubblici non debbono trascurare il fattore dell'equilibrio territoriale che, nel nostro paese costituisce un problema storico. Su questo secondo aspetto il Governo non sta operando in modo soddisfacente: non si vede traccia di organiche politiche di sviluppo per il Mezzogiorno ed in particolare proprio sul tema del recupero delle gravi carenze del sistema infrastrutturale. La quasi totalità dei grandi cantieri aperti o in procinto di esserlo, si trova al Nord ed i Ministri maggiormente impegnati (Lunardi e Tremonti) hanno qualche particolare propensione verso quella parte del Paese, cui non fa adeguato contrappeso il Vice Ministro Gianfranco Miccichè. L'accelerazione che il Governo ha impresso per la realizzazione del Ponte, in un quadro di scarsa chiarezza rispetto ai costi ed alle responsabilità legate alla realizzazione delle infrastrutture di collegamento che lo potranno rendere economicamente efficace, finisce con l'apparire una sorta "donazione riparatrice" che mette a posto la coscienza "meridionalista" di questo Governo, peraltro senza oneri a carico dell'Erario, visto che il Ponte (ma solo quello) lo dovrebbero realizzare i privati. Noi diciamo chiaramente che il ponte non deve essere l'ennesima cattedrale nel deserto, perché così non serve a risolvere i problemi del mezzogiorno; di contro pensiamo che possa costituire un formidabile volano di sviluppo se diventa l'elemento trainante di un disegno organico di sviluppo del sistema dei trasporti terrestri di tutto il meridione, ed in particolare dei trasporti su ferro. A questo proposito è bene tenere presente l'esperienza dell'Eurotunnel, il collegamento fra Inghilterra e Francia sotto la Manica. E' di questi giorni la notizia (il sole 24 ore del 11 febbraio) che la società Eurotunnel nel 2002 per la prima volta da quando è stata costituita (1986) ha chiuso con un utile (508 milioni di euro) e gli interessi finanziari (470 milioni di euro) sono stati coperti dal cash-flow. La società tira un sospiro di sollievo anche se l'attività è ancora molto lontana dagli obbiettivi prefissati sui quali erano stati effettuati i calcoli di redditività dell'investimento (25 miliardi di euro). Il traffico passeggeri (6,6 milioni di unità nel 2002) è inferiore della metà rispetto a quello previsto, mentre le merci trasportate (700.000 tonnellate) sono meno di un terzo delle previsioni. Per tentare di rivitalizzare l'interesse per il tunnel la società eurotunnel sollecita le ferrovie inglesi e francesi a "spingere" con campagne a favore del trasporto su rotaia. Altri elementi su cui si punta sono costituiti dagli investimenti che Francia, Olanda e Belgio hanno programmato per l'alta velocità. Il messaggio ci sembra molto chiaro: senza una continuità infrastrutturale il solo collegamento realizzato con il ponte potrebbe essere contrastato in modo efficace dal sistema di traghettamento tradizionale, proprio come è accaduto alla società eurotunnel; la chiave del successo sta nel collocare una tale opera nell'ambito di un "sistema" da rendere complessivamente preferibile e per il quale l'opera stessa costituisce l'elemento di traino. Ma queste cose sono state dette in modo inequivocabile anche dall'Advisor che ha redatto lo studio di fattibilità economica dell'investimento ponte di Messina. Quindi bisogna essere più chiari: non si tratta di parlare solo del ponte che accende le fantasie degli elettori e potrebbe essere realizzato con capitali privati: il Governo dovrebbe contemporaneamente prendere precisi impegni con programmi dettagliati e risorse finanziarie certe per realizzare il complesso di infrastrutture stradali e ferroviarie per la Campania, la Calabria e la Sicilia che dovranno costituire il "sistema" senza il quale il ponte non reggerebbe alla concorrenza dei traghetti; solo in questo modo, peraltro, si potrà assicurare ai Soggetti privati che si dovrebbero accollare l'onere della realizzazione del ponte il flusso di utenti necessario a sostenere l'investimento. Non vorremo trovarci fra una decina di anni davanti alla necessità di qualche salvataggio di stato per la società concessionaria del ponte senza clienti; è certamente più intelligente utilizzare i soldi per realizzare le infrastrutture collaterali e rendere redditivo l'investimento dei privati, piuttosto che spenderli per pagare il ponte. |