Dalla riforma Moratti a una politica di sviluppo per la ricerca scientifica E' da molti mesi che ricerca scientifica ed innovazione tecnologica costituiscono uno dei temi di riflessione e di proposta politica del PRI, come dimostrano anche i lavori del congresso nazionale di Fiuggi, tenuto nell'Ottobre 2002. In quella sede erano state espresse anche posizioni di critica all'operato del governo Berlusconi, che dopo un anno e mezzo di attività non aveva ancora dedicato attenzione adeguata ad un tema di grande rilievo per il futuro del paese. Le recenti proposte di riforma dello stato giuridico dei docenti universitari e degli enti di ricerca aprono una prospettiva di intervento in questo delicato settore, ma a nostro parere richiedono di essere meglio calibrate per evitare di essere controproducenti. Innanzitutto sgombriamo il campo da strumentalizzazioni e mistificazioni. Che il CNR andasse riformato era una esigenza ampiamente sentita, essendo evidenti le sue pesanti incrostazioni burocratiche, i suoi condizionamenti politici e la sua scarsa attenzione al merito scientifico, censurati qualche anno fa anche da un articolo sulla prestigiosa rivista scientifica "Nature", che riferendosi alla nomina di un gran numero di direttori di istituto fatta a valle della riforma dell'ente realizzata dal governo di centrosinistra, ne sottolineava le scelte clientelari e lo scarso rispetto per le professionalità scientifiche che pure sono presenti in molti laboratori degli istituti.. D'altro canto il professor Giavazzi ha ben documentato, sul Corriere della Sera, inefficienze e incrostazioni burocratiche di un ente nel quale si è smarrito da tempo ogni rapporto tra costi e produttività. Ma il problema di fondo non è ovviamente il CNR. Il problema vero è quale sistema di ricerca e di innovazione tecnologica il paese deve e vuole avere. Per definire questo sistema (cioè una molteplicità di parti che funzionano come una unità), bisogna tenere presente sia le caratteristiche precipue del lavoro di ricerca, sia le condizioni reali - e attuali - del contesto economico-industriale italiano a cui il sistema ricerca scientifica/innovazione deve fare riferimento. Come fare ricerca scientifica? Il lavoro di ricerca scientifica si svolge su due piani: quello della ricerca di base (curiosity driven) e quello della ricerca applicata. La prima porta ad uno sviluppo di conoscenze (sia rilevanti, sia irrilevanti), la seconda porta a definire applicazioni di vario genere (alcune utili, altre inutili). La valutazione della qualità della ricerca si basa su due criteri: il primo è il rigore e la accuratezza del disegno sperimentale, il secondo è il contributo conoscitivo che quella ricerca (anche applicata) fornisce. Come molti prodotti della creatività umana, la ricerca scientifica è difficile da valutare obiettivamente, soprattutto al di sopra di una certa soglia di adeguata professionalità. Dato che molto spesso le grandi svolte della scienza sono partite da ricerche che al momento non sembravano particolarmente rilevanti (es. lo studio degli enzimi di restrizione e la nascita della biotecnologia), è importante per un paese moderno che ci sia un ambito in cui tutta la buona ricerca possa venire liberamente svolta. Questo ambito è in genere dato dai laboratori della ricerca pubblica (università ed enti di ricerca) e deve venire finanziato in modo adeguato, ma sempre su una base di merito scientifico. Ad esempio è certamente frustrante per i ricercatori, e negativo per il paese, con progetti COFIN/PRIN giudicati meritevoli dai revisori non vengano finanziati, come è accaduto in modo ampio anche quest'anno. Ma c'è un'altra area della ricerca scientifica, quella della ricerca competitiva sui grandi temi caldi della scienza: ieri la fisica delle particelle, oggi la genomica e la postgenomica, tanto per fare un esempio. E' la ricerca che richiede notevoli risorse finanziarie, masse critiche di ricercatori accuratamente selezionati e capaci di lavorare in team, organizzazione di supporto valida e di standard internazionale. Questa ricerca competitiva non si fa per decreto, non bastano le risorse finanziarie a farla decollare, e soprattutto non può essere svolta da ogni singolo ricercatore per un periodo troppo lungo della sua vita professionale. Quindi, i centri di eccellenza, se così li vogliamo chiamare, devono essere delle organizzazioni flessibili che ospitino team che svolgano progetti (di 3-5 anni) selezionati in modo rigoroso, a cui offrano le più efficaci condizioni di lavoro. Come accade in molti paesi U.E. e negli USA, i team dei centri di eccellenza si organizzano intorno a docenti universitari in joint-appointment ed a giovani ricercatori a contratto. Il PRI dedicherà presto all'intera materia un'apposita riflessione e metterà a punto un documento articolato, anche per rispondere alle molte richieste che dal mondo dell'Università e della ricerca pubblica si levano in questi giorni contro proposte di riforma che vengono viste, non sempre a ragione, come eccessivamente decisioniste e poco costruttive. Esiste in Italia una committenza per la ricerca? Alcuni titoli di giornale in questi giorni invocano legami più forti della ricerca con il mercato, e ricordano in modo esemplificativo il caso Natta. Purtroppo la situazione dell'industria italiana non è quella degli anni Sessanta e, come il drammatico caso Fiat ha ben illustrato, il declino di competitività ha raggiunto anche le strutture industriali più consolidate. Il penoso 1% del PIL dedicato alla Ricerca e Sviluppo del nostro paese (in confronto con 1,8% medio della U.E. e 3% circa di USA e Giappone) è fortemente influenzato da una spesa delle imprese molto al di sotto dei valori degli altri paesi. Inoltre in molti casi, soprattutto per le high-technologies, manca all'interno delle aziende la cultura capace di individuare quale ricerca scientifica possa interessare all'impresa. Questo è un dato di fatto che non può essere ignorato dal ministro Moratti. Né basta a creare un mercato di ricerca il pur meritorio impegno delle "charities" quali AIRC e Telethon. Bisogna quindi perseguire anche la strada volta a creare condizioni per favorire la crescita di nuove imprese high-tech, se si vuole che il valore aggiunto creato dalla nostra ricerca non vada a rendere competitivi altri "sistemi-paese", come accadrebbe se si trasferisse troppo preso all'estero la proprietà intellettuale sviluppata. Anche su questo tema il PRI sta predisponendo un documento, che suggerisce interventi positivi e soprattutto chiede di cominciare a dedicare nuove risorse finanziarie, ben mirate, allo sviluppo della ricerca e dell'innovazione. Per concludere Il tema della ricerca e dell'innovazione è troppo importante per il paese per essere affrontato in modo brusco e percepito come punitivo. Non bisogna lasciare spazi a chi vuole utilizzare questo tema per scontri e per disinformazione. Non si fanno riforme solo in negativo, bisogna che il positivo, cioè la crescita di nuovi ambiti entro cui svolgere una ricerca valida e motivante, siano aperti contemporaneamente ed in modo significativo alla necessaria riorganizzazione dell'esistente. Solo così il mondo dell'università e della ricerca scientifica, che è stato duramente tartassato dai governi di centrosinistra degli anni Novanta, potrà accettare i cambiamenti di rotta che questo governo propone, ed infine anche apprezzarli. Italico Santoro Lilia Alberghina |