L’eredità mazziniana/Estratto dall’incontro che si è tenuto a Roma lo scorso 9 febbraio Pensatore politico che appartiene alla storia europea di Roberto Balzani* Innanzitutto, grazie, per l’impostazione soprattutto di questo bicentenario fatta qui a Roma, in particolare in questa data memorabile. Io credo che l’operazione di Salvo Mastellone sia una operazione molto importante, perché ci consente finalmente di "secolarizzare" Mazzini. Cosa voglio dire? Voglio dire che fino ad oggi Mazzini, un po’ per ragioni ideologiche, un po’ per genealogie immaginarie che si sono sovrapposte nella storia di questo Paese è stato considerato uno strumento della lotta politica. Inutile negare, da parte di tanti, e anche dai repubblicani, è stato considerato uno strumento della lotta politica. E secondo me è un errore, perché la grandezza di Mazzini è la grandezza di un pensatore politico che appartiene non soltanto a un partito o a uno schieramento, ma appartiene alla storia di questo paese e alla storia d’Europa. E quindi la ricerca di Salvo Mastellone ci consente di storicizzare Mazzini e allo stesso tempo di secolarizzarlo. Faccio un esempio molto semplice. La prima confisca e la prima genealogia immaginaria è quella del nazionalismo, che all’inizio del ‘900 si impadronisce dell’immagine di Mazzini fondatore presunto del nazionalismo italiano. E’ una lettura molto forte, ideologicamente fortissima, che rimane anche dopo la Seconda guerra mondiale, perché, chiunque abbia studiato nei libri di scuola degli anni ‘50 e ancora degli anni ‘60, sa che di Mazzini si sottolineava il fondatore della nazione italiana: Dio, patria e famiglia, cioè esattamente la lettura fascista di Mazzini. Questo è stato; e contro questo poi reagisce la prima lettura, quella di Togliatti degli anni ‘30, che a sua volta ribalta il cliché fascista e dice: allora, se Mazzini è questo, dunque noi siamo fuori, noi lo respingiamo completamente. Dall’altra parte Gramsci fa di Mazzini a sua volta una sorta di feticcio nei suoi "Quaderni dal carcere", perché Mazzini non capisce, secondo Gramsci, appunto, la rivoluzione agraria, la possibile rivoluzione agraria. Naturalmente anche questa è una lettura politica, è una lettura ovviamente ideologica e non storica, perché la rivoluzione agraria non l’ha fatta nessun Paese nel 1800, non c’è stata nessuna rivoluzione agraria in nessuna democrazia mondiale. Ecco, quindi stiamo di fronte a un mito politico che è importante all’interno di una ideologia, quella comunista, ma che naturalmente non ha una base di tipo storico, è un mito politico. E credo che questo sia stato in parte anche un errore dello stesso movimento repubblicano che ha confiscato, diciamo in esclusiva, la lettura di Mazzini, ergendosi in qualche modo a difensore di un patrimonio, come una cosa sua propria, e in questo modo ne ha fatalmente circoscritto il successo, perché l’ha reso in qualche modo un emblema, un logo di partito. E quindi gli altri partiti poi si sono sentiti in dovere di non considerarlo come pensatore europeo o come personaggio internazionale. Questo è il primo punto che volevo trattare. Il secondo punto che mi pare importante, fra ciò che ha detto Salvo Mastellone, è che noi non possiamo domandarci se Mazzini sia socialista o sia liberale. Mazzini è un pensatore politico originale, il che significa che egli è all’origine di una corrente politica e di un pensiero politico. Vale a dire che sotto questa radice non c’era prima niente, perché egli è un uomo che inventa la politica: quindi con Mazzini siamo all’origine di una proposta democratica assolutamente nuova, questo è il punto, una proposta politica che dialoga a destra e a sinistra, che mette i suoi paletti ma che è completamente nuova. E quindi è irriducibile a uno schematismo classico di tipo "o socialismo o liberale", che è il classico modo con cui è stato fino adesso affrontato Mazzini, schiacciandolo su una parte o su un’altra. Invece qui siamo di fronte a una proposta democratica, democratica pura, rivoluzionaria per l’epoca. E’ inutile negarlo, in quell’epoca là Mazzini era l’estrema sinistra. Questo è chiaro, è quasi inutile discuterne. E’ un’origine di tipo democratico purissima e assolutamente non comprimibile. Quindi siamo alla fonte di una delle idee germinali della democrazia, e siccome è l’unica forma di democrazia che il nostro Paese abbia elaborato nella prima metà dell’800, e anche nella seconda metà, non mi pare tutto sommato una cosa da poco. Terzo punto che volevo toccare molto rapidamente: e cioè la questione del linguaggio. Se voi prendete i "Pensieri sulla democrazia" che Salvo ha tradotto, vi rendete conto che questo signore scrive in una lingua modernissima, usa dei concetti assolutamente moderni, parla di dictatorship per dire la dittatura comunista, la chiama dittatura, e usa per primo nella storia del pensiero politico mondiale il termine dittatura per qualificare quella che secondo lui sarà la deriva fatale di un certo tipo di visione comunista della democrazia. E noi restiamo abbagliati. Non è tanto la traduzione di Salvo Mastellone, che pure è bravissimo, è proprio il fatto che Mazzini scriva così. E allora, che cosa significa questo? Che Mazzini che scrive in inglese, in francese, e legge più lingue, e dialoga in Francia con i sansimoniani e con i fourieristi, in Inghilterra con i cartisti e con i comunisti, usa codici linguistici diversi. E quindi è chiaro che, se noi prendiamo gli scritti in italiano, fatti per un pubblico di analfabeti, che non aveva nessuna idea di che cosa significassero i termini democrazia, repubblica, middle class etc etc, è chiaro che quest’uomo deve parlare di dogmi, di fede, di queste cose qui, perché altrimenti il codice linguistico non c’è, la gente non capisce quello che dice. Questo è il punto: non avrebbero capito, in Italia, se lui si fosse espresso in maniera diversa. Però quest’uomo, quando parla in inglese, parla con la sua testa moderna e si esprime molto chiaramente; quindi è un uomo che usa abilmente i vari codici linguistici ed è questo uno dei motivi per cui anche sotto questo aspetto Mazzini va secolarizzato, perché va in qualche modo confrontata la lettura in francese e in inglese delle sue idee con quella italiana, per depurarla di tutto quell’arsenale misticheggiante che c’è nella versione italiana, ma che è indubbiamente in qualche modo legato al pubblico, alla ricezione che ci doveva essere in Italia di questo pensiero. I cerchi concentrici Altro punto: la questione della strumentalizzazione di Mazzini è legata anche al fatto che il suo pensiero è un pensiero non sistematico, e legato fondamentalmente a cerchi concentrici. Il primo cerchio, quello più largo, è il tema nazionale, l’idea di nazione. Mazzini evidenzia il discorso pubblico nazionale, che fino ad allora era stato un discorso culturale, pochissimi l’avevano elaborato in termini politici. Egli è il primo che dice c’è una piattaforma, che è quella della battaglia per l’Italia unita: e su questo discute in termini politici, non in termini culturali come faceva anche Foscolo. Questo era già stato fatto nel Settecento, ma qui si parla in termini politici. Per discutere di questo - sostiene Mazzini - io chiamo nella Giovine Italia tutti quelli che hanno - 1831 - meno di 40 anni, perché quelli che ne hanno di più non capiscono niente, perché sono nati prima della Rivoluzione francese, vale a dire il "vecchio mondo". E’ dunque inutile, sostiene, che stiamo a parlare con loro, perché questo è un mondo nuovo che si apre. Tanto è vero che questo atteggiamento non lo ha reso molto popolare fra i vecchi carbonari, come potete immaginare. Ma Mazzini è infatti il fondatore del discorso pubblico nazionale. A questo punto è chiaro che tutti quelli che si riconoscevano in questo problema dovevano passare di fatto per la Giovine Italia che, fino al 1837, è l’unica agenzia di dibattito nazionale che ci sia nel nostro Paese. Ecco perché Gioberti è passato anch’egli da quella esperienza, visto che, se si voleva parlare di Italia unita in termini politici, o eri mazziniano negli anni ‘30, oppure stavi fuori, perché non c’era altra tribuna. E questo spiega perché tanti in qualche modo sono stati mazziniani in gioventù: è per questo motivo. Poi in Mazzini c’è il secondo cerchio, più stretto, che è il tema democratico - repubblicano, ed è chiaro che, essendo questa una proposta di estrema modernità, per forza di cose l’uditorio è più limitato, è più limitato il pubblico di riferimento, ed è prevalentemente un pubblico di esiliati, prevalentemente un pubblico di persone che stanno fuori dell’Italia o che comunque hanno avuto un’esperienza d’esilio. Perché sono quelli che sono entrati in contatto con questo nuovo aspetto concettuale della democrazia in senso più moderno. E poi, ulteriore cerchio interno: il tema religioso, e lì sono ancora di meno, pochissimi; direi che si contano sulle dita quelli che sono davvero mazziniani. Uno di questi è Aurelio Saffi, sicuramente, perché in questo stadio il tema religioso è un argomento di estrema sofisticazione intellettuale. Mazzini sosteneva, sostanzialmente, che per unire l’umanità (che era il suo obiettivo politico, come è chiaro) bisognasse superare anche gli steccati non solo delle nazioni, ma anche delle religioni, tema modernissimo, e che quindi bisognasse fare una sorta di "grande spremuta" delle religioni, togliendo tutti i dogmi, ma lasciando quelle massime universali che ogni religione ha portato al senso comune dell’umanità, all’etica dell’umanità. E quindi bisognasse costruire una grande religione delle religioni di tipo umanitario, sulla quale si potessero incontrare tutti gli esseri umani. Ecco perché Dio in questo senso non è certamente il Dio dogmatico: è il Dio di una grande visione etica dell’umanità che poteva affratellare il genere umano. Mazzini e le considerazioni sul marxismo Ultime due considerazioni, rapidissime. La prima. Vivente Mazzini, Mazzini è una persona che fa di fatica ad essere strumentalizzata, se non c’è naturalmente una volontà politica di farlo, perché è uno che i paletti li ha messi per conto suo: li mette nel 1846 a sinistra, con il marxismo. Ed è chiaro che cosa dice del comunismo, prima ancora che sia scritto "Il manifesto". L’altro paletto lo mette nel 1871, ed è con il nazionalismo. Scrive sulla "Roma del Popolo" nell’ottobre del 1871 un articolo intitolato "Nazionalità e Nazionalismo". In quella sede sostiene: sia ben chiaro che la mia idea di nazione non ha nulla a che vedere con l’idea di nazionalismo che in questo momento sta emergendo negli Stati europei e che li sta dividendo su una base di tipo razziale, etc etc., perché noi pensiamo che la nazione sia uno strumento per unire l’umanità e non per dividerla. Quindi quest’uomo i suoi paletti li ha messi per proprio conto, nettamente, e non c’è bisogno di dare una lettura esterna dei confini della sua visone. E, ultima cosa. Ma perché Mazzini ci è contemporaneo? Secondo me Mazzini ci è contemporaneo perché è inattuale, è inattuale perché il suo disegno democratico fallisce negli anni ‘50, ma anche nei primo anni ‘60. Nonostante i suoi estremi tentativi, che sono quelli di pensare che la democrazia si costruisce insieme all’interno e all’esterno: cioè la democrazia non è un prodotto di una pura trasformazione interna di un Paese, è uno strumento che si gioca dentro il Paese e nelle relazioni internazionali. Le due cose stanno insieme, e questa è stata sempre la sua battaglia, sempre. Se una delle due manca, la democrazia in un solo Paese a lui personalmente non interessa, non gli interessa. E quindi, quale è stato uno dei limiti a lui fatali? Che quando finisce la prospettiva rivoluzionaria democratica a livello europeo, è chiaro che anche la prospettiva del mazzinianesimo perde appeal, perché non riesce più a camminare, non ha più una delle gambe per affermarsi, così diventa una forma di dottrina, se vogliamo. Una teoria dello Stato di tipo democratico che sopravvive, ma limitata, ma fortemente limitata: questo è il punto. E quindi in quegli anni Mazzini perde questa opportunità e noi dobbiamo essere consapevoli di questa inattualità - fino ad oggi - del pensiero mazziniano. Ma sapere che questa inattualità è anche la sua contemporaneità, perché oggi noi siamo perfettamente consapevoli che le democrazie non stanno in piedi soltanto dentro i singoli Stati ma bisogna costruire dei processi democratici di livello internazionale o mondiale, e le due cose sono assolutamente legate, non possono funzionare una senza l’altra. E quindi sotto questo profilo io credo si possa dare una risposta a questo bicentenario: però, ripeto, bisogna che tutti voi ci aiutate in questa diffusione. Aiutate il professor Mastellone in primo luogo, ma anche chi, come me, da professore universitario, cerca di fare questa battaglia, che è quella appunto di ridare a Mazzini una dimensione che fino a questo momento purtroppo è stata a lungo sacrificata. *Professore ordinario di Storia Contemporanea, Università di Bologna |