Mazzini nostro contemporaneo/La lezione di democrazia del grande patriota genovese Le sue riflessioni al centro del dibattito europeo Intervento pronunziato dal segretario nazionale del Pri, Francesco Nucara, durante il convegno "Mazzini nostro contemporaneo", Roma, 9 febbraio 2005, Sala delle Colonne, Camera dei deputati. di Francesco Nucara Per noi repubblicani il 9 febbraio, anniversario della Repubblica Romana, è sempre stata una ricorrenza importante. La Repubblica Romana segnò un momento fondamentale nel cammino verso l’unità italiana e vide Giuseppe Mazzini fra i triumviri che governarono la Repubblica i quali produssero una Carta Costituzionale che è un modello di semplicità e di chiarezza. Nelle case delle famiglie repubblicane della Romagna, in occasione del 9 febbraio, si accendevano dei lumi alle finestre per ricordare l’evento e nel buio delle campagne di un tempo, quelle luci indicavano l’adesione agli ideali mazziniani. Ed è per questo che abbiamo scelto il 9 febbraio per parlare di Mazzini. Non vogliamo però una manifestazione celebrativa, bensì un dibattito con esponenti di primo piano della politica e della cultura su ciò che Mazzini può rappresentare oggi per la società italiana. La figura di Mazzini non è stata controversa soltanto negli anni del Risorgimento. Anche successivamente, essa è rimasta una figura che non è necessariamente appartenuta alla memoria politica condivisa. Ricordo che, quando nel 1949 venne collocato sull’Aventino il monumento a Mazzini, il "Comitato nazionale per le onoranze a Giuseppe Mazzini" pubblicò un volume di testimonianze di 224 politici e intellettuali di diversa estrazione. Fra gli altri vi erano scritti di Sturzo e De Gasperi, di Einaudi e Salvemini, di Parri e Ruini, di Conti e Perassi, per citarne solo alcuni. Ma fra questi nomi si distinguono alcuni grandi assenti, e in modo particolare, i leader di quella che allora era la sinistra di classe, reduce dalla bruciante sconfitta del Fronte popolare del 18 aprile ‘48. Probabilmente quell’assenza, che aveva la sua base nel giudizio radicalmente negativo su Mazzini dato a suo tempo da Palmiro Togliatti, era un riflesso dell’antica contrapposizione ideale fra Mazzini e Marx, sia per l’accusa che Mazzini aveva rivolto al socialismo di essere inevitabilmente destinato a sfociare nella tirannide, sia per la contrapposizione fra l’ideale nazionalistico e l’internazionalismo proletario che era uno dei grandi fondamenti del lascito marxiano. Oggi, sullo sfondo di un paesaggio geo-politico che non è più quello della "guerra fredda", quell’assenza non avrebbe più senso. E non l’avrebbe perché la sinistra, quella che vuol essere la sinistra riformista di governo, crollato il comunismo, con il lungo corteo dei suoi orrori e dei suoi crimini, non può non ricercare nuovi riferimenti in pensatori nel cui nome coniugare il binomio giustizia e libertà, come fu essenzialmente nel pensiero di Giuseppe Mazzini. Questa fu probabilmente la riflessione che mosse Bettino Craxi a suggerire di includere Giuseppe Mazzini, oltre a Garibaldi, ed a fianco di Proudhon, nel pantheon di un partito socialista che cercava politicamente di individuare dei riferimenti non marxiani e in ogni caso diversi da quelli del PCI. Quella scelta di Craxi era fortemente strumentale e forse sostanzialmente ingiustificata sotto il profilo storico dal momento che Mazzini considerava le idee di Proudhon altrettanto distanti dalle proprie quanto quelle di Marx. E tuttavia indicava una prima rottura di quello che si può considerare come il fronte del rifiuto di Mazzini da parte della tradizione socialista e comunista italiana. Forse oggi è matura la possibilità di un ulteriore passo in avanti da parte dei partiti eredi sia della tradizione socialista che di quella comunista. Per la destra italiana, invece, la situazione era ed è in parte diversa. La destra aveva già trovato in Mazzini un riferimento ideale. E tanto Croce e Gobetti lo avevano criticato, tanto Gentile lo aveva esaltato. Per la destra quindi non si dovrebbe parlare di riscoperta di Mazzini, ma di una sua lettura aggiornata. Aggiornata, in quanto il Mazzini conosciuto ed anche apprezzato dalla destra era il Mazzini apostolo dell’unità nazionale, campione della nazione italiana. Ma considerare Mazzini esclusivamente come ideatore della nazione, significa limitarne il contributo che è invece assai più ampio e più complesso. Nella polemica che lo divise da Marx, Mazzini collegò strettamente democrazia e nazione. Sono appunto i due termini che portarono il fondatore della "Giovine Italia" e il tenace organizzatore delle prime società operaie ad uscire, nel 1864, dalla prima Internazionale, consumando a sinistra quel primo strappo cui ne seguiranno molti altri. Strappi che possono leggersi nello stesso codice genetico del comunismo, profeticamente avverti- Segua a pag. 3 continua - to da Mazzini fin dal 1850, ossia a due anni dalla pubblicazione del Manifesto di Marx ed Engels, come "la più tremenda tirannide che l’uomo possa ideare sulla terra". Ma per Mazzini la nazione non era lo sfondo ultimo della costruzione della democrazia. Benché deciso a realizzare l’unità italiana, egli, che era un pensatore integralmente democratico, vedeva i limiti o dovrei dire i pericoli del nazionalismo e per questo sviluppò parallelamente all’idea di nazione l’idea di Europa come il luogo entro il quale si sarebbe potuta realizzare la fratellanza fra le nazioni d’Europa. Dunque un pensiero democratico molto profondo e moderno per quanto riguarda le istituzioni politiche ed altrettanto moderno anche per ciò che riguarda le concezioni economiche. In queste Mazzini si dichiarò distante sia dalle posizioni del liberalismo classico inglese di Bentham, che dai propositi di collettivizzazione del socialismo di Marx. In fondo, l’idea di una terza via fra il liberalismo estremo ed il socialismo che ha improntato il pensiero democratico nel novecento – da Keynes a Beveridge – nonché l’azione riformatrice di uomini come Francis Delano Roosevelt e del suo New Deal, risponde a questo sforzo, di cui Mazzini fu antesignano, di superare i limiti dell’egoismo individuale esclusivamente esaltati dal liberalismo inglese senza cadere nell’opposto eccesso della collettivizzazione. Ed è da questa stessa origine, mediata proprio dalla conoscenza del pensiero economico del ‘900, che Ugo la Malfa trasse le sue idee originali sulla programmazione economica e soprattutto sulla politica dei redditi. E’ qui che la lezione di Giuseppe Mazzini può idealmente costituire ancora oggi il punto d’incontro di quel nuovo compromesso sociale che fece dire a Luigi Salvatorelli, a chiusura del suo scritto in occasione del primo centenario della Repubblica romana, che "se nell’ultimo terzo del secolo decimonono Marx aveva sconfitto Mazzini, nella seconda metà del ventesimo Mazzini supera definitivamente Marx". Dunque noi che siamo gli eredi orgogliosi di questa tradizione ci sentiamo impegnati a partecipare alle battaglie politiche dell’oggi, guardando al domani, ma avendo ben salde le radici su cui poggiano il nostro pensiero e la nostra azione. L’amico La Malfa al quale è affidata la conduzione del dibattito di oggi, spiegherà ora su quali temi verterà la discussione. Ma nel concludere questa mia introduzione tornano alla mente le parole con le quali Giosuè Carducci salutò a Bologna il passaggio della salma di Mazzini. "Oggi che è morto, o Italia quanta gloria e quanta bassezza e quanto debito per l’avvenire". Noi vogliamo lasciare agli storici di ricostruire il Mazzini storico – la gloria come le bassezze che subì nel suo tempo. Vogliamo invece concentrarci sul debito dell’Italia verso Mazzini, cioè sull’insegnamento che egli può ancora dare ai problemi di oggi ed a quelli di domani. |