Socialdemocrazia e egualitarismo/Perché, secondo Rutelli, sono parole fuori moda

Distinguere fra valori sicuri e slogan del passato

di Tommaso Alibrandi

Le parole di Rutelli su socialdemocrazia ed egualitarismo sono molto interessanti. Oggi non siamo più nemmeno tanto sicuri che egli le abbia pronunciate, dopo la smentita di seguito intervenuta, ma qui non interessa tanto che sia stato Rutelli a pronunciarle, eventualmente in vista di qualche disegno politico; qui interessa soltanto il senso obbiettivo di quelle parole che vanno prese per quello che sono e non per la personalità di chi le ha pronunciate o degli scopi a cui possono essere finalizzate. Per cominciare, è esattissimo il riconoscimento della vecchiaia – anzi, della ormai avvenuta mummificazione - di certe tesi, di certe convinzioni, di certe strategie della sinistra. Intendiamoci: alcune di queste convinzioni non erano sbagliate ed, anzi, ai loro tempi, i comportamenti politici che ne derivavano sono stati da apprezzare. Ma, proprio perché in molti casi i valori della sinistra hanno vinto e sono entrati nel comune sentire della società attuale, essi sono ormai consegnati alla storia, e quindi non hanno più alcun ruolo da svolgere. In questo senso, paradossalmente (ma qui il discorso ci porterebbe troppo lontano) oggi come oggi le vere innovazioni culturali e politiche vengono dal centrodestra. Queste innovazioni possono piacere o non piacere, ma fatto sta che esse rappresentano una vera rottura rispetto al trentennale conformismo cattocomunista. Insomma, nell’attualità, sentir cantare "Bandiera rossa" come inno rivoluzionario a piazza del Popolo e come canzoncina natalizia a piazza Navona, fa davvero tenerezza.

Egualmente è da condividere la critica all’egualitarismo (o, almeno, certe esasperazioni di esso). Quando eravamo giovani ci si insegnava che uno degli scopi più nobili del socialismo era quello di consentire a tutti, e non solo ai figli dei ricchi, di procurarsi una istruzione quanto più possibile completa. Ma quei maestri del buon socialismo esigevano anche che il giovane da aiutare ne fosse meritevole, ci mettesse cioè del suo (come volontà d’impegno, come capacità di apprendimento e magari anche, perché no?, di sacrificio personale). Quando è scattata la logica del trenta politico, il degrado della scuola ha preso proporzioni inarrestabili. E così la realtà si è vendicata di certe assurdità ideologiche. Per fare un esempio: se un convoglio di navi di caratteristiche diverse, partendo dal porto di Napoli deve arrivare a quello di Genova nella stessa composizione, allora è fatale che il convoglio navighi alla velocità della più lenta delle sue navi. Ciò ha una valenza sociale di importanza addirittura strategica; giacché una società istruita e, dunque, formata sulla falsariga del meno capace, è una società fatalmente destinata ad avvitarsi in una regressione progressivamente sempre più grave.

Qualche maggior cautela occorre per valutare la tesi sulla socialdemocrazia. Intanto, bisogna comprendere a quale tipo di socialdemocrazia ci si riferisce, se a quella di Saragat o a quella dell’attuale sinistra. La socialdemocrazia di Saragat ci sta benissimo, anzi è probabile che essa sia stata la posizione politica vincente nelle battaglie sociali del ventesimo secolo. E’ vero che, proprio perché ha vinto, questo tipo di socialdemocrazia non può più essere un programma per il futuro; ma rimane, comunque, un sicuro valore che va conservato e difeso con forza. Se invece si tratta della socialdemocrazia dell’attuale sinistra, è necessario un chiarimento politico non equivoco; giacché è evidente a tutti - e, del resto, è orgogliosamente rivendicato dai suoi esponenti – che parte della sinistra odierna esorbita largamente dal terreno della socialdemocrazia. I socialdemocratici saragattiani non cantavano "Bandiera Rossa".