Le leggi sull’elezione dei consigli regionali e la nascita del "partito dei governatori"/Si è creato un clima di conflittualità tra i diversi organismi e il dualismo tra i presidenti e i partiti "Ricercare regole che evitino iniziative personalistiche" di Pino Vita* Il tema delle liste dei cosiddetti governatori sta occupando la cronaca e il dibattito politico e la conclusione non è stata ancora pienamente raggiunta, non ostante le assicurazioni in questo senso scaturite dopo l’ultimo vertice della CdL. I motivi del ritardo sono legati alle numerose implicazioni che l’iniziativa di alcuni presidenti ha messo in moto. La legge per l’elezione dei consigli regionali a statuto ordinario era stata varata nel 1995, modificando le vecchie norme del 1968 che avevano accompagnato l’avvio dell’esperienza regionale nel 1970, e successivamente integrata, nel 1999, con quelle riguardanti l’elezione diretta del presidente della Giunta e l’autonomia statutaria delle Regioni. Le norme conciliavano, da una parte, la figura del Presidente che con l’elezione diretta avvicinava la sua immagine a quella di un "governatore" e, dall’altra, consentivano la salvaguardia del ruolo dei partiti che con l’applicazione del meccanismo proporzionale per l’elezione dei candidati delle liste provinciali e con il "listino" basato sul premio di maggioranza ritrovavano una funzione specifica. Le norme erano maturate a metà degli anni novanta, nel momento di maggior crisi dei partiti storici, da cui aveva preso l’avvio la nascita di nuove formazioni politiche e la trasformazione, anche se per molti aspetti solo nominale, di altri. La soluzione trovata riuscì a rendere più stabile la vita delle regioni, basata sul rigido principio che in caso di dimissioni o per altri impedimenti permanenti del presidente "eletto a suffragio universale e diretto" il Consiglio sarebbe stato sciolto e si sarebbero tenute nuove elezioni. Quelle norme hanno reso indubbiamente più stabile la vita delle regioni, ma a chi ha seguito in questi anni in maniera non superficiale l’attività delle stesse, non è sfuggito quanto sia stata solo apparente la stabilità politica e istituzionale realizzata e come tra i diversi organi Presidente, Giunta, Consiglio, Gruppi, Partiti ci fosse, invece, una continua e non sempre nascosta conflittualità. Tale clima era dovuto anche al ritorno sulla scena dei partiti politici che, usciti dalla crisi dei primi anni novanta, non si accontentavano più di essere relegati a semplici comitati elettorali ma volevano tornare ad esercitare un ruolo di guida politica e d’indirizzo sull’attività della maggioranza. Il sistema elettorale unito alla possibilità di nominare, anche al di fuori della volontà dei partiti, "assessori esterni"e la grande autonomia gestionale ha pertanto finito per rafforzare progressivamente il ruolo dei presidenti determinandone la loro trasformazione effettiva in "governatori";da qui la nascita di un dualismo tra gli stessi che, forti di poteri autonomi, consideravano come un’invadenza il compito delle organizzazioni partitiche. Da questa divaricazione, alimentata dalle incertezze degli stessi partiti non ancora capaci di esercitare un nuovo ruolo in un sistema politico ed elettorale mutato e che non hanno saputo mantenere un collegamento reale con la società, è maturata l’iniziativa del "partito dei governatori" che ha avuto caratteristiche diverse da regione a regione per cui solo alcuni hanno assunto l’iniziativa di voler formare una propria lista. Il punto che non è stato messo sufficientemente in evidenza nella discussione che è seguita all’iniziativa dei presidenti è stato quello relativo alle modalità di raccolta del loro consenso elettorale, basato sui voti riportati dalle liste dei partiti della coalizione più quelli ottenuti direttamente dalla candidatura del presidente. Avviene in sostanza che un cittadino scegliendo una lista finisce per votare sempre per il presidente della coalizione cui la stessa è collegata, anche se questa non era l’intenzione originaria dell’elettore. Le contraddizioni e le incongruenze che accompagnano l’iniziativa, relegandola ad una esperienza di "liderismo" e di potere personale, sono legate prima di tutto al fatto che i presidenti provengono in larga parte dall’esperienza e spesso dalla militanza in uno dei partiti della coalizione che li sostiene; partiti che gli stessi vogliono non riformare, perché questo sarebbe più che legittimo, ma principalmente ridimensionare nel loro ruolo di guida politica della maggioranza, in maniera da non subirne i condizionamenti. La seconda contraddizione, e di non minore rilevanza, riguarda la pretesa di voler allargare i confini della maggioranza utilizzando il listino del maggioritario per candidature di personaggi che dichiarando di provenire dalla società civile non si riconoscono nella logica dei poli. A tale proposito va rilevato che la ricerca di nuove equilibri politici spetterebbe ai partiti che hanno il compito di valutare i programmi, controllarne la realizzazione e scegliere le opportune alleanze. La sfida dei governatori di voler costituire una nomenclatura esterna ai partiti, non attraverso una elezione ma sull’utilizzazione del "listino" rappresenta un’operazione che non trova giustificazioni valide se non nella confusione che caratterizza l’attuale momento politico. Non è questa la sola anomalia del sistema vigente che vive la sua prolungata e confusa fase di transizione, per cui il Pri, che ha dovuto compiere scelte di campo, anche radicali, per difendere la propria identità di partito legato ad una storia nazionale dovrà a cominciare dal prossimo congresso cercare nuove regole che nel futuro evitino l’affermarsi di liste personali, di partiti costruiti su misura e privi di qualsiasi visione degli interessi generali dei cittadini e del Paese. *Responsabile nazionale Pri Enti locali |