Il Paese e le corporazioni/Se i piani di sviluppo si scontrano con le posizioni di rendita Sostituire alla logica del privilegio quella dell'efficienza di Giovanni Pizzo Fa piacere constatare che soggetti rappresentativi di importanti settori del Paese condividano le nostre analisi sulle cause di fondo della crisi italiana. Significativo, al riguardo è l'articolo del Presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo, sul "Sole 24 Ore" del 27 dicembre 2005 dal titolo: "Da crisi e scandali l'Italia può risalire", in cui l'autore, pur se con un atteggiamento autoassolutorio generalizzato per il mondo delle imprese, centra il cuore del problema quando afferma che "la crescita zero è la risultante aritmetica di due grandi fenomeni: da un lato le imprese che, con sforzi straordinari riescono a progredire, a innovare, a consolidare o a espandere le loro quote di mercato; dall'altro la mancanza di coraggio di un sistema di corporazioni che resiste ai cambiamenti, alle flessibilità, alla competizione, alle liberalizzazioni di cui abbiamo bisogno". Anche noi, analizzando le cause profonde della crisi del sistema Italia, eravamo arrivati alla conclusione che esse andavano ricercate nel nuovo "dualismo" economico che sta spaccando sempre più il Paese creando pericolose contrapposizioni territoriali e sociali. Noi lo abbiamo descritto con l'immagine dello "tsunami" (la globalizzazione e l'euro forte) che investe chi sta sulla costa (le imprese sottoposte alla concorrenza) e che vi deve far fronte con sacrifici, distruzioni ed arretramenti, mentre su, in collina, si mantengono lussi e privilegi al riparo dei protezionismi e dei corporativismi, e persino si approfitta dei guai altrui. Il Presidente Montezemolo sottace il fatto che il mondo delle imprese aveva condiviso a lungo con la politica la comoda scelta di tollerare il sistema delle protezioni e delle corporazioni nel mercato interno, ricevendo come ricompensa le periodiche svalutazioni della lira per mantenere posizioni competitive nei mercati esterni. Le corporazioni protette, con il tempo, sono diventate vere e proprie "coalizioni distributive", gruppi di pressione, trasversalmente presenti in tutti i partiti (quelli maggiori), interessate non allo sviluppo ed all'ampliamento delle risorse disponibili, ma alla speculazione, all'accaparramento ed alla distribuzione delle risorse esistenti. Ma l'euro ha spezzato questo patto scellerato e la globalizzazione ne ha accelerato le conseguenze. Ciò nonostante le corporazioni e i furbetti della collina hanno continuato quel tipo di affari che le cronache delle vicende giudiziario - finanziarie di questi mesi ci stanno descrivendo. Oggi, tutti (o quasi) a parole, indicano nelle liberalizzazioni, nelle flessibilizzazioni e nelle innovazioni del sistema, i nodi da aggredire per invertire il processo di declino del Paese. Ma quanti sono davvero disposti ad affrontare i relativi sacrifici? Non vorremmo assistere alla sindrome nimby ("not in my backyard", ovvero non nel mio cortile) già di moda nel campo ambientale: le riforme per debellare il sistema delle corporazioni si debbono fare, ma intaccando i privilegi degli altri e non quelli dei miei elettori. Il Partito repubblicano italiano, che guarda sempre (e solo) agli interessi del Paese, non è condizionato dalle corporazioni ed è sicuramente schierato con le forze del rinnovamento e dello sviluppo; per questo ha fatto del Piano per l'innovazione, la crescita e l'occupazione (Pico) il proprio manifesto programmatico per le prossime consultazioni elettorali. Attraverso il Piano, il Pri pone al centro della prossima legislatura l'obiettivo della crescita, ma non una qualsiasi, bensì la crescita verso una società basata sulla conoscenza, che è il fondamento della strategia di sviluppo dell'Unione europea. E non a caso i quattro pilastri del Pico (ricerca scientifica e innovazione tecnologica; rafforzamento dell'istruzione e valorizzazione del capitale umano; infrastrutture materiali e immateriali; protezione dell'ambiente) hanno la base di sostegno fondamentale nei provvedimenti per ampliare l'area di libera scelta dei cittadini e delle imprese. Attraverso le liberalizzazioni nel settore dei servizi, in linea con gli orientamenti comunitari; il rafforzamento del sistema di autorità indipendenti per la tutela del consumatore e la regolazione di prezzi e tariffe; una pubblica amministrazione che ponga il cittadino e le imprese (e non se stessa) al centro della propria attività amministrativa e che aumenti la propria efficienza ed efficacia. Il Pri ha chiari gli obiettivi, gli strumenti e le conseguenze di queste azioni. Gli altri hanno idea di quali e quante "corporazioni" dovranno rinunciare a piccoli e grandi privilegi per realizzare questo programma? |