Pri, dibattito sulla via liberaldemocratica/Una risposta alla proposta di Torchia

La nostra autonomia richiederà delle scelte adeguate

Riceviamo e pubblichiamo.

di Paolo Arsena*

Qualche giorno fa, su questo giornale, Franco Torchia ha invitato a dibattere sulla via liberaldemocratica, oltre gli schieramenti attuali. Intervengo sull'argomento, in qualità di repubblicano impegnato da diverso tempo sul fronte della ricomposizione della diaspora.

Se il Partito repubblicano versa in condizioni critiche, prendere atto della situazione e cercare nuove strade rappresenta certamente un passo positivo, ma non sufficiente a risolvere il problema. Non è possibile, cioè, evitare di affrontare con severo cinismo e con matura lucidità, la causa principale del tracollo elettorale e del disfacimento in corso.

E' vero, come sottolinea Torchia e come spesso si ripete, che il bipolarismo è stato la causa principale della rovina. Esso ha spinto i repubblicani a scegliere da che parte stare, finendo per fomentare dispersioni, subalternità e, soprattutto, divisioni.Ma l'errore fatale del Pri è stato proprio quello di aver ceduto alle insidie del sistema, assecondandone l'invito disgregante. Il partito non ha cioè saputo investire nella solidità delle proprie radici, che l'hanno sempre distinto come forza illuminata, liberale e di progresso, espressione di una sinistra laica e democratica. Una sinistra radicalmente diversa e distinta sia da quella di matrice marxista che da quella cattolica, ma comunque obbligata, in una dicotomia destra-sinistra, a confrontarsi e a collaborare con esse, così come ha fatto fino al 2001. La trappola bipolare sarebbe stata così elusa, e si sarebbe evitata la lacerazione verticale, e l'ulteriore emorragia progressiva del proprio elettorato e dei militanti.

La coabitazione con le pulsioni secessioniste, con un partito postfascista di massa, con un plutocrate considerato dalla metà degli italiani come la negazione della sanità democratica, non doveva essere in alcun modo contemplata da un partito che trae origine dal patriottismo unitario e dal senso delle istituzioni, che prende le mosse dalla Sinistra storica, si imbeve di antifascismo e si distingue nel dopoguerra come forza moderata di centrosinistra: un albero col tronco al centro e i rami orientati a sinistra, come diceva Giovanni Spadolini. Pagine che sono tutt'oggi vive e attuali nell'animo dei tanti che ancora si ritengono repubblicani, sia pure sparsi un po' ovunque o rintanati nell'eremo dell'astensione.

E se la scelta di centrodestra oggi non è rinnegata da una parte (non tutta) della militanza attuale del Pri, basta contarsi per capire che i tanti repubblicani che non l'hanno digerita sono ormai "ex" del partito, e militano oggi nei Repubblicani Europei, nei Ds, nella Margherita, con Di Pietro, in formazioni repubblicane locali, oppure sono rimasti a casa, in sofferto digiuno dalla politica attiva.

A queste decisioni di principio, invece, il Pri ha sostituito il cinico pragmatismo delle contingenze, forse capace di qualche piccola rendita immediata, ma di prospettiva sicuramente letale. Si dirà che ne andava della sopravvivenza. Ma le scelte politiche hanno un prezzo, a volte ben più alto delle fatiche e delle incertezze quotidiane.

Dunque, è da queste considerazioni che occorre partire. Senza questa presa di coscienza, la strada autonomista e liberaldemocratica rischia di rappresentare solo l'ennesimo trasformismo che mantiene intatto l'equivoco di fondo e resta incapace di incidere sul giudizio dei fuoriusciti e quindi di intercettare la diaspora.

La minoranza di Riscossa sostiene da sempre la via alternativa che si sta profilando. E lo fa da una posizione forte, perché localmente non si è compromessa con le scelte della dirigenza nazionale, da Bari in poi. E' bene che a un cambio di linea segua anche un ricambio ai vertici, dando spazio a chi questa posizione l'ha indicata per tempo e con coerenza. Sarebbe un segnale decisivo, capace di iniettare nuova linfa e di restituire una diversa credibilità al Partito repubblicano.

D'altra parte, si avverte un'esigenza sempre più diffusa di ricomporre tutta la diaspora.

Il 30 settembre scorso una grande assemblea trasversale di repubblicani ha dato un primo via a questo difficile percorso. L'iniziativa è partita dai tanti repubblicani collocati, a vario titolo, nel centrosinistra e da quelli che, pur standoci, non hanno condiviso l'ubicazione nel centrodestra. Sta maturando la consapevolezza che gli errori li hanno commessi tutti, nel tempo, sebbene qualcuno sia ancora deciso a perseverare. E dopo le macerie prodotte, è giunto il momento di ricostruire.

Per il Pri si tratta del passaggio più difficile. Il progetto che sta accarezzando è un ottimo viatico, ma occorre trovare il coraggio di un taglio netto col recente passato, capace di segnare con forza i contorni del cambiamento e di aprire davvero una pagina bianca su cui ricominciare a scrivere.

*Forum per l'Unità dei Repubblicani, membro del Coordinamento Nazionale