"Il Sole 24 Ore" 15 gennaio/Costituita nel 1946 con un capitale iniziale di un miliardo di lire, per il banchiere della Comit si doveva chiamare "Unionbanca" - Fondamentale la distinzione della sua attività da quella degli istituti di credito che la fondarono

Mediobanca, la grande idea di Mattioli

Nelle scorse settimane i giornali hanno ampiamente riferito di contrasti nel consiglio di amministrazione di Mediobanca fra i rappresentanti delle maggiori banche azioniste e l'amministratore delegato dell'Istituto. Non si tratta, come forse potrebbe apparire, di contrasti di carattere personale: la definizione dei rapporti fra le banche azioniste dell'Istituto e il management è un problema che ha accompagnato da sempre la vita di Mediobanca. Esso è, per così dire, connaturato alla difficoltà di tenere separati i diversi aspetti dell'attività delle aziende di credito. Giorgio La Malfa, che conosce a fondo le vicende del sistema bancario e finanziario italiano, ha scritto tre articoli dedicati a questa questione. Pubblichiamo oggi il primo.

di Giorgio La Malfa

Il susseguirsi di frequenti crisi bancarie nel decennio successivo alla fine della prima guerra mondiale, i ripetuti interventi di salvataggio da parte dello Stato ed il sempre più profondo coinvolgimento della Banca d'Italia in queste vicende fece emergere la necessità, all'inizio degli anni trenta, di una riorganizzazione complessiva del sistema creditizio italiano. L'intervento, ideato da Alberto Beneduce, allora Presidente della Bastogi ed autorevole consigliere di Mussolini, venne realizzato molto rapidamente fra il 1933 e il 1934 con la costituzione dell'IRI, il trasferimento ad esso delle azioni detenute nei portafogli della Comit, del Credito e del Banco di Roma, fra le quali vi erano anche le azioni delle banche stesse, l'accollo all'IRI dei debiti del sistema bancario verso la Banca d'Italia e la definizione dei trasferimenti dal Tesoro all'IRI per il finanziamento dell'operazione.

Il punto cardine del progetto di Beneduce fu la separazione fra il credito commerciale ed il credito mobiliare, l'eliminazione cioè della banca mista "di tipo tedesco" (secondo la terminologia di Donato Menichella in un documento del 1944), il cui massimo esempio era stata la Banca Commerciale di Giuseppe Toeplitz. La separazione fu sancita nelle Convenzioni fra l'IRI e le banche con cui si definirono gli interventi di salvataggio e nelle quali i dirigenti delle Banche assunsero "solenne impegno morale" a "limitare la propria azione ad investimenti di pronta liquidità, escluso ogni immobilizzo di carattere industriale, anche sotto forma di partecipazioni azionarie o di anticipazioni." Le successive leggi bancarie del 1936-37 fissarono l'assetto giuridico del settore del credito, rimasto immutato nell'intero secondo dopoguerra fino alla emanazione del Testo Unico del 1993, di cui si dirà più oltre.

Naturalmente, la separazione fra le varie tipologie del credito non voleva, né poteva voler dire l'eliminazione del credito mobiliare, ovviamente indispensabile per lo sviluppo degli investimenti. Nella relazione all'Assemblea della Bastogi per l'esercizio 1932, Beneduce aveva scritto che, per normalizzare il mercato finanziario, era necessario convogliare il risparmio al finanziamento delle aziende "mediante lo sviluppo del mercato delle obbligazioni, a medio e a lungo termine, attraverso l'opera di accreditate società di rinvestimenti azionari, indipendenti da interessi particolari di gruppo, e gestite con rigidità di criteri." Egli era tornato sulla distinzione fra credito commerciale e credito mobiliare nell'Assemblea del 16 maggio 1936, nella quale aveva salutato con favore la recente legge bancaria (peraltro predisposta in seno all'IRI di cui aveva assunto la Presidenza nel 1933, all'atto della costituzione dell'Istituto) perché essa stabiliva con chiarezza che gli istituti di credito ordinario avrebbero svolto "la funzione di organi distributori del credito per l'attività degli scambi e per i bisogni del ciclo di produzione", mentre il credito mobiliare sarebbe stato concentrato "in un solo potente organismo" (Beneduce allora riponeva grandi speranze nell'IMI da poco costituito ma rimasto largamente inattivo fino al secondo dopoguerra).

Quanto a Raffaele Mattioli, che aveva sostituito Toeplitz alla guida della Comit all'atto del salvataggio operato dall'IRI, egli era stato favorevole alla limitazione degli interventi delle banche commerciali al breve termine in quanto, come scrisse nel 1934, una delle conseguenze più negative della commistione fra credito bancario e credito industriale era che essa rischiava di coinvolgere la banca centrale nel finanziamento delle industrie attraverso il rifinanziamento delle banche commerciali. Ed aveva aggiunto: "Il solo rimedio radicale e' la restituzione delle banche di credito ordinario alla loro specifica funzione di esercizio del credito commerciale" e la creazione di Istituti specializzati nel credito industriale. In tal modo "le industrie, potendo attingere ad Istituti specializzati il credito a lungo termine di cui abbisognano, possono attendere al loro necessario sviluppo senza quelle preoccupazioni di ordine finanziario che erano inevitabilmente connesse agli eccessivi finanziamenti bancari."

Mediobanca fu costituita il 10 aprile 1946 con un capitale iniziale di un miliardo di lire sottoscritto per il 35% ciascuno dalla Comit e dal Credit e, per il restante 30%, dal Banco di Roma. L'iniziativa per la costituzione della nuova banca era stata presa da Raffaele Mattioli nel settembre del 1944. Essa rifletteva la concezione della divisione del lavoro fra credito commerciale e credito mobiliare sancita negli anni trenta, ma rispondeva anche alla necessità urgente di disporre di un istituto capace di sostenere il sistema delle imprese nello sforzo di procedere sollecitamente alla ricostruzione postbellica. L'idea era nata – scrisse nel 1956 Mattioli a Cuccia nel decennale della creazione dell'Istituto - in "quella lunga vigilia che fu l'inverno 1943-44, quando si conversava e discuteva a non finire, più per tener desta e insieme distratta la mente che nella fiducia di potersi fare tosto qualcosa; e quando, pur in tanta incertezza di prospettive e persino di sopravvivenza, nacque l'idea di Mediobanca e delle sue funzioni, possibilità e significato: significato, certo, e non solo sul piano pratico degli affari, ma per quello di una visione più ampia e fiduciosa dello sviluppo del nostro paese."

Nella Relazione alla prima Assemblea di Mediobanca, che si svolse il 29 ottobre 1947, sono esposti nitidamente gli scopi dell'Istituto: "In un momento in cui il nostro Paese muoveva i primi passi per uscire dal labirinto delle sue rovine, era sembrato essenziale per la ripresa economica italiana la creazione di un organismo che promuovesse la formazione di nuovo risparmio a media scadenza, necessario a mettere le aziende italiane in condizioni di equilibrio e che contribuisse a contenere le richieste delle aziende stesse all'impoverito settore creditizio ordinario entro i limiti delle effettive esigenze a breve termine." Ma, come si legge nella stessa Relazione, "furono necessari oltre 18 mesi di laboriose pratiche per ottenere le indispensabili autorizzazioni."

Le ragioni di quelle lunghe procedure sono in larga parte collegate al problema della definizione dei rapporti fra l'Istituto e le banche azioniste. La preoccupazione era che l'influenza delle banche azioniste nelle scelte dell'Istituto potesse ricreare quel legame diretto, quella commistione fra credito ordinario e credito a medio termine che la sistemazione del 1933-34 e le successive leggi bancarie si erano proposte di evitare per sempre. Fu questa del resto l'obiezione che Luigi Einaudi, divenuto alla fine del 1944 Governatore della Banca d'Italia, mosse al progetto e che Mattioli faticò molto a rimuovere. Proprio per prevenire queste preoccupazioni, questi aveva concepito il nuovo istituto di credito non come un'iniziativa della sola Comit e neppure solo delle 3 BIN, ma di un gran numero di banche e di istituti di assicurazione – la Banca del Lavoro, il Banco di Napoli,

le Generali, l'INA ed altri ancora, per un totale di 14 soci E, come ebbe a ricordare Enrico Cuccia in un convegno sulla figura del grande banchiere (che costituisce il suo unico intervento in pubblico), "il nome che Mattioli suggerì fu "Unionbanca" in quanto sin dal primo momento l'iniziativa non fu vista da lui come un affare controllato dalla sola Comit."

La creazione di un vasto schieramento come quello immaginato da Mattioli non risultò possibile. Solo il Credito Italiano, allora assai vicino agli ambienti della Comit, dichiarò immediatamente la propria disponibilità e sostenne l'iniziativa anche nelle fasi più difficili del lungo negoziato. Il Banco di Roma non nascose mai la propria ostilità al progetto. Credo anzi – ma questo dovrebbe essere meglio accertato – che in un primo momento esso avesse deliberato in senso sfavorevole, salvo tornare sulla propria decisione su richiesta di Menichella che, in quanto rappresentante dell'IRI, fu fermamente favorevole all'iniziativa. Le altre banche si sottrassero e così le assicurazioni.

Mediobanca nasce dunque con una funzione specializzata, in un rapporto con le banche commerciali che ne sono azioniste, ma con una separazione assoluta da queste ultime proprio per evitare il ricrearsi di una sovrapposizione fra finanziamenti a breve e finanziamenti a medio termine. Cuccia fu sempre un tutore fermissimo di questa distinzione, anche al punto di qualche contrasto con Mattioli di cui dirò in un successivo articolo. Ma il modus operandi ed anche i risultati di Mediobanca negli oltre 50 anni di vita sono il frutto di questa separazione così attentamente definita e poi difesa con altrettanta determinazione.

(Primo di tre articoli)