"Libero" 27 dicembre 2002/Viaggio tra i maestri in ombra che hanno fatto della riservatezza il loro tratto distintivo "Quanti pusillanimi sulla crisi Fiat" di Nantas Salvalaggio Il deputato che mi aspetta, alle 19 di martedì 17 dicembre, è "figlio d'arte" e porta un nome famoso. Suo padre, Ugo La Malfa, è stato con Saragat uno degli uomini più rispettabili nell'Italia della ricostruzione. Già ministro nei governi Cossiga, Forlani, Spadolini, ora Giorgio La Malfa è presidente della Commissione Finanze. Ma come nella canzone napoletana (Dove sta Zàè-Zà?), molti si vanno chiedendo: "Con chi sta Giò-Giò, presidente del Partito Repubblicano"? "Lui va dove lo porta il cuore", direbbe la Tamaro; o meglio, difende a spada tratta le legalità repubblicana come avrebbe fatto d'Artagnan con la regina di Francia. Fatto insolito, in una società di attendisti. Difatti era visto come fumo negli occhi da D'alema, quando stava nel centro-sinistra; e pure adesso che è passato con la CdL, ogni tanto stecca nel coro. Ha criticato la legge dello "Spoil-system" o ricambio dei burocrati inventata dalla Sinistra e peggiorata dalla Destra; ha votato contro il finanziamento della scuola privata; e non si è unito a quella sorta di universale genuflessione delle Camere riunite al cospetto del Papa. Ospite di Montecitorio. Questo ruolo di Don Chisciotte, che carica i mulini a vento, in fondo non dispiace a La Malfa. docente di economia al S. John's College di Cambridge. Sulle orme del padre, grand'uomo ma pessimo carattere, è un battitore libero. "Perché la politica è passione, non calcolo" dice con un sorriso nervoso: "Ma potrei aggiungere che la politica è malattia, di cui si guarisce solo morendo". Quante divisioni ha Giorgio La Malfa? "Per difendere le mie idee", dice, "non ho che una penna Montblanc e un computer. Pubblico sul Sole 24 Ore, perché talvolta il Corrierone esita". Lo staff di La Malfa, alla commissione Finanze, è composto da giovani efficienti e motivati. Ma sono i soli che parlano bene di lui. Altri colleghi, sia a destra che a sinistra, sul "professore poliglotta" danno giudizi non proprio indulgenti. Uno a sinistra sibila: "Ha studiato al di sopra dei suoi mezzi" E un altro, dello schieramento opposto: "Parla troppe lingue, ma non è coerente in nessuna". Va da sé che La Malfa, uomo di mondo, non se ne duole. E' una musica che conosce da troppo tempo. Laureatosi a 20 anni in giurisprudenza, ha perfezionato i suoi studi ad Harvard, in America, e a Cambridge, in Gran Bretagna. Parla e scrive in inglese come un italiano. Ha inoltre una memoria di ferro. "Ma mi serve come archivio di Storia", sussurra, "non come Santa Barbara delle vendette". La cosa che più stimola nella sua conversazione, è che il sì è sì, e il no, no. Detesta le giravolte del politichese. E quando gli cito un giornale francese, per il quale il popolo italiano è quello che ha cambiato più camicie (ideologiche) nel secolo scorso, lui cita Churchill: "Gli Italiani sono cento milioni: 50 milioni di fascisti, e 50 milioni di antifascisti". Ora la lotta politica si personalizza: come un tempo c'era il Doge che combatteva contro il Papa. Ora abbiamo il Cavaliere (Berlusconi) che viene sfidato dall'Ingegnere (De Benedetti). "Il tempo fugge e porta cattivi pensieri. De Benedetti s'è chiesto: perché lui sì, e io no?" De Benedetti si arroga il potere di investitura: ha già scelto Prodi al posto di Amato. Dice che Amato è un caso clinico: ha un buco al posto del cuore. "Quando si abusa della parola cuore, provo un senso di nausea. Ma lei sa perché De Benedetti l'ha giurata ad Amato? Il motivo è tra i meno nobili: Amato non gli ha consentito di fare la scalata alla Telecom". De Benedetti dice anche che c'è stato qualche screzio con Prodi ai tempi della vendita della Sme, l'azienda alimentare di Stato. "Verissimo. Allora, Prodi era presidente dell'Iri, e l'aveva promessa a De Benedetti. Ma poi è intervenuto Cinghialone (Craxi), che ha posto il veto. E non essendo Prodi un cuor di leone, ha fatto dietro front. Da qui il dissidio con De Benedetti, che gli ha fatto addirittura causa". Fassino annuncia che Prodi, se non lo confermano alla Ue, sarà il candidato naturale del Centro-sinistra. Insomma si recita: "En attendant Prodot". "Alle volte l'opposizione sembra l'armata di Napoleone dopo la Beresina. Ciascuno spera in una grotta dove passare la nottata". (A cominciare da Mastella, che sta cercando uno sponsor sugli annunci economici). La voce dei riformisti nel Centro-sinistra è troppo fioca, la sovrasta il rullo dei tamburi dei girotondini e dei no-global. "Ma è tutta la Sinistra che soffre di afasia: non ha un programma, e soprattutto manca di un leader. Ogni mattina ne spunta uno nuovo, che suona la sua trombetta, e poi sparisce". Ha visto la piazzata che hanno fatto i cineasti di sinistra, esclusi dalla direzione di Cinecittà? Non gli sta bene neanche Pupi Avati. "Questo è l'unico Paese dove non ci si vanta delle proprie opere, ma della tessera che si porta in tasca. Molti scrittori e cineasti sono persuasi che solo sulla "rive gauche" c'è la via, la verità e la vita". La Sinistra rischia molto per la sua arroganza intellettuale? "Rischia, perché la supponenza non paga mai. Ci sono milioni di cittadini colti, professionisti stimati, inventori di talento, che mal sopportano di essere considerati "cervelli di serie B" solo perché non hanno votato Rutelli". Forse Berlusconi sopravvaluta questa debolezza delle opposizioni. "Una politica culturale nuova serve al Liberalismo del Centro-destra come il pane. E serve soprattutto coraggio". Mi faccia un esempio di pusillanimità del potere. "Pensi alla brutta faccenda Fiat. Il piano di Umberto Agnelli, che si rivolgeva al mercato, era il linea con la politica liberale europea. Ma Berlusconi ha avuto paura delle reazioni emotive, e si è arreso al ricatto delle banche. Ma il nodo vero è il comportamento del governatore Fazio. Non è tollerabile che si impicci di cose che non lo riguardano". Che cosa avrebbe dovuto fare il governatore? "I suoi passi falsi sono dovuti a perdita di potere, perché ora comanda la Banca Europea. Avrebbe dovuto stoppare le banche quattro anni fa, quando sborsavano troppi soldi alla Fiat senza reale copertura. Al punto in cui siamo, se non interviene lo Stellone, salta la Banca d'Italia". E' un problema di management? Scarsa cultura economica? "Lo sostenne già Menichella, futuro governatore della Banca d'Italia, in una lettera a un economista inglese nel 1944. Riassumo: "Noi siamo un popolo con esigui capitali e malferma cultura finanziaria. Perciò, quando una banca rischia il fallimento, non ci si rassegna al naturale corso delle cose, per cui un individuo passa dalla ricchezza alla povertà, o dalla salute alla morte. Da noi la fine di una banca sommuove le viscere dell'opinione pubblica, indigna la stampa, mobilita il Parlamento: per cui interviene il governo…". Questa è la terra dove fioriscono i limoni e i carrozzoni Iri. Temo che il Carrozzone tornerà presto fra noi. Purtroppo non ci sarà quel manager geniale che negli anni Venti fu Beneduce. Che Iddio ce la mandi buona". |