Partiti politici: come recuperare credibilità e rappresentanza di Liliana Speranza I partiti creano l'opinione pubblica nello stesso modo che la esprimono: la plasmano più che deformarla. Non c'è eco, ma dialogo. Senza partiti vi sarebbero soltanto tendenze vaghe, istintive, mutevoli, dipendenti dal temperamento, dall'educazione dei costumi, dalla situazione sociale. I partiti precisano le opinioni individuali, le arricchiscono, le sviluppano e anche le rafforzano. Le opinioni assunte da un'organizzazione acquistano autorità e certezza. L'opinione pubblica senza partiti è mutevole, variabile, versatile. I partiti hanno tendenza a cristallizzare l'opinione, a dare ossatura a questo ammasso, informe e gelatinoso, piallano le originalità personali per fonderle in qualche grande famiglia. Il partitismo ha per effetto di sopprimere le suddivisioni secondarie dell'opinione e di coagularla attorno a due grandi correnti rivali all'interno delle quali si ritrovano molteplici sfumature, ma i cui limiti esterni sono molto netti. Il sistema dualista tende a cancellare le divergenze secondarie esistenti all'interno di ogni famiglia spirituale, ma ha il merito di tradurre correttamente il loro generale antagonismo (il bipartitismo se compiuto sarebbe così). Invece in Italia conserva il difetto del pluripartitismo che fa sparire la frattura fondamentale dell'opinione e accentua esageratamente le opposizioni particolari. Il bipartitismo giunge al sistema dei due blocchi, cioè ad un contrasto massimo, il che significa confondere le differenze numeriche delle rappresentanze in seno al parlamento con la profondità delle divergenze politiche. Dovunque essi esistano adempiono a certe comuni funzioni in un'ampia varietà di sistemi a differenti stadi di sviluppo sociale, politico ed economico e cioè: organizzare l'opinione pubblica, comunicare le sue istanze politiche al fine di incidere sulle decisioni del potere centrale di governo. Negli ultimi dieci anni i fenomeni di dispersione di potere, l'incapacità di fare riforme e di portare avanti programmi generali, la diffusione e l'aumento del sottogoverno, il proliferare delle correnti sono stati originati dalla "perdita" della capacità dei partiti di procurare vantaggi e benefici ai rappresentanti in quanto rappresentati dal partito nel suo complesso. Pur tuttavia c'è da dire che chi cerca di porre rimedio a tali mali togliendo di mezzo o imbrigliando i partiti conduce un discorso obiettivamente anti democratico. Non crediamo che la democrazia sia possibile senza partiti politici. Sarebbe opportuno seguire la strada della democrazia interna ai partiti che passa attraverso la maggiore partecipazione degli iscritti, il loro minore conformismo, la formulazione di statuti più precisi e più aperti la vigilanza circa il rispetto dei medesimi, la ricerca di veicoli di circolazione delle informazioni sul partito, sia in senso orizzontale che verticale. I partiti sono ultimamente destinati ad una crisi di profonda mutazione in quanto soggetti collettivi. Ultimamente abbiamo avuto la sensazione che i partiti siano diventati più che soggetti collettivi, delle macchine di potere, non essendo più in grado di rappresentare interessi, di creare identità, di attestare a diversi livelli meriti e bisogni sociali. Vi sono contrapposizioni di ideologie anziché creazione d'identità, c'è un interclassismo corporativo, anziché una rappresentanza di interessi, il clientelismo si è spesso sostituito alla certificazione di bisogni e meriti. Per far nascere un movimento di rinnovamento in una società in cui è diffusa la sensazione della "vittoria del segmento" e della frammentazione, occorrono alcuni elementi di stimolo quali il disagio, il bisogno condiviso, l'emozione, il messaggio e la leadership che formino un tutto intrecciato ad una forte sinergia. Analizziamo tali promesse: 1) Il disagio è appena sentito, ma forse è più individuato come "desiderio del segmento", cioè ad un diritto di cui godere (ai consumi per esempio). 2) C'è un vago bisogno di ricomposizione almeno parziale della frammentazione, ma tale esigenza viene poi annullata da una sorta di paura del molteplice che fa richiudere in se stessi gli individui. 3) L'emozione non ha pulsioni tali da esprimere nuovi significativi messaggi e leadership valide per ricompattare il tutto. 4) Nel partito il singolo esercita i suoi interessi personali e soggettivi, mantenendo la sua appartenenza al collettivo, il quale resta un soggetto forte nella facciata, ma indebolito da una continua ricerca della legittimità per gestire i comportamenti individuali. E' indispensabile, per recuperare la credibilità perduta che i partiti effettuino un raccordo con la realtà locale, con le culture e le dimensioni delle realtà locali, in sostanza con il costume consolidato della società in cui devono operare. L'identità, pertanto, dei partiti quali "soggetti collettivi" dipende dal recupero della loro capacità culturale di interpretare l'evoluzione in atto e le istanze di aggregazione e mobilitazione collettiva. Tutto ciò deve avvenire non definendo dall'esterno identità e importanza dei partiti attraverso "concertazione di vertice", ma instaurando una vitalità interna in un costante rapporto con la base e con la sua crescita dal basso, in una nuova cultura che attraversa orizzontalmente tutti i soggetti collettivi, sindacato e associazionismo imprenditoriale e movimenti di partecipazione vecchi e nuovi. Quando la realtà, infatti, sembra sfrangiarsi e frantumarsi, la prima reazione, il riflesso condizionato è quello di riportare tutto sotto controllo con poche grandi decisioni politiche di vertice, ma questa è una inutile propensione volontaristica che non permette certo la ricompattazione dell'attuale "società del frammento" la quale porta con sé tensioni che esprimono bisogno di diversificazione e di flessibilià, di orientamento e di leadership. E' ancora nelle mani dei partiti la possibilità di dare un "senso" – come ben ha osservato Ardigò – alle tensioni vitali. Su tale tema si è discusso anche al Consiglio Nazionale delle Ricerche in un Convegno organizzato dall'Unione Femminile Internazionale di Studi e Azione Sociale. "L'attualità" periodico mensile di società e cultura – n° 1 gennaio 2003 |