"Ilda Boccassini ha ragione"

di Davide Giacalone

Ilda Boccassini ha ragione. Su un punto ha ragione: l’imputato Berlusconi è andato in Aula, per due volte, ed ha sostenuto che vi sono gravi responsabilità della procura della Repubblica, ha parlato di indagini tendenziose, di fascicoli occulti, di volontà persecutoria e così via; adesso, con il lodo Maccanico, il processo si ferma, e quelle accuse rimangono enunciate, non dimostrate e nella sostanza infamanti per la procura. E’ inaccettabile. Ed ha ragione.

Il magistrato Boccassini sarebbe un filino più credibile, nella sua indignazione, se ponesse mente al fatto che questa è esattamente la posizione nella quale quella stessa procura, come quelle del resto d’Italia, pongono quotidianamente migliaia di cittadini: prima parte l’accusa, magari accompagnata dall’arresto, che resta un bel magico momento; poi si documentano le presunte malefatte del presunto criminale, magari passandole a qualche giornale, in cronaca nazionale o locale, a seconda dei casi; poi tutto si ferma, tutto sparisce dal proscenio; ricompare a singhiozzi, a distanza di mesi o di anni, e la faccenda si conclude con la dimostrazione che la malefatta non c’era ed il presunto criminale non era tale. In questo modo si pratica una sorta di calunnia legalizzata, con la complicità di un giornalismo servile e ricattato (provate a mettervi contro, e la pagherete a suon di querele).

Oggi Ilda Boccassini assaggia quanto amaro sia il calice della calunnia legalizzata.

Se anche si rendesse conto di essere un’addetta alla mescita, chissà, forse il dibattito sull’urgente necessità di ribaltare per intero il pianeta giustizia, in Italia, ne trarrebbe giovamento.

P.S: A dimostrazione di quanto detto, ricordo che, più di un anno fa, intervenni per sostenere che l’arresto di una ragazza, il sequestro di tutti i suoi beni, con l’accusa, grottesca e pecoreccia, di essere andata a letto con uno sceicco, magari facendosi pagare, era di quelle che meritava l’onore del ridicolo, non della cronaca. Oggi si sa che noi avevamo ragione, che non c’era neanche la lontana ombra di un reato, che il giornalismo italiano ha fatto ancora una volta schifo, che soldi dello Stato sono finiti in un’indagine inutile quante altre mai. Sappiamo anche che il magistrato che ne fu protagonista non pagherà il suo palese errore e farà carriera. Sarà così garantita la sua indipendenza, ma da che?

Roma, 26 giugno 2003