Enti imprevidenti

di Fiorenzo Grollino

Il sistema previdenziale italiano si trova ad un bivio, ad una alternativa tra gli attuali equilibri spartitori o la riforma.

Il risultato, sotto il primo aspetto, è sotto gli occhi di tutti, una condizione di sfascio totale, afflitto da mille mali che richiamano quelli degli altri paesi europei nella diagnosi e nei provvedimenti proposti dalle forze sociali, politiche e di governo, che in concreto però nessuno assume; mentre un punto è certo ed incontrovertibile e consiste nel continuo rinvio di una reale riforma del sistema in termini organici, finalizzata a fornire ai cittadini un servizio efficace, presupposto di azioni amministrative efficienti e di alta economicità di gestione da parte dei soggetti istituzionalmente preposti.

La riforma no, ma gli sprechi si: è questa l’alternativa che le forze sociali e politiche privilegiano. Grazie a questa scelta le cronache di quest’ultimo decennio non solo sono piene di sprechi che gridano vendetta, ma rispondono spesso ad una linea amministrativa diametralmente opposta a quella più volte auspicata, e posta a proprio obiettivo da diversi governi, che non hanno saputo o voluto dare la spinta e lo stimolo all’adozione di rimedi adeguati.

E così, mentre si predicava la riforma, si consolidavano gli equilibri spartitori che hanno caratterizzato fino ad oggi la vita dei tre enti previdenziali più importanti del Paese.

A questo punto si tratta di enti ormai allo sbando, senza alcuna funzionalità, che si trovano nel dilemma di privilegiare, da una parte, lo stato di fatto, con enormi risorse investite per esempio nell’informatica degli anni ‘90, ma senza soluzioni di qualità nelle scelte operate, con una antieconomicità nella gestione delle risorse dei lavoratori, dei cittadini e delle prestazioni di loro competenza, e dall’altra la necessità di avviare adeguate iniziative con interventi volti a dare concretezza al principio di separazione tra politica e amministrazione, tra responsabilità di indirizzo e responsabilità di risultato.

La sostanza gestionale non è assolutamente cambiata, viste le interferenze nella gestione amministrativa, di cui le cronache quasi quotidianamente forniscono conferma, soprattutto nel campo immobiliare. Un campo nel quale gli investimenti hanno una bassa redditività, che non supera l’1-2%, per nulla adeguata ai capitali investiti, per cui una riforma s’impone anche per porre un freno, in ordine a compiti, finalità, modalità e termini di operatività che questi istituti debbono svolgere in sintonia con le necessità del mondo del lavoro.

Va da se che la riforma postula la fine di tutti i commissariamenti in corso, che si sono manifestati più deleteri della ordinaria amministrazione.

Dopo quanto è accaduto nel recente passato non ci sono più dubbi che solo la riforma può salvare un patrimonio di grande valore etico ­ sociale di cui questi istituti sono custodi, e che questo governo dovrebbe avere la capacità di varare tale riforma ormai non più procrastinabile.

Ove ciò non avvenisse questi enti non avrebbero più futuro, e la loro presenza potrebbe essere dannosa allo stesso mondo del lavoro, perché la loro funzione, senza voler fare facile ironia, più che essere fondata sulla "previdenza" è fondata sulla "imprevidenza".