Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione/Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria

Aula Magna Facoltà di Architettura

Convegno 20/21 giugno 2003

"La Gestione Internazionale del Mare: Diritto ed Economia"

Intervento del Sottosegretario all’Ambiente on. Francesco Nucara

Le autorevoli personalità presenti a questo convegno mi inducono a riflettere e a richiamare l’attenzione di tutti voi sul fatto che, negli ultimi anni, la sensibilità dell’opinione pubblica sui temi ambientali è notevolmente aumentata. Il cittadino vuole essere informato su quale impatto può avere un certo bene sulla propria salute, sui consumi energetici degli elettrodomestici, sui livelli d’inquinamento dell’aria, sulla qualità dell’acqua.

Questa maggiore sensibilità, insieme alla crescente preoccupazione per gli effetti sulla salute derivanti dal degrado degli ecosistemi naturali, ha trovato riscontro, in anni recenti, in una più ampia disponibilità al monitoraggio ambientale da parte di Enti statali e negli sforzi profusi da parte di associazioni ambientaliste per mettere in luce l’effettivo "stato di salute" degli ambienti naturali del nostro Paese.

Anche il turista, oltre alle informazioni culturali e ricreative sul luogo di villeggiatura, è interessato ad avere informazioni sulla qualità dell’ambiente dove trascorrere le vacanze. Per molti cittadini, specialmente per chi si sposta con la famiglia, la scelta dei luoghi di villeggiatura non è legata solo ai servizi offerti e alla qualità del paesaggio ma, tra i requisiti che vengono presi in considerazione, la qualità dell’ambiente ed in particolare, nel caso di vacanze legate al mare, la qualità delle acque di balneazione vengono messi ai primi posti.

Ed è appunto la fascia costiera, nella quasi generalità dei casi, ad essere sottoposta ad una notevole e diversificata pressione antropica, soprattutto a carattere stagionale e ad una molteplicità di usi, spesso tra loro conflittuali, che hanno finito per arrecare gravi danni alle risorse costiere e a compromettere gli stessi margini di sviluppo dell’economia complessiva.

Le attività turistico-balneari, l’intensa urbanizzazione delle coste, la pesca indiscriminata, l’acquacoltura e maricoltura in siti non idonei, la realizzazione di varie tipologie di opere costiere e marine ad alto impatto, le reti di trasporto sviluppatesi in modo disordinato, senza alcuna pianificazione, hanno finito per comportare gravissimi problemi al sistema ambientale costiero e marino, quali l’erosione delle spiagge, l’inquinamento delle acque e dei fondali marini, l’alterazione dei profili naturali e paesaggistici. Altresì, a causa di questa situazione, non è stato possibile cogliere appieno tutte le opportunità di crescita economica e sociale connesse al corretto utilizzo delle risorse costiere.

Allo stato attuale il Mar Mediterraneo, vissuto, sfruttato e navigato nel corso dei secoli, risente più che mai di una situazione di degrado e di collasso per il mancato rispetto del suo eccezionale ed irripetibile habitat marino e costiero.

Fondali marini utilizzati come siti radioattivi e come cimiteri di petroliere sempre a rischio di gravi inquinamenti marini. Acque che un tempo pullulavano di una varietà di vita.

Acque marine compromesse dall’immissione di rifiuti, di merci pericolose, di fertilizzanti, di pesticidi, di petrolio greggio, di prodotti petroliferi ecc.. Mammiferi marini abbattuti senza pietà o impigliati in reti mortali. Depauperamento delle risorse ittiche per un’eccessiva attività di pesca a livello industriale.

E ancora coste deturpate da un selvaggio abusivismo edilizio, fiumare utilizzate come discariche, abbattimento e scomparsa di paesaggi dunali, ecc..

Il Mediterraneo in questo modo rischia di esplodere.

La sola problematica del traffico petrolifero ha un peso predominante per lo stato qualitativo e conservativo delle acque del Mediterraneo se si pensa che le principali cause di sversamento da idrocarburi dipendono da incidenti in operazioni di perforazione offshore; a oleodotti marini e/o fluviali; a installazioni costiere e nel trasporto marittimo.

In particolare, le maree nere accidentali sono sì da attribuire ad affondamenti, collisioni, manovre errate di carico e scarico, incagli, incendi ecc., ma sono dovute soprattutto all’accresciuto traffico petrolifero che si concentra nel Mediterraneo, alle attività di zavorramento e di lavaggio di cisterne e alla immissione di idrocarburi nel mare.

Il degrado della fascia costiera poi è da imputare al mancato rispetto degli equilibri ecologici naturali.

Ciò che fatica ancora a decollare e rappresenta invece la vera chiave di volta è la piena consapevolezza che solo una politica di protezione ambientale e marina a livello mondiale può conseguire risultati concreti e duraturi nel tempo, a sostegno di una severa ed efficace disciplina, a diversi livelli (nazionale, regionale, ecc.) dotata di strumenti di intervento grazie all’adesione a strategiche convenzioni internazionali che hanno regolamentato i principali settori strategici per la protezione ambientale del Mediterraneo.

Difatti, una cooperazione regionale, non supportata da una più ampia cooperazione generale fra gli Stati marittimi, non può farsi garante di una adeguata prevenzione dall’inquinamento marino, in quanto gli Stati di bandiera delle navi non appartengono all’area regionale di cooperazione, pur essendo interessati ai traffici nell’ambito di essa.

Alla luce di ciò, per la prima volta la quasi totalità degli Stati rivieraschi del Mediterraneo ha delineato le linee generali di una comune politica nel campo della protezione dell’ambiente marino.

Un emblematico esempio è la Convenzione di Barcellona, ratificata il 3 febbraio 1979, che ha fornito un quadro di riferimento generale e di collegamento tra i vari atti internazionali stipulati o in corso a carattere settoriale, locale o subregionale.

Tale Convenzione è stata, dunque, fondamentale per la costituzione di un quadro di riferimento generale e di collegamento tra i vari atti internazionali stipulati a carattere settoriale, locale o subregionale e si è posta come fondamento della successiva legislazione nazionale che ha portato all’emanazione della legge n. 979/82 sulla difesa del mare.

Successivamente con la legge 177 del 27 maggio 1999, l’Italia ha ratificato l’atto finale della Convenzione per la protezione del Mar Mediterraneo dall’inquinamento.

Con tale provvedimento, il nostro Paese si è dotato di uno strumento moderno, in linea con la politica comunitaria in tema di problematiche ambientali e che consentirà di poter sviluppare le opportune azioni finalizzate a preservare gli ecosistemi marini.

Il panorama italiano in piena sintonia con la Convenzione si è ulteriormente arricchito con l’emanazione del D. Lvo 11 maggio 1999, n. 152, con il quale è stata data attuazione alle direttive 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane e 91/676/CEE sulla protezione delle acque dall’inquinamento prodotto dai nitrati provenienti da fonti agricole.

Tale fonte, definita da molti autori " Testo unico sulle acque" ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento una specifica disciplina volta alla tutela delle acque, comprese quelle marine, dall’inquinamento di origine terrestre.

Ma ci sono stati altri strumenti legislativi a livello nazionale ed internazionale che sono stati adottati per la tutela del mare.

Per tutelare i grandi mammiferi marini e con essi un importante ecosistema del Mediterraneo, l’Italia ha stipulato un accordo internazionale con la Francia e il Principato di Monaco, per l’istituzione di un Santuario dei Cetacei nella porzione di mare compresa tra la Sardegna settentrionale, le coste della Toscana settentrionale, la Liguria e la Costa Azzurra.

In tale area, nel rispetto delle legislazioni nazionali, comunitarie ed internazionali, i tre Paesi firmatari si impegnano a tutelare i mammiferi marini di ogni specie e i loro habitat, proteggendoli dagli impatti negativi diretti o indiretti delle attività umane.

Con la legge 7 marzo 2001. n. 51 sono state dettate "disposizioni per la prevenzione dell’inquinamento derivante dal trasporto marittimo di idrocarburi, e per il controllo del traffico marittimo".

Sulla base di questa legge, successivamente, è stato sottoscritto un accordo volontario tra il Governo, la Confindustria, l’Assoporti e le associazioni ambientaliste per l’attuazione di una serie di interventi finalizzati al conseguimento di più elevati standard di sicurezza ambientale in materia di trasporti marittimi e di sostanze pericolose.

Il Ministero dell’Ambiente da circa 10 anni svolge attività di monitoraggio delle acque e dell’inquinamento marino.

Il programma di monitoraggio si svolge in regime di convenzione con 14 Regioni costiere e interessa circa 6000 KM di coste.

Le Regioni, per lo svolgimento di tale attività, si avvalgono del supporto delle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente, delle Università e di Enti di ricerca pubblici.

Dal 1999 inoltre, il Ministero dell’Ambiente ha attivato un servizio pubblico finalizzato alla prevenzione e alla lotta agli inquinamenti marini lungo tutti i circa 7500 KM di costa italiana, mediante l’impiego di oltre 70 unità navali specializzate.

Si tratta in pratica di una sorta di pattugliamento delle coste con funzioni di vigilanza e prevenzione antinquinamento e di intervento in emergenza per la raccolta di idrocarburi sversati in mare.

Presso il Ministero dell’Ambiente è inoltre stato attivato il Centro Operativo per le Emergenze in Mare con compiti di coordinamento generale degli interventi nei casi di inquinamento o grave pericolo di inquinamento.

Altri provvedimenti che il Ministero dell’Ambiente ha recentemente approvato riguardano:

Interventi prioritari nelle aree marine protette indirizzati ai soggetti gestori e finalizzati alla realizzazione di interventi di tutela e valorizzazione ambientale in queste aree;

Un accordo di programma con l’ Associazione Nazionale Comuni Isoli Minori per il sostegno finanziario alle aree marine protette;

l’istituzione dei primi parchi archeologico-ambientali sommersi;

l’attivazione della bonifica dalla contaminazione di idrocarburi petroliferi attraverso un decreto direttoriale del 23 dicembre 2002.

Avviandomi alla conclusione del mio intervento non posso non ricordare che l’esigenza prioritaria per un territorio che intende proporsi sul mercato internazionale del turismo è quella di valorizzarsi in un’ottica di gestione ambientale: definire una politica ambientale, migliorare i servizi (raccolta dei rifiuti, depurazione delle acque, pulizia delle spiagge, ecc.), prevenire ogni forma di inquinamento, informare, in tempo reale, sulla qualità delle acque di balneazione.

Al fine di consentire l’elaborazione e l’adozione, da parte degli Enti di Governo del territorio, di un piano di Gestione Integrata della Zona Costiera che armonizzi i vari usi del litorale, consentendo un modello di sviluppo sostenibile, è indispensabile:

considerare tutti i sistemi umani e naturali che influenzano la zona costiera;

individuare tutti i possibili usi delle risorse costiere, definendo allo stesso tempo i limiti e le potenzialità di ogni singola attività, in termini di sostenibilità ambientale, sociale ed economica;

elaborare una specifica base normativa a livello regionale;

definire adeguati strumenti economici di sostegno;

promuovere e sostenere le attività di informazione, comunicazione, formazione, educazione ambientale.