Forlì/Convention Programmatica Pri :24/30/31 maggio

La relazione del segretario regionale Widmer Valbonesi

Care amiche e cari amici, qualcuno nel corso di questi giorni si chiedeva se eravamo coraggiosi od incoscienti ad affrontare tre giorni di convention programmatica, ormai in estate, facendo una relazione politico programmatica il terzo giorno, dopo due giorni di relazioni di esperti e di amici interni molto impegnate e ricche di spunti.

Indubbiamente seguire questo metodo comporta dei rischi, di presenza, di partecipazione, ma obbliga il gruppo dirigente a riflettere sullo stato delle nostre forze e sulla capacità proponente che riusciamo ad esprimere.

La mia intenzione era ed è quella di far capire al partito e alle altre forze politiche che una cultura politica di governo non vive di per sé, per gemmazione, ma che essa deve misurarsi continuamente con la trasformazione della società e governarne i cambiamenti con progetti di governo che diano il senso della modernità e della concretezza evitando, quindi, di essere velleitari, di affidarsi allo spontaneismo del mercato, e di conseguenza al movimentismo politico.

Così come un partito, al di là delle alleanze, deve avere un suo modo di porsi di fronte ai problemi della società, non annullarsi in esse. Esiste una funzione politica e culturale dei partiti, prevista dalla Costituzione repubblicana, che non si può ritenere esaurita con la partecipazione ad un governo.

La contingenza di schieramento o di sistema elettorale non deve far dimenticare che noi siamo repubblicani perchè abbiamo una certa cultura politica, dei valori, un modello di stato, delle idee che possono incontrarsi con altre culture riformiste, ma che rappresentano una peculiarità che va sempre preservata attraverso una continua rivisitazione della nostra tradizione.

Nemmeno possiamo dimenticare che avere una visione terza da quella socialista e popolare-cattolica ci impone l’obbligo politico di organizzare un’area politica repubblicana-liberal-democratica e laica che può essere terza forza autonoma, oppure, che può collaborare con le altre due per il governo del Paese.

Quello che non possiamo permetterci è che, nelle alleanze, quest’area non abbia espressione decisiva e rilevante dal punto di vista politico e programmatico, perché significherebbe un’adesione a contenuti non condivisi o sofferti e a rapporti di alleanza subalterni o sottorappresentati e questo darebbe di noi una visione non di partito che ha una cultura di governo dell’interesse generale, ma di partito o partiti che si acconciano al sottopotere. La grande tradizione che rappresentiamo non ce lo consente, soprattutto in queste zone dove abbiamo classe dirigente, storia e volontà di primo livello.

Allora la nostra convention non è semplicemente una piattaforma di confronto con le altre forze politiche, ma è una formidabile occasione per ribadire con un metodo nuovo e con l’approfondimento dei problemi la nostra identità politica e programmatica e la nostra strategia di terza via.

Le riflessioni che esperti come il prof. Andreatta hanno qui portato sulle possibili conseguenze della lotta al terrorismo, sulla diversa percezione del pericolo terrorista in Usa ed in Europa, del fenomeno degli stanziamenti concretizzato dalle cifre in 3000 miliardi di dollari contro 52 milioni di euro ,sul problema della costruzione dell'Europa politica dei 25 che sposterà interessi e mercati verso aree strategiche del mondo diverse da quelle del passato, sui fenomeni di globalizzazione e la divisione del mondo in tre aree fondamentali che competeranno sui fattori dello sviluppo: innovazione, conoscenza e flessibilità impongono al nostro paese e ai sistemi locali la consapevolezza che o si è parte integrante ed integrata di uno dei tre sistemi, oppure non si è, e si rischia la marginalizzazione ed il declino.

Come anche la discussione sul federalismo inserito in uno dei processi di globalizzazione dei mercati più spinto degli ultimi anni che, come ci ricordava il prof.Poma sta riproponendo le grandi concentrazioni ed il controllo delle vie di comunicazione e di conoscenza: lui faceva l'esempio di internet o dell'aeroporto di Amburgo a proposito del controllo strategico e della concentrazione in poche mani di questi elementi e diceva che si sta invertendo la tendenza degli anni fine 80-90, quando il momento del decentramento produttivo aveva fatto nascere una miriade di piccole e piccolissime aziende.

Questa discussione sul federalismo rischia di essere infinita e di consegnare un paese in conflitto continuo fra livelli dello Stato, oggi tutti con valenza costituzionale,all'appuntamento con l'Europa e con i vincoli che l'euro e la politica monetaristica comporta. Se il nostro Paese non si attrezza a livello nazionale, europeo e locale a vivere e vincere le sfide nuove che ciò comporta, rischia di cadere in fenomeni di marginalizzazione e di crisi senza più avere il paracadute della moneta da svalutare, senza più poter abbassare il tasso di sconto, cioè con una serie di vincoli cui non eravamo abituati.

Del resto la necessità di competere fra le tre aree USA, Europa, e Giappone richiede a tutti i paesi di ogni singola area di attrezzarsi strutturalmente ed infrastrutturalmente per vincere la sfida. Allora esistono problemi infrastrutturali che devono essere affrontati col respiro ampio del governo di un sistema europeo: porti, aeroporti, grandi Corridoi transeuropei o sono finiti e realizzati nei prossimi dieci anni o rischiamo, di diventare non la porta sud d'ingresso dell'Europa, ma il sud dell'Europa, con tutto quello che ciò comporta.

I prossimi anni saranno decisivi nel costruire un sistema paese competitivo o il declino sarà inevitabile.

Può un Paese che deve affrontare queste scelte strategiche in unità d’intenti e di progetto con gli altri paesi europei essere sottoposto all'instabilità di un federalismo senza risorse, che rischia di realizzarsi non in unione ed armonia fra i livelli dello Stato, ma con conflitti di competenza continui e senza che le risorse siano trasferite?

Io credo che questo sia un nodo fondamentale, che impedisce poi di pensare come sistema paese e che finirà per scatenare o localismi o nazionalismi, difesa di ruoli, mentre il governo strategico è già fuori dai territori nazionali e regionali.

Qualcuno pensa ancora che a sostegno di politiche territoriali possano arrivare altri fondi strutturali europei, mentre la dinamica dell'Europa dei 25 li destinerà agli stati più deboli, questo vuol dire che per alcuni aspetti del riequilibrio territoriale e formativo non potremo più contare sui finanziamenti europei e che quindi esisterà un momento di intervento regionale o locale che deve assumere mentalità e capacità di intervento autonomi, probabilmente senza avere le risorse per farlo.

Il rischio è che questo federalismo fatto solo di nuovi livelli di competenza e di burocrazia si ritrovi incapace di operare se non attraverso un aumento della pressione fiscale e che quindi venga respinto dai cittadini e determinando un ritorno ad un centralismo forte, con pezzi di regioni e di territori che hanno velocità diverse e che possono minacciare l'unità del paese.

Se questo è vero, sarà peggiorato dal fatto che tutte le nostre infrastrutture, come ci ha detto Orlandi, hanno notevoli ritardi rispetto al resto del mondo con cui competiamo e in questo contesto i progetti che stanno andando avanti sono vecchi di decenni, e quelli presi dal governo sono emergenze o fotografie dell'esistente, quindi già obsoleti ed in alcuni casi inutili o sicuramente non prioritarie come il Ponte sullo stretto di Messina.

Non siamo competitivi sul piano infrastrutturale , autostradale, portistico, ferroviario né rispetto alla Francia né alla Germania che hanno investito in questi anni molto più dell'Italia e che non potranno certo accettare che un pezzo del sistema europeo sia deficitario o non funzionale.

In questo contesto, come s’inserisce la nostra regione e quali prospettive ha di fronte? Quali progetti deve sviluppare per rimanere una delle regioni più ricche dell'Europa?

L'Emilia-Romagna dal 1980 al 2000 si è sviluppata come PIL dell'82%, mentre l'import-export si è sviluppato del 288% ; per contro la rete ferroviaria è passata da 1043 km nel 1980 ai 1062 del 2000 con un aumento, cioè, dell’ 1,8%; la rete stradale di un 3,1%, e le infrastrutture portuali del 33,3% consistenti in un potenziamento del PORTO DI RAVENNA. Solo nel 2007 e al 2010dovrebbero risolversi i problemi dell'Alta velocità e della Variante di valico.

Abbiamo quindi un sistema infrastrutturale che sostanzialmente sta sostenendo un movimento merci triplicato rispetto a 20 anni fa, un sistema che non riesce a risolvere i problemi da vent'anni presenti sul tappeto, mentre dovrebbe configurarsi come la piattaforma logistica di collegamento nord-sud e pensare strategicamente da un lato al CorridoioAdriatico, con la E55 da Venezia a Cesena, come parte di un asse strategico europeo ,e dall'altro al potenziamento di tre livelli di interporti PR, BO, e Ra con l'interland Forlì-Cesena.

C'è poi tutto un ragionamento da fare sui collegamenti locali, che dal punto di vista dei nostri mercati non è meno importante visto che i traffici trasportuali come rivelava il Prit si svolgono per l'85% entro i 250 km e su gomma molte volte con un carico molto basso rispetto alle portate possibili, il che ci fa capire come la rete stradale provinciale e locale abbia una valenza per la produttività delle nostre imprese, pari a quella delle infrastrutture di grande collegamento. E' chiaro che le grandi infrastrutture possono portare sul nostro territorio grandi imprese che da località geopolitiche e logistiche strategiche possono competere meglio nel mercato globale .

Quindi noi dobbiamo essere in grado di mettere in rete le infrastrutture viarie, portuali, ferroviarie anche attraverso anche processi d’informatizzazione che consentano uno sviluppo vero della logistica.Ad esempio, non si è riusciti a mettere in rete il sistema Romagna e anche quando si riuscisse a farlo si è tentati di farlo in antitesi all’ Emilia , mentre andrebbero integrati in un 'unica piattaforma logistica .

Quando poi abbiamo prodotto strumenti anche validi, come il Prit, che ha fotografato l'esistente, come vi dicevo prima, non ci si interroga sui fenomeni strutturali che tali fenomeni generano e quindi non si attivano quei provvedimenti necessari per correggere le distorsioni che ne derivano sul piano della polverizzazione delle imprese.

Se non si capisce che la polverizzazione del trasporto merci è dovuta ad un fenomeno strutturale di polverizzazione della domanda che poi si trasforma in una polverizzazione dell'offerta, vanificando anche l'associazionismo che attraverso i consorzi, nel settore, ha accorpato l'offerta di servizi di trasporti di fatto si rende vana la possibilità di crescita degli operatori locali della logistica. La pratica del franco- fabbrica, che oggi nel nostro paese ha raggiunto ormai livelli del 70%, cioè la decisione delle industrie di produzione di trasferire sui loro clienti l'onere del trasporto, determina una ulteriore polverizzazione della domanda di trasporto da parte di aziende già piccole e quindi un'offerta di servizi polverizzata e con la presenza sulle strade di una miriade di camion senza pieno carico, con evidenti conseguenze sulla effettiva possibilità di crescita degli operatori, anche di quelli che, associandosi, avevano accorpato l'offerta, consegnando l’opportunità della logistica a società multinazionali che utilizzeranno le nostre imprese come subappaltatrici.

Questo determina poi una presenza di maggior traffico ed inquinamento la cui soluzione non può certo stare nelle fallimentari esperienze delle targhe alterne che si ritiene di riproporre. Ora, siccome i dati dell'intervento ferroviario - anche se venissero rispettate le previsioni del piano nazionale e regionale - sposterebbero appena un 5-7% nei prossimi 12 anni, in regione il dato sarebbe attenuato dal corto kilometraggio di trasporto che non rende appetibile la ferrovia. Quindi è chiaro che occorre investire risorse nella creazione di società miste, aziende produttive e di trasporto e logistica per ricomporre la domanda, e quindi qualificare ed ottimizzare l'offerta di trasporto.

Se si dice che l'Emilia-Romagna è la piattaforma logistica per eccellenza, allora occorre investire anche sul trasporto merci e correggere l'assistenzialismo sul trasporto persone.

Ora sull'infrastrutturazione del sistema paese e regionale, come condizione di competitività con i mercati globali si innestano poi politiche territoriali, nelle singole province ,di valorizzazione e di specializzazione che come ricordava il prof. Poma possono essere decisive per lo sviluppo di un territorio.

Occorre, nell'ambito di una politica di programmazione regionale, riuscire ad attivare strumenti di governo delle politiche territoriali che unifichino in una cabina di regia tutte le potenzialità di un territorio e le ordinino secondo strategie d’interesse generale. Quindi, non una programmazione come elencazione di obbiettivi, ma una programmazione per progetti, capaci di rilanciare la competitività dei nostri territori.La cabina di regia, nella quale devono essere presenti le Istituzioni e le organizzazioni imprenditoriali e sociali, deve dotarsi di strumenti operativi, secondo i criteri della conoscenza, messa in opera e della valutazione che ricordava il prof. Poma.

Una programmazione intesa come elencazione di obbiettivi serve a poco: serve invece conoscere gli indicatori, attraverso Atlanti socio economici o rapporti delle Camere di Commercio, che consentono alle nostre piccole e medie imprese non solo di capire le opportunità di un'economia di nicchia, ma anche di cogliere le innovazioni strategiche che si muovono nel mondo globale.

E allora occorre capire quali indicatori segnalare, quelli sui quali occorre fare ricerca con l'università nei singoli territori, sapere quante aziende sono on-line, quanti computer sono presenti nelle famiglie e nelle imprese, quanti ricercatori provengono dai territori e dall'università, quante risorse si spendono in ricerca e brevetti, cose che notoriamente costituiscono un gap nel Paese ma che possono invece costituire la fortuna o meno di un territorio. Quindi capire per incentivare attraverso politiche territoriali. Ad esempio la decisione di cablare la Regione Emilia-Romagna per fornire servizi innovativi alle imprese e ai cittadini è la strada migliore per affrontare la sfida della globalizzazione nell’ottica della società aperta.

Partendo da Bologna verso la Romagna con il primo dei tre progetti infrastrutturali, collegando le diverse sedi universitarie e gli uffici della Regione e degli Enti locali e delle Aziende sanitarie delle Province di Bologna, Forlì-Cesena è estremamente importante ai fini dell’integrazione regionale e consentirà alla comunità romagnola ,cittadini ed imprese un vantaggio competitivo di qualificazione.Ora è vero che questo deriva dal fatto di avere in Romagna già le reti di Romagna Acque, ma questa esperienza potrà poi essere riproposta anche nel resto della regione con potenzialità enormi di sviluppo del territorio.

Altra questione, e quella della burocrazia.

Su questo fenomeno, uno studio fatto dal governo di centro-sinistra sulla competitività del sistema Paese metteva in evidenza che tutti gli anni le imprese pagano 22.500 miliardi per le pratiche burocratiche, tra l’altro senza avere poi delle risposte puntuali e positive.

Io credo , allora, che questo sia un altro problema da aggredire, attraverso degli strumenti, come quello che io voglio proporre, cioè l’agenzia per lo sviluppo, di cui parliamo da dieci anni, ma che non siamo mai riusciti a costruire. Potrebbe essere l'Ervet che coordina politiche di intervento e di sviluppo senza le pastoie della burocrazia, vero freno allo sviluppo..

In Irlanda e in Galles soprattutto, l’ hanno fatto.

Lì, le Agenzie hanno il compito di individuare le aree, accompagnano l’azienda nel luogo dove vuole strutturarsi,e in otto settimane sono pronti a partire. Noi, invece abbiamo delle aziende strategiche, che dopo otto anni stavano ancora aspettando ( parlo del Comune di Cesena ) e che sono impedite molte volte dalla gestione di Piani Regolatori, i cosiddetti PIP o altri tipi di strumenti urbanistici, che non avendo creato a monte lo strumento che riesca a superare questi vincoli, rischiano poi di consegnare imprese strategiche con tempi che non sono quelli della competizione e della competitività sul mercato.

L’Agenzia per lo sviluppo deve avere la competenza di espropriare e di mettere insieme tutte le pratiche che servono a partire; se lo fanno in Galles in otto settimane non capisco perché noi lo dobbiamo fare in tempi molto più lunghi.

E così gli accordi di programma.Non possiamo. tutte le volte che si interviene per consentire ad un ' impresa strategica di affrontare il mercato , disponibile ad affrontare progetti di investimento , di consolidamento e di sviluppo dell' occupazione, a farsi carico di opere di urbanizzazione, essere frenati da proteste ideologiche o da assurde proteste di presunte speculazioni , quando l'accordo viene stipulato a garanzia che queste non avvengano. Col risultato molte volte di non fare tempestivamente gli interventi necessari nei tempi dovuti. Sono anni che noi abbiamo individuato gli Accordi di Programma sulle grandi infrastrutture.

Quando si dice "porre in essere": porre in essere certo, attraverso gli strumenti però.

E poi la valutazione: i tempi devono essere chiari, e ogni azione di intervento della finanza pubblica deve essere sottoposta ad una valutazione e all’ analisi costi-benefici, per vedere che cosa ha reso non solo in termini economici, maanche in termini di politiche complessive a sostegno del territorio.

Naturalmente bisogna che tutti si adeguino a questo tipo di mentalità nuova, perché se le associazioni produttive, se le istituzioni, se ogni Comune vogliono mantenere le proprie prerogative, è evidente che non è possibile sviluppare politiche di sistema e politiche di insieme.

Tutti si debbono adeguare a questo e si deve adeguare soprattutto la burocrazia istituzionale, che va valutata in base una politica nuova, quella, appunto, della progettazione.

I dirigenti devono avere in carico dei progetti da portare avanti e devono essere valutati e incentivati sulla effettiva realizzazione di quei progetti, non genericamente .

L’altro problema secondo me strategico è quello della formazione. Quasi ogni giorno, sentiamo l’Assessore regionale Bastico proporre la politica dell’offerta formativa come se fosse un fatto rivoluzionario, adattabile in tutte le economie del mondo.

La politica dell’offerta formativa, che ha un grande senso negli Stati Uniti d’America, dove c’è un sistema competitivo aperto e dove gli Enti formatori si rivolgono direttamente alle imprese, per cui sono poi le imprese che decidono se quel prodotto formativo corrisponde o meno al mercato, messa in un’economia come la nostra, dove è sovvenzione pubblica - perché questa è la realtà - propagandare che ci sono 186 Enti di formazione in questa Regione, certificati nel modo che ci diceva la prof. Schitinelli, cioè secondo il semplice parametro dell'attività prevalente, e che hanno tutti la possibilità di presentare i loro programmi secondo naturalmente le azioni della Comunità e i programmi dell’Amministrazione,e vederseli finanziare, diventa una debolezza.

Diventa una debolezza qualitativa. Diventa un modo per assistere più i formatori che le imprese.

Questo è un elemento strutturale sul quale io credo che una cabina di regia debba decidere , e cioè non di eliminare i sistemi, ma di metterli chiaramente in sintonia con i problemi dell’attività formativa qualitativa, quelli che servono ai lavoratori e alle imprese.

Qui bisogna entrare veramente in sintonia con il sistema delle imprese, con l’università, con le Pubbliche Amministrazioni affinchè ci sia una corrispondenza fra la domanda di formazione , la scuola e l'università e le risorse pubbliche investite, fino a quando ci saranno, e con rendicontazioni di produttività. C'è bisogno poi di manodopera stagionale che deve essere reperita tempestivamente creando le condizioni di integrazione e di servizio necessarie, e non essere ritardata da politiche burocratiche nazionali e locali.

Infine se si vogliono promuovere politiche di marketing territoriale occorre progettare distretti culturali integrati in tutte le città e collegandoli alla salvaguardia dell'ambiente e alla valorizzazione dell'offerta turistica. Riuscire a salvaguardare beni artistici e monumentali, valorizzarli attraverso i distretti culturali può essere l'occasione per renderli fruibili ai cittadini ,per qualificare settori produttivi e i centri storici e qualificare l'offerta turistica e culturale di un territorio. In un territorio dove esiste il più grande bacino turistico dell'Europa non è cosa di secondaria importanza, così come la proposta innovativa di Welness Walley portata avanti da una nostra impresa leader nel mondo che potrebbe essere integrata con l'offerta di un turismo di qualità.

Queste sono scelte prioritarie che tutti, forze politiche, istituzioni, mondo economico e sociale, mondo creditizio- nelle cabine di regia- dovrebbero sostenere nella consapevolezza della portata della sfida globale che coinvolge anche i nostri territori regionali, facendo uno sforzo per uscire dalla mediocrità dei localismi, dei risentimenti,dei particolarismi e pensare in grande , unificando risorse e scegliendo le priorità come del resto la politica , almeno nella nostra concezione, dovrebbe sempre fare.

Quindi il nostro ruolo, sia nel governo della Regione sia nel governo delle città , oppure dall'opposizione- perchè si può esercitare un ruolo di salvaguardia dell'interesse generale anche dall'opposizione , dove siamo in alcune città della Regione- deve essere quello di stimolo all'innovazione, al governo rigoroso delle nostre comunità, volto a coniugare ambiente e sviluppo, a promuovere processi di liberalizzazione dei servizi in grado di dare risposte efficaci ed efficienti agli utenti , cittadini o imprese che siano .

Un ruolo che superi una visione ideologica di stato sociale ed introduca una moderna visione fatta di sussidiarietà,di concertazione,di indirizzi e di controlli pubblici e di valorizzazione dei soggetti privati, a cominciare dal mondo associazionistico e cooperativo che rappresenta un valore positivo delle nostre realtà.

In quasi tutta l' Emilia-Romagna e in Regione noi appoggiamo giunte di centro -sinistra, di cui diamo un giudizio in generale positivo, per i risultati eccellenti che la Regione Emilia -Romagna ha raggiunto, fino ad essere una delle realtà più sviluppate d' Europa. Questo è merito anche della partecipazione del PRI alle maggioranze, una partecipazione leale ma non subalterna:noi portiamo nel dibattito delle varie realtà un punto di vista che si collega alla cultura di governo dell'interesse generale e che aiuta a governare squilibri, razionalizzando risorse ed indicando priorità. Perchè non riconoscere che il riequilibrio della Romagna documentato nello studio che citavo ieri è il frutto di un'esperienza di governo che vede protagonisti i repubblicani?

Fino agli anni Ottanta, occupazione, reti di servizi,infrastrutture erano tutti elementi penalizzanti la realtà romagnola: oggi non è più così. Certo, esiste un problema di messa in rete delle infrastrutture e dei servizi, di superamento di campanilismi, ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti:perchè non dire che Forlì dal 51° posto oggi è al 10° , prima in Regione,visto che la Presidenza della Provincia è di un repubblicano?

Semmai oggi abbiamo un problema opposto a quello di vent'anni fa: passare da una visione quantitativa dello sviluppo ad una visione qualitativa, sapendo che la composizione sociale si è modificata e quindi i bisogni e le risposte ai bisogni vanno studiati con i nuovi parametri di riferimento che dicevo prima.Se oggi a Forlì a Bologna , a Modena o a Ravenna c'è un'impresa ogni 8/9 abitanti vuol dire che bisogna adeguare il sistema dei servizi e quello sociale alla nuova realtà.

Se il ruolo della Cooperazione è in continuo sviluppo in tutta la Regione, ciò vuol dire che molti lavoratori, dei servizi, dell'industria o dell'edilizia, emancipati dallo strumento cooperativo o molti lavoratori autonomi emancipati dall'associazionismo artigiano, commerciale , turistico e dell'agricoltura hanno esigenze diverse da quelle della pura sussistenza, ma hanno bisogno di servizi alle loro imprese e di servizi sociali che sono sempre più qualitativi e selettivi.Quello che voglio dire è che se si è modificata la composizione sociale delle nostre realtà, occorre anche modificare la qualità del governo e della governabilità.Questo vale per tutte le città della Regione. Noi, pur esprimendo un giudizio positivo sul governo locale, vogliamo continuare a confrontarci al di fuori di preoccupazioni elettoralistiche , ma partendo dalle realtà delle nostre comunità e dai loro bisogni.

Non ci piace una visione del governo e della politica disegnata sulle necessità degli schieramenti e che prescinda dalla governabilità effettiva.

Non ci piace una visione delle alleanze che in corso d'opera imbarca soggetti dell'opposizione per le alleanze future, senza una parola di autocritica o senza una valutazione sull'incidenza che ciò può avere sulla qualità del governo, che è poi il metro di misura sui quali saremo giudicati dall'elettorato.

Io non ho mai posto pregiudiziali nei confronti nè di RC né dei Verdi, tuttavia là dove queste forze hanno condotto l'opposizione più dura non può esserci un automatismo, ma deve essere chiaro che ciò non rallenti gli impegni presi con gli elettori.

Se l'alleanza va ripensata, essa non può tradursi in una mera visione politica di estensione, ma deve essere fatta per governare meglio le comunità, non per introdurre vincolismi o movimentismi paralizzanti.

A me non piace, poi,che il giudizio sui repubblicani lo diano i protagonisti stessi, in una sorta di autocelebrazione che prescinda dal rapporto col partito e con i suoi organismi e dalle deliberazioni che si prendono.

Riducendo di molto la capacità critica anche rispetto ad argomenti dove dovremmo essere propositivi o rapportandosi solo ai propri territori.

A me non piace chi è per il centro-sinistra davanti al Presidente della Regione ed accetta di stare in direzione nazionale in rappresentanza ed in quota alla destra del partito , non mi piace nemmeno che non si frequentino gli organi del partito e poi si sia sempre pronti a criticare chi svolge gratuitamente il proprio ruolo e promuove iniziative che tendono a stimolare l'impegno dei repubblicani.

Nè tanto meno mi piace che si abbia una visione delle alleanze esaustive del ruolo del partito: il fatto di stare in alleanze connotate in un certo modo non ci impedisce certo di inseguire un modello di terza via , di avere una visione riformatrice del meccanismo di sviluppo diversa da quella socialista e popolare ; lo stare nelle alleanze non ci può certo impedire di criticare questo bipolarismo e lavorare per scardinarlo perchè produce guasti al Paese , lo paralizza nell'attività di governo,e produce un involuzione democratica che si manifesta in minor pluralismo, in diserzione dalle urne.

Non mi piace chi dice" il sistema è bipolare e bisogna adeguarci", perchè noi possiamo subire una limitazione alla nostra libertà ma non possiamo rinunciare a ricercare una miglior agibilità politica per noi e per il Paese.Proviamo a chiederci adesso se la cultura di governo riformista o riformatrice di cui facciamo parte trova nell'attuale sistema maggioritario la possibilità di esprimersi, o se invece la caratteristica di contrapposizione per la conquista del potere non finisca per essere condizionata e paralizzata dalla logica della necessità di coinvolgere le estreme, che possono far conquistare il potere, ma non permettono di governare il Paese.

Una prima considerazione da fare, allora, è che questo sistema maggioritario è funzionale solo alle esigenze delle forze conservatrici ,da un lato, e a quelle delle estreme dall’altro.

Ma mentre i conservatori liberisti nella paralisi dell'attività di governo, provocata dalle loro estreme o dalle estreme di sinistra movimentista,ritrovano ,comunque, una loro coerenza perchè nella paralisi tutto ritorna allo spontaneismo dello sviluppo e al mercato e quindi ad un meccanismo che difende e conserva privilegi, mentre la stessa sinistra movimentista dalle storture del meccanismo di sviluppo e dalle ingiustizie del mercato trova ragioni di lotta politica e di mobilitazione, gli unici che non trovano una coerenza sono i riformisti, perchè la necessità di allargare le alleanze per provare a vincere li obbliga, sia che vincano sia che perdano ad essere prigionieri delle loro estreme che non vogliono la riforma , come dimostra il referendum sull'art.18 o la concertazione come dimostra l' appiattimento sulle posizioni della CGIL .E quindi nemmeno dall'opposizione riescono a svolgere quel ruolo di controllo moderato, incalzati come sono da politiche movimentiste.

Allora noi abbiamo il dovere di non adeguarci a questo bipolarismo, di proporre la via repubblicana -liberal-democratica, che non vuol dire necessariamente la terza forza, ma che rappresenta comunque un ancoraggio di coerenza verso una sinistra riformatrice e moderna. E noi dobbiamo, sul versante politico, cercare le forze laiche , liberali, socialiste , la stessa Margherita, affinchè assieme a noi pongano il problema della maturazione della sinistra.

Noi non stiamo nelle alleanze di centro sinistra per favorire una parte dei DS contro la sinistra movimentista, noi abbiamo tutto l'interesse che la diaspora a sinistra si ricomponga in modo unitario nella chiarezza,perchè non può esserci un partito di lotta e di governo che occupa tutto lo spazio moderato e movimentista .

Noi intendiamo le alleanze per quello che debbono essere e cioè alleanze dove ognuno rappresenta la propria storia e viene rispettato per la propria identità. Non ci può essere una identità dei repubblicani misurabile sulla fedeltà ad una parte dello schieramento o al potente di turno; la possiamo, invece, garantire solo se organizziamo un progetto , la terza via ,e delle forze, che non necessariamente debbono essere terza forza, ma che possono comunque incidere sulla qualità dei programmi e reggere il confronto riformista.Se poi ci fosse bisogno, visto che io ritengo impercorribile l'alleanza col centro- destra sia perchè non hanno un progetto alternativo credibile, sia perchè non ha classe dirigente locale in grado di supportarlo, sia perchè non è possibile per un repubblicano romagnolo passare dalla sinistra alla destra per fotocopia di schieramento e a prescindere dalla valutazione delle esperienze in atto , sia perchè attraverso l'operazione REGIONE ROMAGNA dimostra di non guardare all'interesse dei romagnoli o degli emiliani, ma ad una pura logica di potere politico , sperando di poter governare una parte della Emilia dividendola dalla Romagna . Questo cinismo che si svolge sulla testa dell'interesse generale ci mette nelle condizioni di porre una pregiudiziale a qualsiasi apertura nei confronti di questa classe dirigente di centro- destra fino a che non toglierà dal piatto la Regione Romagna, al di là degli interessi veri dei suoi abitanti .Comunque, se ci fosse bisogno,e non potessimo raggiungere un accordo, aggregare forze laiche , repubblicane, liberali, e democratiche attorno ad un progetto non mi sembrerebbe per nulla disdicevole, anzi questa è la carta che ci da forza e credibilità . Non percorreremo certo l'autonomia per pure ragioni di ricompattamento interno, perchè non so se ci ricompatteremmo , ma so che certamente perderemmo l'opinione pubblica, che invece vuole idee , programmi e anche identità.

Io credo che in questi giorni ci siamo mossi per dare un contributo di idee, di programmi e anche di identità al nostro partito per risolvere i problemi veri del territorio.

Apriremo un confronto in direzione regionale ed arriveremo a stilare un documento definitivo sul quale ci confronteremo con le altre forze politiche, ed apriremo una discussione anche col partito nazionale.

Partito nazionale che , secondo me, ha leggermente modificato l’impostazione rispetto alla questione dell’autonomia:infatti ci ha proposto un percorso da discutere insieme. E’ chiaro che noi lo svolgeremo attraverso un dibattito che parte però da quello che noi siamo e dalla rivendicazione della rappresentatività che le federazioni locali devono avere in un partito che ha tradizioni di vera autonomia che vanno garantite, pur nel reciproco rispetto e nella legittimazione che deriva dagli organi statutari.Faremo un dibattito col partito nazionale sull’estendibilità automatica delle alleanze nazionali ; a me sembra che quel" potere di coalizione" che era stato teorizzato in effetti sia stato violato da tutti. Ci siamo presentati a queste elezioni amministrative un po’ come Arlecchino: ci sono stati risultati, alcuni positivi, altri meno; addirittura in alcune regioni, come la Sicilia e la Calabria, ci siamo presentati anche da soli o in alleanza col centro –sinistra. I risultati sono stati alterni, vedi quelli non esaltanti di Massa Carrara , dove ci siamo presentati col centro sinistra;in altre regioni d’Italia sono stati positivi .

A me sembra, comunque, che oggi ci siano le condizioni nuove per discutere concretamente di politica , come noi stiamo facendo in questi tre giorni. Non credo che questo confronto finirà per paralizzare la possibilità delle alleanze a livello locale; ho l’impressione, invece, che ci sia un certo modo dei repubblicani di "sedersi" sulle alleanze, di assuefarsi:una volta avuta la certezza di una possibile continuità con le esperienze del passato, si possono anche disertare le sedi dell’approfondimento.Questo sarebbe veramente un modo per far finire la tradizione del partito repubblicano; noi dobbiamo invece continuare a discutere dei problemi tutti i giorni, se vogliamo esercitare fino in fondo un ruolo di governo sia che stiamo al governo diretto della cosa pubblica , sia che stiamo all’opposizione ad esercitare un ruolo di controllo e di garanzia per l’interesse generale dei cittadini.

Mi pare che in questa convention noi lo abbiamo fatto e che possiamo dare a tutti i repubblicani di destra, di centro , o di sinistra una piattaforma di contenuti unitaria per esercitare il ruolo di una forza attiva che sa rinnovarsi, pur tenendo presente la grande tradizione da cui proveniamo.