Il sottosegretario all'Ambiente è intervenuto ad un convegno, sabato scorso, sulla valorizzazione di Avola Antica-Cava Grande del Cassibile/Un protocollo d'intesa che rappresenta, sotto molti aspetti, un vero piccolo laboratorio politico, un auspicabile modello dei metodi di intervento per il futuro, anche a livello nazionale

Quando la tutela del territorio e dei suoi beni produce un nuovo dialogo fra le parti

di Francesco Nucara

L'ambiente è, per definizione, unitivo: esso include, non separa; tiene assieme, non allontana; invita intorno ad un tavolo, non disperde.

Leggendo il ‘Protocollo d'intesa' del Patto ambientale "Avola antica-Cavagrande del Cassibile" pensavo, appunto, che esso rappresenta, per molti aspetti, un vero, piccolo laboratorio politico, un calco del metodo di intervento politico del futuro.

Innanzitutto perché, espressamente, genera armonia.

In un'epoca che non riesce a trovare neppure sui grandi temi tradizionali della politica sociale – mi riferisco alle pensioni; alla sanità; alla scuola e così via - una forma di concertazione adeguata, che fissi obiettivi ed, attraverso la mediazione politica, smussi le asperità dei contrasti tra le parti sociali, l'ambiente è in grado, attraverso un protocollo d'intesa, di far dialogare, di riunire intorno ad un tavolo "parti ambientali" diversissime tra loro per titolarità di interessi (basti considerare la teorica "distanza" tra Enti locali e strutture ministeriali; tra Istituti di credito ed Associazioni Ambientali), ‘provenienza politica', rappresentatività istituzionale, persino concezione culturale e portati ideologici ed a farle parlare tra di loro.

Pensavo che, ad esempio, se si riuscisse ad esportare questo modello alle grandi diatribe della politica nazionale; se si riuscisse condividere, su ciascuno dei grandi temi, indirizzi ed impegni contenuti su un ‘protocollo' di volta in volta concordato, la politica italiana acquisterebbe un'etica diversa, inedita, invidiabile.

Anche perché - ed è questo un secondo aspetto di metodo che il Protocollo rivela- se vizio della politica urlata e "di contrapposizione" è quello, oggi, di disperdere energie per far prevalere opzioni di parte, a scapito - alla fine - dei contenuti, l'esperimento che oggi viene varato serve ad abbassare i toni della discussione, proprio per renderla fruttuosa. Intendo dire che l'interesse – prevalente - alla tutela ambientale e culturale di una meraviglia quale è Cava Grande del Cassibile fa passare in secondo piano diatribe e polemiche, vacuità verbali ed intemperanze politiche, a beneficio dei contenuti.

Ora, se si rimprovera sempre più spesso alla politica di essere parolaia, ma non fattiva; polemica, ma, spesso, non lucida, l'esperimento che oggi variamo costituisce l'esatto contrario di questo ‘versante d' ombra' della politica.

Ciò che mi colpisce, nella lettura di questo protocollo è, infatti, la consapevole individuazione delle problematiche – secche, senza aggiramenti e secondo un pieno principio di realtà - ma, al tempo stesso, l'altrettanto precisa scansione degli obiettivi del Patto, che non sono, come spesso capita per gli ‘impegni' politici, altisonanti e solo intravisti, ma, al contrario, "fattibili".

Quest'ultimo aggettivo mi pare la chiave di lettura di tutta questa vicenda.

La politica si è progressivamente allontanata dai suoi compiti e da ciò che dovrebbe sostenerla continuamente - e cioè l'entusiasmo dei cittadini- proprio per questo limite di fondo: essere, cioè, criptica fino, talvolta, all'esoterismo; essere impossibile, fino all'utopia.

Che non significa negare alla politica il diritto di ‘pensare in grande', quanto piuttosto il pressante richiamo a realizzare anche dopo aver pensato in grande: in una parola, a non coltivare illusioni.

Ora, a scorrere gli obiettivi del Patto si è percorsi da un senso di benessere: perché esso non promette la luna e non pretende oltre il ragionevole.

Non si illude, insomma, e, soprattutto, non illude: rileva, senza finzioni; programma soluzioni, senza stare, come spesso capita a noi politici, "saldamente ancorati con i piedi su una nuvola", come amava dire Ennio Flaiano.

Così , se si rileva che "l'offerta turistica locale non è organizzata", viene progettato, quale obiettivo, la promozione di un'offerta turistica locale.

Ma ciò viene fatto non quale ovvia risposta ad una deficienza rilevata, quanto con un metodo di analisi e di intervento che – non dovrei dirlo da politico - costituiscono una meravigliosa eccezione nel panorama, spesso improvvisato ed approssimato, delle politiche di intervento.

Così, ci si è accollati l'impegno, innanzitutto, di esaminare i flussi di presenza turistica a Cava Grande di Cassibile; si sono rilevati tipologia e quantità; ci si è resi conto di dover ‘fronteggiare' un flusso turistico in perenne crescita che si assesta, ormai, su una media annuale di circa 29.000 presenze, con incrementi di oltre il 60% nei tre mesi estivi (luglio, agosto, settembre), con la punta massima tra l'8 ed il 22 agosto; che il rapporto tra turisti ‘locali' e non, vede questi ultimi prevalere, sia pure leggermente; che la presenza degli stranieri premia, soprattutto per i turisti tedeschi e francesi – primi per affluenza - le campagne promozionali della Riserva naturale.

Ora, conoscere tutto ciò dà un senso al successivo intervento politico: lo guida, lo rende mirato e fattivo, gli conferisce un contenuto.

Allorquando ci si impegna, nel Patto, ad organizzare e promuovere l'offerta turistica locale si sa già di cosa si parla e non si parla a vuoto: si sa che occorrerà assicurare una ricettività eccezionale in alcuni periodi dell'anno; che sarà necessario concentrare la promozione dell'offerta turistica in alcuni ambiti geografici europei piuttosto che altri, senza tuttavia rinunciare ad incrementare il mercato; che bisognerà incoraggiare un turismo locale – intendo dire: di turisti siciliani - ma trasformandolo, progressivamente, in breve turismo stanziale e così via.

In sintesi: attraverso gli studi di fattibilità, oggi ampiamente esposti, l'intervento politico trova, esso stesso, la sua condizione di fattibilità e, dunque, di credibilità.

C'è poi il metodo dell'impegno comune.

Lo si accennava all'inizio e lo si riprende ora, per ribadire come l'etica della politica del futuro passa attraverso lo sviluppo integrato, quindi attraverso la sinergia degli interventi.

Non sto facendo fare alla politica un ‘passo indietro' rispetto al suo compito fondamentale: decidere per il bene comune; sto, al contrario, evidenziando come, nell'odierna società complessa, siano mutati profondamente i processi decisionali e che, dunque, la vera garanzia affinché tali decisioni siano efficienti, per celerità e qualità di intervento, è quella del metodo sinergico: "mettere a disposizione le rispettive competenze" affinché – come recita l'art. 4 del protocollo - "con riferimento ai diversi ruoli ed interessi" si concorra al migliore risultato possibile del programma di sviluppo.

Se questa distribuzione orizzontale delle competenze rimanesse, tuttavia, nel limbo della genericità e della pura intenzione, nulla o poco sarebbe cambiato rispetto al passato.

Viceversa, noto che la modernità è manifesta in un duplice profilo : l'aver individuato – un po' come è accaduto per la costruzione dell'Unione Europea - una serie di "azioni comuni", portate avanti, cioè, da tutti i partners; ma aver dettagliatamente specificato, parallelamente, le azioni, gli impegni assunti dai singoli firmatari, affinché nulla si perda nel magma dell'indistinzione.

Così, il Protocollo delinea un perfetto sistema integrato, nel quale ciascuno ha una propria parte di azione comune, ma, soprattutto, un'azione ‘individuale' che ridonda a beneficio della prima e senza la quale essa sarebbe impossibile.

Ho parlato non a caso di modello integrato "orizzontale".

Perché questa scelta vettoriale, preferita ad una integrazione di tipo opposto, cioè per separazione "verticale" di competenze e funzioni, supera un'ulteriore punto di stasi che il nostro sistema politico sta drammaticamente vivendo: quello della infinita diatriba tra centro e periferia, della distribuzione delle competenze e dei momenti decisionali tra Stato ed enti locali.

Qui lo Stato non interviene per "far da padrone", né gli enti locali agiscono per rivendicare: l'uno assume su di sé gli obiettivi di carattere generale, gli altri sono i capofila di una cordata che coinvolge, in dimensione locale, l'intera società civile - e cioè l'Università, la Camera di commercio, le Parti Sociali, gli Enti di formazione e orientamento, gli Istituti di credito, le Associazioni – attraverso strumenti di concertazione il cui coordinamento è rimesso al Comune di Avola, cioè all'ente locale.

Ora, se non vogliamo che il federalismo diventi solo un vuoto slogan ideologico dobbiamo ammettere, con onestà, che un modello integrato di questo tipo ne incarna appieno obiettivi e metodi, rilanciando con forza l'autonomia, in senso nobile, delle istituzioni locali (non soltanto politiche in senso stretto), ma non per questo demonizzando la presenza dello Stato o, peggio, riducendola al ruolo di convitato di pietra.

E, a questo proposito, non posso non accennare, prima di concludere, al senso della presenza del Ministero dell'Ambiente nella stipula di questo Patto Ambientale Avola Antica.

E' una presenza discreta, non invasiva, ma neppure superflua: volta a garantire, essenzialmente, il best first, il "miglior inizio possibile", come amano dire i politologi americani, dell'intervento locale e sinergico.

E' una presenza, infatti, che mira a garantire il "livello essenziale delle prestazioni", si direbbe in linguaggio tecnico – quali il generale miglioramento delle condizioni ambientali o il coordinamento degli interventi di contrasto alla desertificazione o al dissesto idrogeologico (la Sicilia è la regione italiana a più alto rischio di desertificazione laddove il 36,6 % del suo territorio presenta aree sensibili al fenomeno; del pari, il rischio idrogeologico è, tra i rischi naturali, il più ricorrente in questa regione) - che costituiscono il presupposto su cui si innesta lo specifico intervento del Patto.

La generale valorizzazione ambientale, nel caso di specie, si sposa felicemente con quella delle risorse storiche, archeologiche e culturali dell'area ed è un connubio di grande valenza politica e culturale.

La risoluzione dei problemi generali della conservazione e della valorizzazione del patrimonio artistico italiano, passa –io credo- attraverso una vecchia intuizione di fondo che riconosceva quale essenza caratterizzante ed unica al mondo l'indissolubilità dei nostri beni artistici dal territorio che ne ha visto, nel susseguirsi dei millenni, la stratificazione.

Intuizione, questa – dicevo- tutt'altro che inedita ma estremamente preziosa e già destinata al pari di tutte le percezioni precoci, ad essere esiziale.

Oggi, tuttavia, essa trova lucida interpretazione nel nuovissimo Codice dei Beni Culturali. Siamo finalmente consapevoli che il patrimonio artistico va inteso come parte integrante e fondamentale dell'ambiente e da questa acquisizione deriva una nozione comprensiva di "rischio ambientale": basti pensare, ad esempio, alla minaccia sismica nei riguardi del patrimonio monumentale.

Si prende atto definitivamente della indispensabilità di coniugare alle esigenze di una società moderna e di un contesto sempre più tecnologico, la tutela parallela ed integrata dei beni artistici e dei beni ambientali.

E nella stessa prospettiva ideologica si pone la normativa sull'ambiente: certo, in una prospettiva fortunatamente archiviata, si riteneva doveroso tutelare l'ambiente in quanto, ad esempio, l'azione giuridica si traduceva nella salvaguardia della salute pubblica: in termini medici diremmo che la tutela avveniva "per seconda intenzione"; oppure, parallelamente, si esercitava tutela del bene culturale in quanto esso era espressione dell'interesse storico ed estetico dell'uomo.

Il sistema normativo odierno non riflette più un interesse indiretto alla tutela ma, per la prima volta, viene affermato il principio di tutela di un bene in quanto tale, cioè meritevole in sé di tutela.

Il bene culturale diviene bene ambientale e il valore da tutelare è, in ogni caso, l'ambiente.

A testimonianza ulteriore di tale impegno - in chiave soprattutto culturale - e del ruolo del Ministero dell'Ambiente, è la previsione di finanziamento delle iniziative di ricerca intraprese nell'ambito del Patto ambientale, anche in collaborazione con il C.N.R. e gli Enti Universitari.

Si badi: non ci muoviamo nella tradizionale dinamica di uno Stato che, a livello centrale, ha la responsabilità solo finanziaria di gestioni del territorio effettuate in sede locale.

La prospettiva è completamente diversa, direi antitetica. Siamo in presenza di uno Stato che interviene sulle iniziative – quali quelle di finanziamento della ricerca - che costituiscono il necessario background - come sopra si è tentato di dimostrare- per gli interventi stessi, affinché essi non siano ciechi, confusi, dispersivi.

La ricerca guida gli interventi e lo Stato organizza e coordina la ricerca, finalizzata al complessivo miglioramento delle condizioni ambientali.

Si replica insomma, a 2.500 anni di distanza, nel cuore della Magna Grecia, un modello politico " di avanguardia": quello in cui Stato e polis concorrono, senza litigare, al bene comune dei cittadini.