Sfiducia e bassa congiuntura/Quali armi da mettere in campo contro la presente crisi Decalogo delle priorità per uscire dalla stagnazione di Mauro Aparo Nei molti commenti circa l'esito del referendum, non si è tentato sufficientemente di proporre una visione di sistema, che tenteremmo di definire in tal modo avendo come obiettivo quello di mettere assieme una serie di considerazioni che può essere opportuno elencare, per i potenziali riflessi nel medio e nel lungo periodo. Innanzitutto il Paese vive la sua più lunga fase di congiuntura economica, e a tale riguardo le misure correttive, stentando a definirsi, dànno luogo ad una percezione dell'opinione pubblica che del domani non vi sia alcuna certezza di ripresa. Il nuovo miracolo italiano non si è prodotto, gli effetti dell'Euro hanno comportato una perdita generalizzata del potere d'acquisto, la competitività del sistema produttivo è diminuita, la Cina incombe, non come una grande opportunità di mercato, ma come un gigante che non lotti ad armi pari. L'Europa rallenta e l'Italia frena bruscamente : questi alcuni dei luoghi comuni che vanno per la maggiore. L'insieme dei partiti che compongono il centrosinistra sono fortemente impegnati a stabilire chi sia il leader della coalizione, atteso che Romano Prodi non interpreta e non determina alcuna unitarietà d'intenti. Il centrodestra possiede una maggiore omogeneità, sia nelle realizzazioni concrete che tra le forze in campo, e saprà dare continuità, a differenza di quanto accadrebbe in caso di una vittoria dello schieramento avverso, all'azione di Governo : in questo sta il maggior punto di forza del centrodestra. Sul trasferimento del Governo al centrosinistra incombe certamente l'alea di una lunga fase di assestamento e di adeguamento dell'intero sistema politico e amministrativo del Paese, di cui nessuno può davvero sentire la necessità. Cresce altresì una diffusa disaffezione rispetto a qualsivoglia soluzione semplificatoria negli schieramenti. Relativamente alla legge elettorale difficilmente ci si appassiona ad aspetti largamente tecnici e non necessariamente risolutivi in termini di governo. Aumenta la percezione di una crisi generalizzata che riguarda pertanto l'economia reale, gli schieramenti, e più gravemente, l'insieme dei valori cui sono portatori i due poli antagonisti. Questo referendum non ha appassionato, eppure il tema era straordinariamente suscettibile di riproporre quel confronto civile, delle coscienze, che caratterizzò il divorzio e l'aborto. Ma nulla si è riproposto, perché nulla è più come prima. L'astensione come dato politico coincidente in grande misura con l'espressione del "no" resta in gran parte una forzatura; nessuno potrà affermare con certezza quanto, parte di coloro che hanno contribuito a svalutare questo strumento di democrazia diretta, abbia davvero espresso una scelta politica in luogo di un generico disimpegno. Da una parte infatti la democrazia rappresentativa potrebbe essere definita in una condizione di crisi, vista la sfiducia e la critica diffusa rispetto all'operato delle coalizioni. Dall'altra, ora che si propone l'occasione propizia per impiegare uno strumento di democrazia diretta, esso non viene impiegato né con forza né con chiarezza: guai se tale antinomia fosse davvero da interpretare come il sintomo di un malessere diffuso di chi abbia smesso di credere tout - court. Se la sinistra difficilmente potrà mai trovare una posizione unitaria e condivisa in materia di politica estera, il centrodestra può vantare significativi ed effettivi risultati, forse non sufficientemente percepiti come tali ma, con un anno in questa legislatura, e con quella successiva, il miglioramento della condizione generale del paese potrebbe determinarsi credibilmente, percettivamente, diffusamente. Tuttavia anche questo potrebbe non essere sufficiente, non solo e non tanto a vincere le elezioni conseguendo la maggioranza assoluta dei consensi, quanto a porre in essere le misure necessarie per una ripresa duratura dell'economia, e del sentire comune. Il timore è che ancora una volta si insinui nel paese, in maniera questa volta strisciante, ieri sotto i colpi del giustizialismo, oggi sotto quelli inferti dalla preoccupazione per il domani, un desiderio di cambiamento molto accentuato che riguardi una intera generazione di rappresentanti politici. Troppe volte e per troppo tempo si è avvisato del pericolo connesso a quella definizione di teatrino della politica nel quale il confronto tra le forze in campo non avviene sui contenuti, quanto sulle formule. Il timore è che il Paese reale stia covando nel proprio intimo la sensazione che nessuno sia davvero idoneo a reggere le sorti dell'Italia, determinando i cambiamenti e le decisioni necessarie, decisioni anche impopolari, ma necessarie. Questo recente ritorno all'idea di porre in prima linea una nuova generazione, il riferimento continuo ai giovani dopo quello alle donne delle precedenti consultazioni, è un segnale di una certa evidenza. Non si tratta di far venire meno un'occasione di ricambio: piuttosto di considerarlo non risolutivo delle difficoltà diffuse nel paese. Occorre ritrovare una visione più ampia dei problemi, con una maggioranza anch'essa più ampia ove si accentui la percezione e l'accettazione delle emergenze, e dei rimedi necessari. Sono in molti a sostenere che gli stessi dati economici non siano sufficientemente interpretabili per comprendere davvero la direzione dell'economia: se così fosse, l'emergenza è davvero sotto gli occhi, forse distratti, di molti, se non di tutti. Noi siamo consapevoli che in una condizione difficile debbano rompersi i tradizionali steccati: l'apporto di altre forze, di altre visioni, forse di un'ulteriore generazione, potranno essere rimedi possibili alla crisi dell'Italia. Forse non saranno ancora sufficienti. Spiace constatare che il richiamo in tal senso dell'on. Berlusconi sia stato così malamente accolto dal centrosinistra. Noi crediamo che l'on. Rutelli, con il quale il dialogo non si è mai interrotto, abbia chiaramente inteso il portato delle proprie scelte future. Il senso storico della nostra posizione è stato sempre di cerniera nel confronto tra gli schieramenti: noi abbiamo mantenuto intatta la consapevolezza che, in un'Italia che resta in gran parte frammentata dal punto di vista economico, morale e civile, non sia sufficiente il richiamo di un leader o di molti leaders, così come non sia ancora sufficiente anche se auspicabile la semplificazione del sistema partitico. Occorre stabilire in una condizione nuovamente difficile, con nettezza, una sorta di nuovo decalogo delle priorità , delle emergenze. Occorre altresì stabilire con forza l'impegno dell'Italia nel concerto degli obiettivi comunitari e nel processo di Lisbona, dove l'on. La Malfa saprà offrire la visione repubblicana coincidente, come sempre è stato, con la difesa dell'interesse generale del Paese. Non ultimo il richiamo del Capo dello Stato a guardare con fiducia al progresso della Nazione. Noi abbiamo all'interno le risorse necessarie per qualificare queste azioni, forse avremo ancora il compito sempre oneroso di fornire un piccolo, ma straordinario esempio di cosa sia per noi repubblicani quell'amore secolare per una certa idea dell'Italia. |