La scienza, le sue battaglie e i compiti della politica

Intervento del Vice Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, On. Francesco Nucara, al convegno "Qualità dell'aria nelle città italiane", Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 6 giugno 2005.

di Francesco Nucara

E' con particolare interesse che ho accolto l'invito, propostomi dal Ministro Matteoli, a rappresentare il Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio: in prima istanza perché l'incontro odierno inserisce tematiche di notevole rilevanza e attualità, ma soprattutto perché la manifestazione si colloca nella sede più prestigiosa della scienza italiana e, con rara opportunità, nella scansione temporale di realizzazione delle iniziative che il Ministero stesso sta elaborando e promuovendo nel settore oggetto della vostra considerazione.

Per un politico, un oggetto di scienza, per la sua vastità e complessità, sfugge dal suo bagaglio culturale.

Cercherò di derivare il mio saluto, che non è formale, dal territorio nel quale ricade il mio domicilio intellettuale, quello, appunto, della politica.

Orbene sulla base dei dati a disposizione del Ministero possiamo affermare che nel corso degli anni la qualità dell'aria nelle nostre città è mutata, con sostanziali miglioramenti per quanto riguarda la concentrazione dei composti dello zolfo, del monossido di carbonio, del piombo e del benzene. Questo grazie all'uso di combustibili "più puliti".

Le criticità attuali riguardano il PM10 (materiale particolato) in primo luogo, i cui valori limite entrano in vigore nel corso di quest'anno e l'ozono e il biossido di ozono, i cui valori limite entreranno in vigore nel 2010.

Naturalmente questo tipo di problema riguarda soprattutto le città.

Osservo che quasi tutti gli interventi dei relatori sono riferibili ai problemi che insorgono nelle città. In questo senso si potrebbe applicare il metodo induttivo partendo dai problemi della città e risalire ai problemi del paese.

Ma cosa significa essere città?

Essere sommatoria di caseggiati non significa affatto essere città come l'esperienza non del tutto positiva delle new-towns inglesi ci insegna. Essere città significa avere una propria "armatura urbana" con delle funzioni che integrandosi tra di loro formano la struttura della città stessa rendendo vivibile "il grande palcoscenico in cui ‘i cittadini sono gli attori' e dove "ognuno ha un ruolo da interpretare nel dramma della vita quotidiana".

A mio avviso, pur riconoscendo al diritto la sua insostituibile funzione, sono tra quelli che diffidano della onnipotenza che lo circonda, della fede assoluta sulla possibilità di risolvere i problemi delle società complesse a suon di norme e divieti. Se queste non vengono percepite positivamente, e quindi condivise dai cittadini, si rivelano spesso inutili.

Bisogna pianificare per poter progettare il futuro.

E proprio su questo concetto la classe politica mostra tutti i suoi limiti. Nelle aule parlamentari si parla spesso a sproposito talvolta per incompetenza, tal altra per propaganda e spesso per assunti ideologici.

C'è una frattura netta tra la società del futuro e l'attualità della classe politica. Il futuro è assolutamente patrimonio della scienza e ad essa si deve rivolgere la classe politica più attenta. La frattura deve terminare e gli scienziati devono indicare la strada dell'avvenire sapendo bene che bisogna conciliare l'attuale con il futuro.

I politici, classe cui peraltro io appartengo da una vita, devono rientrare nel loro recinto senza parlare di "principi precauzionali" che non hanno nessun valore scientifico e spesso sono lo strumento della conservazione più retriva.

Gli scienziati, e voi tra questi, non devono dare solo pareri su richiesta, ma devono battersi con determinazione per il progresso, per la crescita civile, per la migliore qualità della vita, ben sapendo che le loro iniziative sono dall'esito incerto, ma avendo piena consapevolezza che una battaglia quando è giusta, se si affronta con coraggio, è vinta anche quando momentaneamente si è persa.