"Il Carlino" di Spadolini/Montefiore Conca: celebrato il 50° anniversario della sua direzione

Un giornalista sulla scia dell'eredità risorgimentale

Intervento durante l'incontro del 24 giugno 2005 a Montefiore Conca, nel 120° anniversario del "Resto del Carlino" e nel 50° della sua direzione affidata a Giovanni Spadolini.

di Francesco Nucara

Nell'ambito delle manifestazioni per il 120° anniversario del "Resto del Carlino", l'incontro di oggi va considerato con attenzione davvero particolare, per l'importanza anche simbolica di questo luogo alla confluenza tra Marche e Romagna – fu infatti a guardia di quel ducato d'Urbino, le cui signorie furono portatrici di valori di alta civiltà, così come lo furono quelli che da sempre alimentano lo spirito del "Resto del Carlino". Valori tutti che segnano il tratto dell'impegno politico e civile di Giovanni Spadolini, cui va oggi il nostro ricordo.

Spadolini rievocava spesso i suoi quattordici anni al "Resto del Carlino" (1955-1968): ricordo in particolare quando in occasione del suo sessantesimo compleanno, il 21 Giugno 1983, gli amici repubblicani lo attendevano per festeggiarlo con un'enorme torta, con al centro una grande edera, e restarono ad aspettarlo fintanto che egli non uscì con qualche ora di ritardo proprio dagli uffici del "Carlino", dove si era recato in visita, e dove tornava ogni qualvolta se ne presentasse un'occasione.

Spadolini riconosceva proprio al "Resto del Carlino" di avergli fornito una straordinaria occasione di crescita. Divenutone direttore, il più giovane direttore di quotidiano, come egli stesso ricordò in un'intervista concessa dopo la presentazione di un suo libro a Cortina, si sentì investito di una particolare responsabilità proprio in ragione della storia di questo straordinario quotidiano.

Egli aveva il senso di ciò che Bologna ha rappresentato nella storia del Risorgimento e dell'Italia moderna, e sapeva quanto il "Resto del Carlino" ne rappresentasse il compendio ed il simbolo. Gli piacque ricordare, proprio nel suo primo articolo da direttore, che su quelle stesse colonne che egli dirigeva era apparsa la commemorazione di Aurelio Saffi scritta da una delle grandi firme del "Carlino": Carducci.

Egli riteneva di dover sempre difendere, nella tradizione liberale e democratica dell'Emilia e delle Marche, del Veneto e delle Romagne, i valori della libertà e dell'unità, i valori della giustizia e dell'equilibrio sociale, contro ogni forma di negazione, contro ogni forma di sovvertimento: è con questo spirito che egli diresse il "Resto del Carlino".

Spadolini fu certamente un personaggio unico e forse irripetibile nel panorama italiano: egli fu storico, giornalista, direttore del "Carlino" e del "Corriere della Sera", eletto al Senato nel maggio del '72, a quarantasette anni, nelle liste del Partito Repubblicano Italiano, senza alcuna militanza di partito alle spalle. Tuttavia si può dire che, come storico e giornalista, si era sempre occupato di politica, tanto da considerare la sua vita come quella di tre vite in una: quella di storico, giornalista e politico, vissute in un continuo intreccio.

Fu un uomo dai molteplici interessi, profondamente capace di una prodigiosa attività non disgiunta da una fede incrollabile nel proprio Paese e nel superamento di quei problemi, come per esempio il Mezzogiorno, che egli considerava alla stregua di vere e proprie emergenze: economiche, sociali, politiche.

Spadolini visse il proprio impegno politico come servizio. Egli più di ogni altro aveva fatto proprio l'insegnamento di Giuseppe Mazzini di cui fu certamente un profondo conoscitore ed uno straordinario interprete.

Quando nel 1974 fondò il Ministero dei Beni Culturali, fu il primo a far approvare le leggi a tutela del patrimonio culturale, favorendone la fruizione, la protezione e la valorizzazione.

Da presidente del Consiglio, il primo presidente del consiglio laico nella storia della Repubblica, nel 1981 affrontò con determinazione la crisi economica di quegli anni, debellò la P2, condusse la più intransigente battaglia contro il terrorismo, avviò con il Governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi una politica dei redditi e frenò l'inflazione portandola dal 22% al 16% in un anno e mezzo.

Il suo sogno era quello del Partito della Democrazia sognato già da Luigi Salvatorelli e dagli Azionisti del secondo dopoguerra, una democrazia senza aggettivi.

Nelle stanze del "Resto del Carlino" Spadolini visse però uno dei suoi periodi più importanti: in questo quotidiano fondato nel marzo del 1885 egli aveva ritrovato il senso del giornale della borghesia cittadina laica, anticlericale, filo-crispina. Quel giornale dalle 20.000 copie nel 1890, raddoppiate poi alle soglie della prima guerra mondiale. Come egli amava ricordare: una voce sempre libera.

Una voce che anche nel periodo fascista non smarrì mai l'impronta originale: nel 1925 ecco l'articolo di Benedetto Croce (che aveva partecipato al "Carlino" cominciando con la commemorazione di Carducci), in cui il grande critico denunciava gli stravolgimenti in senso "statolatrico" e autoritario, e i primi cenni di quella religione della libertà che ne caratterizzò il pensiero di storico e di filosofo.

Ed è sulle orme del "Carlino" che Spadolini lanciò la formula del "Tevere più largo", ponendo con un'immaginifica distinzione tra Chiesa e Stato, il suggello sul tramonto di una vagheggiata repubblica neoguelfa. E con tali caratteristiche ben guidò il "Carlino", luogo d'incontro più che di scontro, luogo di analisi e di mediazione. Spadolini non era uomo che ricercava una verità, piuttosto egli vedeva molte verità, non vedeva una posizione, ma tante posizioni, non l'oggettività, ma la completezza come condizione e rispetto del pluralismo.

Questo era il segno e lo stile di Spadolini; credo sia anche oggi il segno e il simbolo del "Resto del Carlino". Se c'è un rammarico forse è che alcuni uomini non possano vivere più a lungo. Di Spadolini ci sarebbe ancora bisogno, l'Italia avrebbe ancora bisogno di Giovanni Spadolini.

Credo che egli - che aveva così sofferto la stagione del massimalismo e della semplificazione distruttiva di un intero sistema di partiti, e di una intera classe dirigente (che certamente non aveva così demeritato) - sarebbe lieto di constatare come il suo partito politico, il Partito Repubblicano Italiano, il più antico d'Italia, come non si stancava di ripetere, non abbia avuto bisogno di cambiare, unico tra tutti i partiti politici, il proprio segno, il proprio simbolo, il proprio metodo ideale e culturale, il proprio patrimonio che è e resta peculiare ed indisponibile ad ogni nuovismo, ad ogni catastrofismo.