La festa della Repubblica e il Pri/Riscoprire il senso della nostra gloriosa tradizione Dagli eroi risorgimentali alla costruzione dell'Italia Oggi festeggiamo i sessant'anni della Repubblica. È un anniversario importantissimo che cade in un momento politico incerto e difficile. Il futuro dell'Italia, fra difficoltà economiche e sociali, si gioca nelle nuove sfide che andremo ad affrontare nei prossimi anni. Le sfide per la modernizzazione di un Paese vecchio, stanco, in cui si registra un continuo svuotarsi di significato del fare politica: non servizio verso la Patria bensì egoistica tutela di interessi di parte. Questo Paese pare abbia dimenticato quelli che sono gli ideali su cui si fonda. Per festeggiare la Repubblica nel suo sessantesimo anno, inviamo l'intervento di Emanuele Vaccaro, della Fgr di Roma, che racchiude il senso dell'essere repubblicani, perché non basta rivendicare con forza i nostri Diritti, se ognuno di noi non adempie ai propri Doveri. Oggi dobbiamo riscoprire il senso dell'essere repubblicani, il senso dell'essere figli di una tradizione gloriosa, portatori di un ideale che ha saputo infondere coraggio ed accendere gli entusiasmi; un ideale per cui si combatteva e si sapeva morire, perché quell'ideale di libertà e di giustizia, su cui si fonda la nostra Repubblica, valeva più del sacrificio che si pativa. Giovanni Postorino, Segretario Nazionale Fgr **** di Emanuele Vaccaro* "Chi li avesse veduti que' dieci o dodici giovanetti, quando nel durar dell'estate del 1847, nel recinto d'un bel giardino, da alte ombre protetto, si riunivano ogni dì, con perigliosa impazienza, per addestrarsi all'uso delle armi e al rigore degli ordini militari, avrebbe detto che attendevano la battaglia al domani. Il lieto e audace drappello era tutto di giovani scolari, amici tra loro; non uno che passasse i diciott'anni; spigliati, vigorosi, spiranti dagli occhi la serenità, il coraggio dell'anima; non compresi che da un pensiero, quello di essere i primi alla grande prova, si stringevano le destre, al ritrovarsi, all'accomiatarsi, come si volessero dire l'un all'altro: E quando il giorno aspettato verrà?[…] Non sapevano come, né quando, ma pur sentivano che qualche cosa doveva presto succedere; il nome d'Italia e il suo antico sospiro alla libertà era già nell'aria. Era nel cuore di tutti". Così scriveva Giulio Carcano, scrittore non troppo noto della seconda metà dell'Ottocento, regalandoci, a mio parere, una delle immagini più belle del repubblicanesimo del Risorgimento. E sì perché quei giovanetti di cui parla sono i simboli perfetti di quello spirito repubblicano che accomuna coloro che si sentono conquistati da questa mistica ideologia. Il simpatico esercizio del drappello di coraggiosi si svolgeva a Varese fra i più valorosi figli d'Italia che siano mai esistiti. I loro nomi fanno tremare chi conosce le loro imprese. Fra loro erano: i fratelli Emilio ed Enrico Dandolo, Luciano Manara, Emilio Morosini. Idealmente si potrebbero aggiunge loro, per uguale età ed animo appassionato, anche i genovesi Goffredo Mameli e Nino Bixio, e poi tanti altri, magari dimenticati, ma degni di uguale tributo da parte di noi posteri seguaci. Il Carcano era più grande ma frequentava ed ammirava quel virtuoso gruppetto che in quel tempo della loro gioventù fece il solenne giuramento di dedicare la vita alla resurrezione della Patria. Promessa poi portata audacemente a compimento da tutti, anche a costo della vita. Essi parteciparono a tutte le grandi imprese del primo Risorgimento. I nobili e borghesi del suddetto gruppo varesino, insieme ad altri giovani altrettanto romantici e temerari, divennero presto il "reggimento dei bersaglieri lombardi", tutti volontari ed eroici ragazzi. Scoccata l'ora del '48 combatterono sulle barricate a Milano, fra i campi della conseguente Prima guerra d'indipendenza, ed infine a Roma dove nel '49, tranne Emilio Dandolo, trovarono sventurata morte per la difesa della Repubblica. E Mameli fece lo stesso percorso. Oggi è ancora al Gianicolo, sepolto nel mausoleo dedicatogli. Quando morirono nessuno aveva più di 24 anni (Bixio invece sopravvisse e divenne il braccio destro di Garibaldi nella spedizione dei mille). Non ebbero il tempo di farsi una vita, una famiglia; non ebbero il tempo per essere felici. Da sessant'anni l'Italia è una Repubblica, indipendente e democratica ma fu allora che i primi germogli di un patriottico risveglio cominciarono a crescere. Quell'eterno purgatorio che la nostra amata e gloriosa Nazione viveva da secoli, sempre divisa e più spesso sottomessa, quelle catene che il nostro popolo subiva col passare delle varie epoche furono spezzate, per la prima volta, da quella generazione di eroi immortali. E' bene ricordare che tutti quelli nominati sopra erano sinceri mazziniani, democratici, repubblicani. Pertanto noi giovani repubblicani del terzo millennio dobbiamo a questi nostri predecessori ben più del normale tributo di paladini nazionali. Quello che con le loro vite ci hanno insegnato è innanzitutto lo spirito repubblicano. Noi dobbiamo considerare quei ragazzi come nostri vecchi amici ed idoli, trascendenti lo stesso tempo. Come loro siamo innamorati della dottrina di Mazzini. Come loro amiamo la democrazia, la libertà, i diritti civili, la Giustizia, la laicità; la vita, la difesa dei deboli, la fratellanza; la Patria, l'Europa, l'Umanità. Il nostro caro "profeta" ha detto: "La vita è missione. Il dovere è la sua legge suprema". Questi ragazzi che combatterono per la nostra libertà e per la democrazia hanno applicato alla lettera questo precetto. Questa concezione della virtù è molto importante perché ci insegna che quando c'è un dovere da compiere, che sia giusto e storico, non ci si tira indietro ma anzi si combatte con coraggio perché la forza di sapere di essere al servizio del Bene rende il sacrificio più sublime. Così fecero questi nostri eroi. Purtroppo per la Storia, per il nostro popolo e soprattutto per la nostra ideologia furono sconfitti, per tanti motivi, ma comunque il risultato fu netto, si sa come andò il Risorgimento per noi repubblicani: Roma tornò al Papa, l'Italia fu fatta dal Re con l'aiuto di Garibaldi (ma fu fatta!), Mazzini morì a Pisa col nome di Brown. Il sogno del '48 come di una Grànde Révolution italiana fu soppresso. L'incertezza e le debolezze della monarchia costituzionale finirono poi col piegarsi alla forza violenta ed orribile del fascismo. A quel punto un nuovo inferno si prospettava per la nostra nazione ma fu proprio allora che lo stesso spirito italico, che aveva sorretto quei giovani al Gianicolo cento anni prima, tornò una volta per tutte nelle anime di quella nuova generazione di combattenti per la libertà che furono i ragazzi della Resistenza. Fu chiamato il "Secondo Risorgimento". L'epico valore di quei partigiani è a noi sempre caro, attraverso esso ci siamo risollevati dopo vent'anni vissuti nella buca infernale del totalitarismo. Nella folta compagine dell'antifascismo combattente c'erano i repubblicani mazziniani. La nuova sacra missione era arrivata ed altri giovani repubblicani la intrapresero con valore e passione. Ecco che il filo conduttore di quello spirito repubblicano si ripropone attraverso la Storia perché gli ideali non cambiano: i giovani del Gianicolo sono gli stessi della Resistenza, i loro ideali sono i nostri anche nel duemila. Oggi, a sessant'anni dalla sua nascita, possiamo vivere la Repubblica in tranquillità, se oggi possiamo essere felici, fare l'amore, praticare sport, divertirci dove, come, quando e con chi ci pare, se possiamo liberamente fare politica, contribuire con il nostro lavoro alla crescita di tutta la società, se possiamo esprimere liberamente il nostro pensiero senza il timore di venire, per questo soltanto, condannati all'esilio o alla morte. Ebbene, se possiamo tutto questo lo dobbiamo a quei ragazzi che hanno combattuto e sono "caduti sotto i colpi della tirannide, straniera e domestica", e prima di loro ai giovani del Gianicolo ed al loro estremo sacrificio in nome della libertà e della democrazia, in nome dell'ideale repubblicano. Oggi noi rappresentiamo la continuazione di quella tradizione, siamo gli eredi di questi gloriosi Patrioti. E, potendo godere dei frutti dei loro sforzi e dei loro sacrifici, abbiamo e sentiamo il dovere d'impegnarci come loro per chi verrà dopo di noi. Nel giuramento alla Giovine Italia si dice: "La Virtù sta nell'azione e nel sacrificio. La potenza sta nell'unione e nella coscienza della volontà". Questa massima vuole essere la "ratio" che guida queste mie righe: un invito alla coesione, alla collaborazione concreta, all'impegno solidale di tutti noi giovani repubblicani ed all'estesa comunicazione, aiutati dai potenti e veloci mezzi di comunicazione del nuovo millennio, affinché il nostro antico, glorioso e romantico pensiero possa aiutare il futuro della nostra amata Repubblica. Affinché tutto questo possa essere alla base della Federazione Giovanile Repubblicana confido nella forza delle nostre idee, con la consapevolezza che il futuro non debba semplicemente essere aspettato con pazienza ma che la nostra voce debba farsi sentire già adesso. Affinché possiamo trovare e scegliere da soli gli amici veri dentro e fuori dal nostro gruppo politico, senza farci condizionare troppo dalle divisioni e dai compromessi. Affinché il futuro ci veda uniti. "Stringiamoci a coorte", fratelli repubblicani, perché le battaglie per la nostra Repubblica non mancano e non mancheranno mai. *Fgr - Roma |