Consiglio Nazionale 9/10 luglio La relazione di Sergio Savoldi Pubblichiamo l'analisi del voto alle europee e sulle prospettive del Pri del portavoce della minoranza di Riscossa per l'autonomia repubblicana Sergio Savoldi. Il testo, predisposto prima della riunione del C. N del 9/10 luglio, non tiene conto del dibattito dello stesso e della replica del segretario nazionale. di Sergio Savoldi Si era attribuita grande importanza alle elezioni Europee del 12 13 giugno, i motivi erano molti e comprensibili: 1. Il sistema proporzionale avrebbe dato l'esatta consistenza del partito, cosa che né le elezioni politiche né i turni parziali amministrativi recenti avevano potuto fornire. 2. L'obiettivo di eleggere almeno un parlamentare europeo era di grande importanza oltre che per evidenti motivi di visibilità, anche per ragioni di carattere organizzativo per il futuro (la possibilità di poter presentare alle prossime elezioni il simbolo senza dover ricorrere alla raccolta di firme) e di finanziamento (con il rimborso delle spese elettorali). Si trattava inoltre di riportare al parlamento europeo un parlamentare del PRI. 3. Un risultato positivo, mai esattamente ipotizzato nella sua consistenza, ma ragionevolmente collocato attorno all'1,5% con uno e forse due parlamentari era considerato dall'attuale dirigenza una consacrazione definitiva e dell'assetto con la segreteria Nucara e, seppur con affermazioni iniziali di qualche autonomia che avevano fatto pensare ad un nuovo corso, alla fine della linea politica dell'alleanza di centro-destra. Nonostante le ripetute affermazioni dopo ogni tornata amministrativa parziale che il partito stava recuperando consensi in modo consistente e dopo l'intenzione espressa nel consiglio nazionale del settembre 2003 di tentare di presentare il simbolo dell'edera, alla fine senza che un consiglio nazionale lo decidesse, per paura di un risultato negativo inequivocabile, si è fatto l'accor do elettorale con Sgarbi. A questo proposito andrà chiarito definitivamente quando ed in che termini questo accordo è stato stipulato. Questo accordo ha creato sconcerto per la natura del personaggio e provocato reazioni anche all'interno del gruppo dirigente. Non è un mistero che Del Pennino avesse un altro disegno che comprendeva un accordo con il Nuovo PSI e Radicali, non sono mancate nemmeno reazioni vistose come quelle del vice segretario Santoro, fortemente critico in un articolo sulla "Voce" e dimissionario ancor prima di conoscere i risultati elettorali. Queste reazioni, da parte di chi aveva sempre sostenuto la necessità di un rapporto organico con la CDL, peraltro potevano essere interpretate come resistenza ad un certo disimpegno rispetto all'alleanza di centro - destra, data la nota e continuamente espressa avversione di Sgarbi a tale alleanza. Sembrava che questa strana combinazione potesse rappresentare il recupero da parte del PRI di una certa autonomia anche considerando posizioni fortemente critiche espresse dal partito sulla politica economica e, prima, sulla revisione della Costituzione. Sembrava anche alla minoranza di Riscossa, che con un travagliato dibattito interno decise nel consiglio nazionale del 3 aprile una astensione sulla scelta elettorale nella speranza di un avvio di una nuova fase politica del PRI, ma sembrava una scelta di terza via anche a molti commentatori politici. In alcune apparizioni televisive fu affermato che questo bipolarismo andava superato ed era necessaria la creazione di un nucleo liberaldemocratico affiliato all' ELDR in uno schema europeo popolari ELDR socialisti e che, se necessario, l'autonomia richiesta per tale disegno avrebbe potuto anche sfociare per il PRI, in presenza di una legge elettorale per le politiche di tipo bipolare, nella nostra assenza dalle istituzioni per il periodo necessario alla creazione nel paese di questo nuovo soggetto politico terzo. Temi che evidentemente anche la minoranza poteva condividere e che lasciavano ben sperare sulla possibilità di una prospettiva di iniziative unitarie per il dopo elezioni per le quali si era moderatamente fiduciosi in un risultato accettabile. Sbaglia chi afferma che la minoranza non abbia sinceramente sperato in un buon risultato e, nelle zone tradizionali, seriamente operato a sostegno della lista nella quale peraltro erano impegnati suoi rappresentanti autorevoli. Un risultato positivo, lo si era detto in consiglio il 3 aprile e ribadito in più occasioni, sarebbe stato per la minoranza una indicazione che la strada della autonomia era quella da perseguire. Ma a pochi giorni dal voto si sono verificati due fatti che hanno certamente influito assai negativamente sul risultato della lista. 1. L'appello di Berlusconi a non votare i piccoli partiti con una specificazione successiva che individuava nel nuovo PSI /PRI/Sgarbi e radicali gli obbiettivi di tale appello. 2. Anziché una ferma e chiara reazione a tale appello, una intervista ad un giornale governativo che indicava il PRI senza alcun dubbio né ripensamento, non orientato ad una posizione autonoma ma assolutamente integrato nell'alleanza di centro destra. Il risultato finale dello 0,7% è certamente anche figlio di queste situazioni. Ma evidentemente non solo, e qui è necessario approfondire l'analisi. Il dato più evidente è che Sgarbi, al quale non è facile attribuire una quota del risultato ma che potrebbe essere dello 0,2/0,3%, non ha avuto un riscontro nelle zone metropolitane alle quali come personaggio mediatico sembrava aver rivolto le sue attenzioni. Il dato del partito alle Europee quindi potrebbe essere attorno allo 0,3/0,5% con una flessione quindi rispetto alle Europee del 1999. Nel panorama complessivo è evidente il buon risultato in Calabria (3,9%) e a Reggio, città del segretario (7%). Non cosi brillanti i risultati di Sicilia, Puglia e Campania, in flessione le zone tradizionali della Romagna e Toscana, risultati fortemente negativi al nord e a Roma. Comprensibile la sottolineatura del segretario nazionale sul buon risultato nella sua regione ma altrettanto doverosa è la constatazione che il PRI come partito nazionale continua a non essere colto dall'attenzione pubblica e continua drammaticamente nel suo declino che sembra difficilmente arrestabile. Alle elezioni amministrative i risultati appaiono localmente migliori di quelli delle europee ma purtroppo il metro della percezione del PRI come forza politica nazionale è quello delle elezioni principali con il sistema proporzionale. Poco utile sarebbe cercare le cause della sconfitta solo negli avvenimenti pre - elettorali, la crisi del PRI viene da lontano ed è legata ovviamente, oltre a responsabilità politiche alla trasformazione della società italiana, alla bufera che ha investito la prima repubblica ed alla modifica del sistema elettorale per le politiche con l'abbandono del proporzionale per un maggioritario che si sta rivelando nefasto. Una veloce retrospettiva. Nel 1983 il PRI raccolse con Spadolini oltre il 5% dei voti, massimo storico con la formula d'appello al non voto. Il sistema era bloccato, la DC ormai logora era incapace di guidare le trasformazioni di un paese che chiedeva efficienza, trasparenza, buon governo. In particolare il nord sentiva il bisogno di cambiamento, di un rinnovamento delle istituzioni ormai lontane dalle esigenze reali dei cittadini. Dal 1983 al 1989 il disagio del paese (sempre più al nord) crebbe ed il PRI, o almeno una parte di esso, si rese conto che era necessario uscire dal quadro politico che stava ormai rapidamente degenerando. Si uscì dall'ultimo governo Andreotti a fatica con lacerazioni interne, ma si uscì. Era però troppo tardi, l'opportunità di cogliere i fermenti che in particolare al nord erano diventati diffusi e radicati fu perduta. Nasceva in silenzio, senza che fino alle regionali del 1990 la politica ufficiale se ne accorgesse, la Lega. Con l'avvento della Lega, dopo la caduta del Muro di Berlino, il sistema collassò. Mani pulite, i referendum di Segni iniziarono la demolizione del sistema tradizionale dei partiti, ed anche il PRI, che pure aveva tentato di richiamare la classe politica italiana alle proprie responsabilità verso il paese con un buon risultato (anche se le aspettative erano ben superiori) alle politiche del 1992, fu travolto. In un clima di caccia alle streghe creato attorno alla politica si colpì ciecamente ed ingiustamente anche il PRI, che era comunque stato considerato il partito delle istituzioni e della questione morale. La legge elettorale nuova nel 1994 diede poi il colpo di grazia. Nel corso di un drammatico consiglio nazionale nel gennaio 1994, il partito decise di abbandonare lo schieramento progressista per andare alle elezioni del 27 marzo con Segni e Martinazzoli. Molto si è discusso sulla bontà di quella scelta che peraltro fu un primo evidentemente prematuro tentativo di creare una terza forza fra la sinistra ed il nuovo fenomeno di Forza Italia che aveva sdoganato anche il MSI. Non si può negare che la nascita dell'Ulivo nel 1996 fu possibile perché nel 1994 si fece quella scelta, ma è innegabile che l'esplosione e l'inizio della diaspora del PRI avvenne nel gennaio 1994 al Parco dei Principi. Il partito era da mesi stato avviato sulla strada di un accordo elettorale con la sinistra, nel gennaio 1994 apparve sul "Corriere della Sera" un importante articolo in cui il PRI si definiva garante di buon governo all'interno della coalizione progressista. Il cambiamento repentino fu, come credo tutti ricordino, devastante. Ricordo che dopo il consiglio nazionale, uscendo, Visentini mi disse "E' tutto finito" . Sempre nel 1994 ci furono le elezioni Europee, a giugno ricomparve l'edera, si elesse un deputato europeo (alle politiche si elesse solo un parlamentare che ben presto abbandonò il partito); poi è storia recente. Nel 1996 con l'Ulivo si elessero quattro parlamentari, due deputati e due senatori. I due senatori abbandonarono presto il partito risucchiati da una miope e distruttiva politica dei DS nei confronti del PRI. L'ingresso nell'euro è merito dei repubblicani nell'Ulivo, un Ulivo che però non ha mai capito il ruolo di confine che i repubblicani avrebbero potuto esercitare nei confronti di settori dell'elettorato restìi al voto per il centro - destra ma bisognosi di essere rassicurati dal PRI sulle reali capacità di governo del centro - sinistra. Poi il logoramento dei rapporti con l'Ulivo fino ad arrivare al Congresso di Bari, ora rimesso in discussione da una sentenza della magistratura, passando dal Congresso di Chianciano ancora con un tentativo di terza forza con il Trifoglio, con i socialisti e Cossiga. A Bari, nel gennaio 2000, si sceglie una alleanza di centro - destra con la illusione da parte di chi la sostiene di poter salvare il Partito. Non è stato cosi. Le elezioni politiche del 2001, con il partito confuso completamente in Forza Italia, anche nel proporzionale dànno un misero risultato: un deputato e un senatore. Cambia il segretario ma la politica delle alleanze non muta, anzi il partito in molte occasioni appare il più zelante interprete degli ambienti più vicini al premier, mentre nel contempo l'UDC con una nuova dirigenza, prende spesso opportune distanze da posizioni, atteggiamenti, sortite di Berlusconi e della Lega. Questo fino ad oggi, fino alla resa dei conti che anche AN presenta, ottenendo la testa di Tremonti con il centro - destra lacerato in modo clamoroso con il ridimensionamento di Berlusconi, ormai incapace di mediazioni paternalistiche che sono il suo forte. Non meglio sta il centro - sinistra, la Margherita penalizzata dal listone, come il PSI nel 1948 nel fronte popolare, non ha nessuna intenzione di far proseguire il processo del partito riformista, il correntone dei DS parla ormai di scissione, si prospetta una sinistra antagonista (PDCI Verdi PRC correntone) al 20% e un desiderio dei moderati sia del polo che del centro - sinistra di dialogare su proposte concrete di governo (vedi riforma del risparmio). Si chiede il ritorno al proporzionale, il nuovo PSI si sposta verso l'autonomia e verso il centro - sinistra; i radicali in mezzo, difficili da trattare come sempre. E il PRI? In confusione. Il segretario per le regionali del 2005 parla di geometrie variabili. Cosa vuol dire? Usciamo dal centro - destra e valutiamo caso per caso con logiche di convenienza? Si parla di congresso straordinario per decidere cosa? Di rimanere, nonostante la sconfitta, con il centro destra? O si vuol davvero cercare altre strade? Qualcuno parla di nuovo di federazione laica con nuovo PSI e radicali, la tesi cioè di Del Pennino, bocciata a favore della lista con Sgarbi. Ma l'alleanza con il nuovo PSI che fa riferimento al socialismo europeo, non può generare gli stessi equivoci che nel centro - sinistra vedono gli eletti del listone a Strasburgo in tre raggruppamenti diversi. E con quali ricadute sulle scelte politiche nazionali, le diverse scelte dei gruppi europei sulle questioni fondamentali? La strada del PRI potrebbe essere quella di farsi promotore di un nucleo italiano liberaldemocratico che abbia stretti rapporti con la ELDR, costituendo la sezione italiana di un movimento transnazionale che abbia un unico programma per la politica Europea, che sostenga cioè la necessità di una forte identità dell'Unione che passi dal rafforzamento delle istituzioni comunitarie, dalla creazione di un esercito Europeo, dal governo politico dell'economia comunitaria, da un saldo, franco e paritario rapporto con gli USA e che in ciascun paese armonizzi le politiche nazionali a tale disegno strategico comunitario. Per far ciò bisogna tornare ad essere liberi, uscire della maggioranza di centro destra, iniziare un lavoro che sarà necessariamente lungo e complesso e che ci potrà magari penalizzare nelle rappresentanze parlamentari ma che ci dovrebbe vedere impegnati in una attività di rifondazione di tipo culturale e organizzativo oltre che politico. Vanno riconsiderati i rapporti con il mondo imprenditoriale, sindacale, cooperativo con tutte le organizzazioni un tempo espressione della nostra seppur modesta capacità di collegamento con le parti sociali, con le realtà della società civile per coinvolgerle in un processo di modernizzazione e adeguamento della politica agli scenari più ampi che l'Europa ed il mondo ormai richiedono. Impresa quasi disperata, ma credo unica possibile per non far morire in Italia una tradizione politica che rischia di scomparire proprio quando più se ne avrebbe più bisogno. |