Intervista a Antonio Del Pennino/L'esperienza referendaria e la pressione dei teocon

Portare le idee dell'Edera al centro del dibattito

"La Voce" ha intervistato il senatore del Pri Antonio Del Pennino.

Senatore Del Pennino, lei è l'unica bandiera repubblicana che il Pri ha al Senato. Quali problemi incontra nel suo lavoro parlamentare nel portare avanti le idee repubblicane, che sembrano patrimonio di tutti, ma vengono osteggiate quando si formulano atti legislativi?

Esiste nell'attività legislativa del nostro Paese una certa schizofrenia. A parole tutti dichiarano che occorre contenere la spesa pubblica di parte corrente, abbandonare la legislazione di dettaglio e gli interventi a pioggia, per affrontare i nodi strutturali del Paese. Nel concreto continua la pratica di una legislazione minore volta a rispondere a contingenti domande e a premiare interessi settoriali che ci si illude possano essere elettoralmente paganti. Ciò caratterizza, come in passato, gran parte delle forze politiche, indipendentemente dalla loro collocazione. Per questo il richiamo costante dei repubblicani a comportamenti coerenti con le intenzioni dichiarate risulta assai spesso inascoltato. Ed il peggio avviene quando nella risposta ad attese settoriali, se non addirittura corporative, si realizzano maggioranze trasversali che superano, in una logica da assalto alla diligenza, le distinzioni tra maggioranza ed opposizione. Vi è in questo una continuità fra la Prima e la Seconda Repubblica, anche se va riconosciuto che la maggior forza che il Governo ha oggi in Parlamento rispetto alle legislature che si sono succedute sino alla metà degli anni novanta, gli consente di resistere meglio alle pressioni dei singoli parlamentari.

Senatore, lei è stato presidente del Comitato per il Referendum sulla procreazione medicalmente assistita. Come ha considerato il risultato referendario: una sconfitta, una semi sconfitta, o una mezza vittoria?In fondo più di un terzo dell'elettorato che va alle urne si è espresso.

Non esito a riconoscere che il risultato del referendum sulla procreazione medicalmente assistita è stato, per chi l'aveva promosso e si era impegnato per il suo successo, francamente deludente. La partecipazione dei cittadini è stata, infatti, inferiore alle nostre meno ottimistiche previsioni. Ma più che la campagna astensionistica promossa dalle gerarchie ecclesiastiche e da molti leaders politici, oltre che da alcune delle più alte cariche dello Stato, credo abbia influito sulla scarsa partecipazione al voto la complessità dei quesiti proposti ed il fatto che quello della procreazione medicalmente assistita è un tema che non tocca direttamente tutti i cittadini, ma riguarda una esigua minoranza. Infatti, uno studio del SWG valuta inferiore al 20% la cosiddetta astensione attiva, cioè quella promossa dagli avversari del referendum.

Ma almeno, alcuni temi, sono stati portati alla ribalta…

Difatti. Ciò detto, peraltro, ritengo che al di là del risultato, il referendum abbia avuto una grande funzione: quella di portare al centro del dibattito politico temi che negli ultimi anni ne erano rimasti ai margini, quali quelli della libertà di ricerca e della laicità dello Stato. Si è sviluppato un dibattito culturale e politico di notevole spessore che è destinato a proseguire nei prossimi mesi e a diventare motivo di riflessione e materia della futura agenda politica.

Passiamo ad un altro argomento. Il Pri nelle grandi aree urbane, ed in particolare a Milano che lei rappresenta, stenta a decollare. I successi degli anni ‘80 sembrano rimasti un ricordo. Perché anche personaggi che hanno svolto ruoli importanti sono oggi disinteressati alle sorti del Pri?

I mutamenti intervenuti nel quadro politico del Paese a metà degli anni ‘90, con l'adozione di un sistema rigidamente bipolare, hanno avuto un riflesso negativo per una forza politica storicamente collocata sul crinale. Nelle grandi aree urbane ed in particolare a Milano dove il Pri raccoglieva un voto d'opinione proprio in funzione di questa sua peculiare posizione politica, indipendentemente dalla presenza di una consistente struttura organizzativa, i riflessi sono stati inevitabilmente più gravi.

E dunque…

La nuova moda bipolare ha indotto anche alcuni quadri e dirigenti a ricercare più comodi accasamenti nelle forze politiche maggiori.

Lei ha lavorato - e bene - per il ritorno all'impegno politico di Franco De Angelis ed ovviamente darà un giudizio positivo su questo ritorno, come peraltro ha fatto il segretario nazionale. Riusciremo a prenotare un'Edera a Palazzo Marino nella primavera 2006?

I limiti e le contraddizioni dell'attuale sistema bipolare, che emergono sempre più chiaramente, stanno facendo crescere nell'opinione pubblica più accorta una nuova attenzione verso le forze politiche dell'area laica e liberal democratica ed in particolare dei repubblicani, il cui contributo può essere determinante per introdurre elementi di razionalità ed equilibrio nell'improvvisato bipolarismo italiano. In questo senso dobbiamo positivamente registrare alcuni ritorni ed alcune nuove adesioni al partito, rispetto alle quali occorre la massima apertura.

Probabilmente ciò non basta…

Il problema più generale che abbiamo di fronte è quello di calare nel concreto un'azione del Pri che colga le attese e le speranze presenti nella società civile, ritrovando quella capacità di proposta politica che ci ha caratterizzato negli anni passati. In questo senso so che la nuova segreteria cittadina del Pri sta avviando un'indagine sui problemi della città da cui potranno emergere indicazioni e suggerimenti, che saranno certamente utili per agevolare una nostra rinnovata presenza amministrativa.

Cosa pensa del partito unico o partito unitario? Il Pri sarà presente alla costituente di questa nuova forma associativa con una propria rappresentanza. Ma qual è la prospettiva, secondo lei?

Il partito unico o partito unitario, così come si sta delineando, mi sembra destinato a rappresentare, nella migliore delle ipotesi, la proiezione italiana del Partito Popolare Europeo. Se non rischia addirittura di trasformarsi in uno schieramento teo-con.

E dove finiscono, allora, le forze laiche e liberali?

In questo senso temo che tale progetto non possa raccogliere in una prospettiva di unità anche i valori ed i programmi dell'umanesimo laico, liberale, repubblicano e socialista, accanto a quelli del riformismo cattolico. E ciò tanto più in una realtà come quella italiana basata su un regime concordatario e sulla presenza di un'istituzione forte extrastatuale come la Chiesa. Valuteremo gli sviluppi del cosiddetto processo costituente, ma ritengo che, anche in Italia come in Europa, Popolari e Liberaldemocratici continueranno a rappresentare storie diverse.