"Mio padre non attendeva un grande Pci riformatore" La seguente lettera di Giorgio La Malfa è stata pubblicata sul "Foglio" del 7 maggio 2004. Al direttore - in un lungo articolo su "Repubblica" dedicato al libro-intervista di Alberto Ronchey, "Il Fattore R.", Eugenio Scalfari scrive che, secondo lui, Ronchey aveva verso mio padre ammirazione, ma anche molte riserve che nascevano dal suo anticomunismo. Ronchey - scrive Scalfari - considerava "pura illusione e per di più pericolosa" la speranza di un'evoluzione del Pci. E questo secondo Scalfari lo allontanava da mio padre, il quale - sempre secondo l'ex direttore di Repubblica - aveva "passato una vita sperando e operando affinché il Pci si trasformasse in un partito democratico e riformista". Ed aggiunge che "Berlinguer fu la sua grande speranza e scommessa, come fu anche la speranza e scommessa di un altro grande borghese e repubblicano, Bruno Visentini". Con buona pace di Scalfari, conoscendo mio padre più di lui, posso dirgli che egli non visse affatto nell'attesa messianica di un grande partito comunista riformatore. Viveva semmai, come scrisse nel 1978 su "Foreign Affaires" nel ricordo e nell'amarezza del fatto che, alla morte di Giovanni Amendola, cioè della figura liberale più nobile dell'Italia pre-fascista, i figli di quest'ultimo abbandonarono la tradizione liberale ed entrarono nel Pci. Mio padre considerò sempre una tragedia che la borghesia illuminata si schierasse con un partito totalitario e per tutta la vita sognò di costruire una grande forza politica democratica non comunista. Egli, alla pari di Ronchey, riteneva il Pci un pericolo: a tal punto che, a differenza di quello che avvenne a me che ho avuto la responsabilità del Partito repubblicano dopo la caduta del muro di Berlino, egli non volle mai rompere con la Democrazia cristiana. Quando Pertini gli affidò il compito di formare il governo all'inizio del '79 mio padre si rifiutò di modificare a favore del Pci, come molti a sinistra gli chiedevano, gli equilibri rispetto a quello che la Democrazia cristiana era disposta a concedere. Fu il fallimento del centrosinistra alla fine degli anni ‘60, l'inflazione crescente e la minaccia del terrorismo che gli suggerì di cercare una sponda nel Partito comunista italiano, pur con tutte le preoccupazioni che quel partito gli poneva sul terreno internazionale. Ma Scalfari ha dimenticato, o forse preferisce dimenticare, che la vita di mio padre si chiuse con una delusione assoluta nei confronti del Pci e di Berlinguer. Quando il Pci votò contro l'adesione italiana allo Sme - ed era il dicembre del '78 - mio padre concluse che Berlinguer era stato richiamato all'ordine dall'Unione Sovietica e che non aveva avuto il coraggio di affermare la sua autonomia. In conseguenza di questo egli sviluppò una nota di assoluto pessimismo sulla situazione del Paese in quanto la Democrazia cristiana era stata privata del suo uomo migliore, cioè Aldo Moro, il Partito socialista era stato affidato ad un uomo, come Craxi, sul quale egli aveva profonde riserve ed il Partito comunista si era rivelato impari al compito. Questa è la ragione per la quale mio padre accettò di entrare come vicepresidente del Consiglio nel governo Andreotti Dc-Psdi e Pri. Questo gli valse attacchi da parte di Scalfari di una ferocia tale che io non ho mai potuto dimenticare. L'altra bugia è quella che riguarda Bruno Visentini. Nell'archivio della Fondazione La Malfa è conservata una lettera del ‘76 al tempo della solidarietà nazionale nella quale Visentini scrive a mio padre che l'apertura al Partito comunista avrebbe distrutto il Pri e minacciato la democrazia. Il Visentini di quegli anni condivideva semmai il giudizio di Ronchey, di Rosario Romeo, di Gilmo Arnaldi e di molti altri sulla pericolosità del Partito comunista. Il Visentini celebrato da Scalfari è molto più tardo. Ed è solo negli anni ‘90, a quanto mi disse D'Alema in un colloquio tempestoso nel ‘95, che poco prima di morire aveva chiesto la tessera del Pds. E per la verità - a stare alla stessa fonte - si era sentito rispondere "che egli era più utile come fiancheggiatore esterno". Tutt'altro che desideroso di maturazione democratica del Pci, mio padre considerò una tragedia della via italiana che a fronteggiare le forze conservatrici, non vi fosse un grande partito liberale di sinistra, come era stato il Partito d'Azione o come poteva essere il Partito repubblicano, bensì un partito comunista nel quale si era riversata tutta o quasi l'intellighenzia. Così per quarant'anni la Democrazia Cristiana ha goduto di una rendita di posizione. Lo Scalfari degli anni Cinquanta e Sessanta queste cose le sapeva. Mi creda Cordialmente Giorgio La Malfa |