India, Gandhi rinuncia all'incarico/Fra i motivi del dietrofront le sue origini italiane Se il Financial Times invita Sonia a lasciar perdere di Mauro Mita Un'alleanza eterogenea di populisti, commercianti, businessmen e comunisti ha ribaltato in India il risultato elettorale, convincendo Sonia Gandhi, l'italiana che fu moglie e nuora di due primi ministri (Rajiv e Indira Gandhi) a rinunciare all'incarico di primo ministro di quella che è chiamata la più grande democrazia del mondo. In questo ripensamento ha contribuito in modo decisivo l'atteggiamento dei due partiti comunisti, il Partito comunista d''India (Cpi) e il Partito comunista d'India – marxista (Cpi – m), che con i loro 63 seggi alla Lok Sabha, la Camera bassa indiana, composta di 543 membri, permettevano al Partito del Congresso, forte di 220 deputati, di ottenere la maggioranza parlamentare. Già all'annuncio dei risultati delle elezioni il 13 maggio, alcuni osservatori avevano espresso il timore che l'India potesse essere risospinta nell'instabilità politica della metà degli anni '90, con un parlamento sottoposto al ricatto dell'estrema sinistra. Che già si era pronunciata soltanto per un sostegno esterno alla coalizione. "Restando all'esterno, i comunisti saranno liberi di criticare tutto ciò che fa il Congresso. Ciò eroderà in permanenza la fiducia nel governo", scriveva l'analista Prem Shanka Jha. La Borsa di Bombay, la più importante del Paese, che arrivava a perdere nel "lunedì nero" dell'India il 15 per cento, era il segno eloquente dei rischi avvertiti da più parti. Il mercato, che si è ripreso con una avanzata storica dell'8,5 per cento all'annuncio che il nuovo primo ministro sarà Mammohan Singh, un sik di settantuno anni, turbante e barba di ordinanza, noto e apprezzato negli ambienti economici per aver dato il via, nel 1991, alla stagione delle riforme, è la controprova di quanto si aspettano borse e investitori Il commento a caldo sul risultato elettorale del "Finacial Times" di Londra, che invitava Sonia a lasciar perdere e a nominare al suo posto l'ex ministro delle Finanze, ha fatto subito capire qual era l'orientamento della finanza internazionale. Altro dato del dietrofront di Sonia Gandhi è stata la martellante campagna contro le sue origini italiane condotta dal Partito del popolo indiano (Bjp), sconfitto nelle elezioni. "Milioni di persone pensano che sarebbe una vergogna per la nazione vedere uno straniero diventare primo ministro. Si metterebbe a repentaglio la sicurezza nazionale", sottolineava il portavoce del Bjp, Prakash Javdekar. Lo stesso partito dava intanto istruzioni ai suoi quadri di organizzare manifestazioni di protesta in ogni capitale degli Stati dell'Unione indiana. "Mille anni di potere straniero, 57 anni di potere indiano, volete tornare indietro?", gridavano martedì a Bangalore migliaia di nazionalisti indu. E' in questo clima che è maturata la sofferta decisione di Sonia Gandhi. "Devo umilmente rinunciare. Non ho mai voluto diventare primo ministro, non è mai stato nelle mie intenzioni", ha detto ai deputati del suo partito. "Mi appello a voi affinché possiate capire la forza della mia convinzione. Non esiste alcuna minaccia contro di me. Voglio dare all'India un governo laico che sia forte e stabile". Si dice che in questa rinunzia abbiano avuto parte anche i due figli, Priyanka e Rahul, anche lui deputato del Congresso. La stampa indiana, inneggiando alla sua decisione, spiega il rifiuto della vincitrice delle elezioni con l'obiettivo di preservare la continuità della dinastia Nehru – Gandhi, sottolineando che in passato la famiglia Gandhi è stata duramente colpita da due assassinii politici, quello di Indira, nel 1984, e quello del marito, nel 1991. Né le dimissioni in blocco dei componenti del Partito del Congresso, né la loro plateale marcia, fino a casa sua, per chiederle di tornare indietro sui suoi passi, le hanno fatto cambiare idea. Per l'autorevole quotidiano "Hindu", si è trattato di uno "stupefacente sacrificio politico", mentre l'"Hindustan Times" scrive che si tratta di una "grazia sorprendente". |