Regioni: un'analisi sulla presenza delle donne negli organismi/I dati dell'Emilia Romagna e il raffronto con le percentuali dei Paesi scandinavi

Una realtà inferiore a quella della propaganda

Le elezioni regionali tenutesi il 3 e 4 giugno scorsi, avrebbero potuto rappresentare una nuova tappa verso una maggiore partecipazione delle donne al mondo politico nelle realtà locali. Nei fatti è stato confermato il predominio quasi assoluto della componente maschile sui banchi di potere. Su questo, anche alla luce della mia recente esperienza di Consigliere Regionale, non posso mancare di fare sentire la mia voce. I dati parlano chiaro: su 715 Consiglieri Regionali eletti lo scorso giugno, solo 91 sono donne, pari al 12% del totale. La tendenza ad escludere la componente femminile è più forte nel centro destra, dove le donne sono solo l'8,6%, mentre nell'Unione sono il 15,6%. Negli schieramenti più deboli le cose vanno invece meglio, le donne arrivano infatti al 23% del totale. Questa tendenza negativa investe purtroppo anche la nostra Regione. Nella Giunta Regionale dell'Emilia-Romagna appena istituita, ad esempio, su 14 Assessori, solo due sono donne. E mentre nella passata Legislatura in Consiglio Regionale c'erano 7 Consigliere su 50, nella nuova Assemblea 2005-2010 le donne sono state ridotte a 5. Davvero una grossa discrepanza fra parole e fatti! Abbiamo portato avanti una lunga battaglia per il recepimento dell'art. 51bis della Costituzione italiana all'interno del nuovo statuto della Regione Emilia Romagna, ma i numeri dimostrano che le buone intenzioni sono rimaste sulla carta. Nonostante i proclami e gli slogan propagandistici, quando si tratta di passare ai fatti e affidare incarichi di responsabilità e prestigio a politici donne, principi come le "pari opportunità" e "uguaglianza effettiva dei generi", vengono purtroppo disattesi. Troppo spesso ci si riempie la bocca di buoni propositi, ma la realtà è che le potenzialità e le capacità della componente femminile sono troppo spesso sottovalutata e non vengono prese nella giusta considerazione. Il risultato non può che essere quello di un impoverimento politico in seno alle Assemblee Consiliari e in generale di una sconfitta di una democrazia come quella Italiana che solo a parole si reputa essere alla pari con i Paesi europei più moderni. Nei Paesi scandinavi, ad esempio, la componente femminile nei luoghi decisionali arriva anche al 40%, un dato quasi quattro volte superiore a quello italiano. L'auspicio per il futuro non può che essere quello che l'Italia si uniformi presto agli standard europei e che anche le Regioni facciano la loro parte per convertire una tendenza che sembra scoraggiante: quella di una democrazia monca, che manca di una componente fondamentale della società moderna, quello di donne emancipate, colte, competenti e preparate che nulla hanno da invidiare ai loro colleghi maschi.

Luisa Babini consigliere nazionale Pri