Il referendum del 12 giugno sulla procreazione medicalmente assistita/L'Italia nella libertà di ricerca e nell'utilizzazione degli embrioni è arretrata rispetto a molti Paesi europei

Impegno per un voto informato e non ideologico

Il 12 giugno saremo chiamati a votare per abrogare non l'intera legge sulla procreazione medicalmente assistita, ma le sue parti più crudeli, che, nel mentre viene riconosciuta all'entità preembrionale una sorta di sacralità, dichiarandola intangibile, prevedono per la donna pratiche che ne mettono a rischio la salute in una serie di obblighi e divieti che sembrano fatti apposta per dissuaderla dal ricorrere alla fecondazione assistita., negando di fatto il diritto alla genitorialità delle coppie sterili o portatrici di malattie ereditarie. Un altro punto che vede l'Italia arretrata rispetto ai principali Paesi europei, in alcuni dei quali pure vigono leggi restrittive, è quello che riguarda la libertà di ricerca e la possibilità di usare gli embrioni inutilizzati per far progredire le conoscenze e poter curare malattie oggi inguaribili. Non sfugge a nessuno, credo, che è più rispettoso della vita umana usare per la ricerca gli embrioni non utilizzati, piuttosto che lasciarli morire, negando, così, una speranza di cura a malati gravissimi.

Se pensiamo che il nostro governo, quando vuole darsi una patente di modernità, fa riferimento ai patti europei (si prenda come esempio quello di Lisbona sulla innovazione e la competitività), perché non sottolineare allora che l'ultimo programma-quadro della ricerca europea consente il finanziamento di progetti di ricerca sulle cellule staminali embrionali? Aldilà del fatto importantissimo e moralmente elevato di poter curare persone già nate, che hanno anch'esse diritto alla vita, ancor più di un ovocita fecondato da 12 ore che rappresenta l'inizio di una vita possibile, perché non considerare anche un altro aspetto: quello della nuova frontiera della biomedicina, che rappresenta anche un fattore di competitività tecnologica ed economica, dalla quale ci taglieremmo fuori.

Per tornare al referendum, noi repubblicani crediamo nel valore della laicità dello Stato, che rispetta il pluralismo culturale ed etico, e per questo non possiamo accettare l'impronta proibizionista, repressiva e ideologica che sta alla base della legge , né l'invito all'astensione che la Conferenza Episcopale ha rivolto ai cattolici, con ciò negando la libertà individuale di decidere secondo coscienza, in una sorta di protettorato morale che pensa di avere il diritto di esercitare; così come il presidente del Comitato "Scienza e vita" per la difesa della legge 40, Bruno Dallapiccola, che in un'intervista ha detto che gli italiani non devono andare a votare perché le questioni sono così complesse che la gente non è in grado di capire.

Allora, innanzitutto, la legge non è stata approvata da un comitato di saggi al di sopra delle parti, ma è il prodotto di una operazione politica della maggioranza, quindi il referendum non è un espediente né dannoso né inutile, ma un diritto di tutti, alla pari di qualunque altra consultazione. In secondo luogo, quella indicazione costituisce un vero e proprio insulto alla intelligenza degli italiani, anche se è vero che questa legge e tutte le questioni riguardanti le biotecnologie pongono l'imbarazzante interrogativo se su questioni così delicate può essere il numero di votanti a decidere, senza il necessario supporto di conoscenze scientifiche, specie in un Paese come l'Italia dove è bassissimo il livello di formazione scientifica di base. Il rischio che per molti il voto diventi ideologico o moralistico c'è, ma allora si tratta di spiegare in ampi dibattiti le ragioni scientifiche, filosofiche ed etiche che rendono problematica la questione ,per rigettare quel concetto di vita puramente biologico che sta alla base della posizione della Chiesa.

Senza arrivare a sostenere, col filosofo Gianni Vattimo, che "contro il diritto incondizionato alla vita" – del resto tante volte calpestato con la teorizzazione della guerra giusta o con la liceità della pena di morte -" si dovrebbe oggi rivendicare la vita nel diritto, cioè che la vita umana comincia quando nasce un soggetto capace di rivendicare diritti e di osservare doveri", però con lui possiamo dire che chi parla di un diritto naturale dell'embrione fa un discorso ideologico, che non rispetta la coscienza di quegli scienziati che sentono il dovere di sperimentare con le cellule staminali per salvare la vita di tanti malati. Parlare di diritto naturale – dice Vattimo- è un fatto autoritario e antidemocratico, perché non contano maggioranze o minoranze e non esiste la libertà collegata alla responsabilità.

Un'ultima considerazione: con la legge 40 il nostro Parlamento si è introdotto nella sfera privata di ognuno di noi e l'impronta laico-liberista del partito di Berlusconi ( che ha deciso di schierarsi secondo le indicazioni del cardinal Ruini) scolorisce sempre più, per seguire le suggestioni neoconservatrici americane, chiudendo una fase della politica italiana e avviando una stagione di notevoli cambiamenti. In tutto questo il referendum costituisce solo un pretesto per una partita che con il destino dell'embrione non c'entra nulla, per i giochi politici di una classe dirigente che vive al di fuori della realtà e che non sa cogliere nemmeno i cambiamenti culturali e sociali in atto.

Mi piace concludere con una citazione. Come diceva bene G.E.Rusconi in un recente articolo su La Stampa "una democrazia autenticamente laica deve fare i conti con ethos divisi e divisivi dei suoi concittadini. Ma nel contempo- proprio per non esporsi all'obiezione di relativismo etico- deve cercare principi etici comuni e quindi definire normative ragionevolmente consensuali. In ogni caso deve evitare norme coercitive dettate da una "visione della vita" che nega la dignità etica di un'altra".

Questo manca non solo nello spirito e nella lettera della legge approvata, ma nel confronto oggi in atto.

Mariaconcetta Schitinelli consigliere nazionale Pri (apparso su "Il Pensiero Repubblicano Romagnolo", aprile 2005)