"Corriere della Sera 21 marzo 2003"/La proposta

Cambiato l'assetto istituzionale ripensare la vigilanza Bancaria

di Giorgio La Malfa*

Durante tutto il dopoguerra la Banca d'Italia ha esercitato poteri vastissimi nei confronti del sistema bancario. Le banche la informavano preventivamente di qualunque operazione di rilievo, ne ascoltavano le opinioni e si attenevano sostanzialmente alle sue indicazioni.

Questo rapporto dipendeva in primo luogo dalla legge bancaria del 1936 che aveva attribuito alla Banca Centrale poteri di autorizzazione preventiva per buona parte delle operazioni creditizie. In secondo luogo, molte banche erano pubbliche e alle sedute dei loro Consigli di Amministrazione partecipavano i rappresentanti della Banca d'Italia. In terzo luogo, le responsabilità nella conduzione della politica monetaria e nella gestione del debito pubblico giustificavano la necessità per la Banca d'Italia di conoscere bene la situazione dei singoli istituti, la liquidità di cui disponevano, i loro impegni sull'estero e così via. Infine, via Nazionale esercitava la vigilanza sulle aziende di credito.

Questa situazione è profondamente cambiata negli ultimi 10 anni. Il Testo Unico delle Leggi Bancarie del 1993 ha eliminato molti dei poteri amministrativi dell'Istituto di Emissione. Le banche, inoltre, sono state largamente privatizzate e quotate in Borsa. Ancor più significativo è che, dal 1999, i compiti di politica monetaria sono stati trasferiti alla BCE. La Banca d'Italia non ha più neppure la responsabilità di eventuali salvataggi bancari il cui onere ricade direttamente sulla finanza pubblica. Resta la vigilanza bancaria, cui si aggiungono i poteri in materia di concorrenza nel campo bancario, sottratti all'autorità antitrust al momento della sua costituzione nel 1990.

In questa situazione, è certamente un'anomalia che, nonostante siano venute meno le condizioni giuridiche ed istituzionali per l'esercizio di quei poteri vastissimi, la Banca d'Italia si comporti oggi come se vigessero ancora le regole e le condizioni precedenti. In molti casi, come nella vicenda della FIAT ed ora delle Generali, essa sembra voler andare oltre la vigilanza ed esercitare poteri sostanzialmente di tipo proprietario rispetto al sistema bancario e alle imprese finanziate o partecipate dalle banche.

I poteri della Banca d'Italia in materia di vigilanza e di concorrenza non possono essere interpretati in questo modo. L'articolo 53 del Testo Unico stabilisce che la vigilanza deve assicurare la sana e prudente gestione bancaria prevalentemente attraverso una sorveglianza dell'adeguatezza patrimoniale e del contenimento dei rischi. In sostanza, mentre in passato il centro dell'attività della Banca d'Italia era l'informazione preventiva da parte del sistema bancario e l'uso discrezionale della moral suasion o del potere di comando, oggi la sua responsabilità è solo quella del controllo della trasparenza e della correttezza degli operatori bancari - un compito importantissimo, che può richiedere anche una qualche informazione preventiva da parte delle aziende di credito, ma che non può comportare una latitudine di poteri ed una discrezionalità identica a quelli che derivavano dall'assetto giuridico ed istituzionale precedente.

Tra l'altro è bene osservare che la vigilanza non è un compito che deve essere necessariamente affidato alle banche centrali. In Italia la responsabilità, fino al 1993, era del Tesoro. In Inghilterra essa è stata recentemente sottratta alla Banca Centrale ed affidata all'equivalente della nostra Consob. In Germania è in corso una riforma che va nello stesso senso.

In conclusione, essendo profondamente mutato il quadro istituzionale, è indispensabile una riflessione su come debbano essere ridisegnati i compiti della vigilanza e tracciati i confini fra questa attività e quelle sia degli organi di governo e di controllo delle aziende di credito, sia delle altre autorità di vigilanza. Per questo è ormai necessario un chiarimento anche di tipo legislativo.

*Presidente della Commissione Finanze della Camera