"L'Espresso" del 27 marzo 2003/Banche e polemiche/Capitalia: i perché di un allarme Un bilancio, mille dubbi Le perdite, lo scarso patrimonio, lo shopping a Trieste di Giorgio La Malfa Il presidente della commissione Finanze della Camera, Giorgio La Malfa, risponde all'articolo di Massimo Riva pubblicato sul numero scorso Ho detto in un'intervista al 24Ore che "la condizione di salute di Capitalia è da definire, con generosità, molto pesante" ed ho aggiunto che "c'è una negligenza di vigilanza da parte della Banca d'Italia." L'affermazione mi è valsa il preannuncio di una querela per diffamazione da parte della banca, una serie di giudizi molto pesanti del Governatore detti in modo che mi venissero riferiti ed ora la perentoria richiesta di Massimo Riva di comprovare le mie affermazioni. Non ho difficoltà a circostanziare quel giudizio. I dati che seguono provengono tutti dai bilanci e da altre comunicazioni di Capitalia. Inizio con l'ultima situazione dei conti che si riferisce alla data del 30 settembre 2002. Nel piano industriale presentato nell'ottobre del 2002 (il quinto dal 1997), si indicava per il 2002 un reddito operativo di 500 milioni di euro. A consuntivo, e a distanza di 5 mesi da quell'annuncio, il risultato al 30 settembre vede una perdita di 249 milioni di euro contro un utile di 10 milioni nel corrispondente periodo del 2001. Quanto al conto economico prima delle operazioni straordinarie, il modo migliore di valutare la situazione di Capitalia è quello di porla a confronto con i dati relativi alle 12 maggiori banche italiane comprese nell'Indice di borsa delle 30 blue chips. Il risultato corrente di Capitalia al 30 settembre 2002 ammonta a 26 milioni di euro, pari allo 0,7 per cento del totale dei ricavi. La media delle altre 12 banche vede un risultato corrente pari al 24,7 per cento dei ricavi. Nel dettaglio, i costi del lavoro di Capitalia incidono per il 39 per cento dei ricavi, contro il 35 delle 12 banche; le spese generali per il 29 per cento, contro il 22 delle 12 banche. Ma soprattutto le perdite su crediti di Capitalia ammontano al 21 per cento dei ricavi, contro un 11 delle banche concorrenti. Mi sembrano dati e confronti macroscopici che avrebbero dovuto e dovrebbero suscitare qualche attenzione in via Nazionale. Guardando lo stato patrimoniale emergono i seguenti dati. I crediti dubbi di Capitalia a fine giugno 2002 ammontavano all'11 per cento dei crediti in bonis. Per le altre 5 maggiori banche italiane questa percentuale è del 4,6, cioè è meno della metà. Capitalia ha inoltre il maggior volume di crediti cosiddetti non-performing cartolarizzati. Se si sommano queste cifre ai crediti dubbi, la percentuale rispetto ai crediti totali sale al 18,7 per cento. Per le 5 maggiori banche, la percentuale sale invece dal 4,6 al 5,8. Anche qui una differenza talmente vasta che dovrebbe far suonare un qualche campanello d'allarme in Banca d'Italia. E infine, il patrimonio di vigilanza. Utilizzando i dati al 30 giugno 2002 e confrontandolo con quello delle cinque maggiori banche, Capitalia risulta avere un coefficiente di solvibilità pari all'8,6 per cento rispetto a un minimo stabilito nell'8 ed a un rapporto del 10,5 delle cinque maggiori banche. Penso che Riva converrà che dati come questi giustificano le espressioni di preoccupazione da me formulate. Essi alimentano, inoltre, una curiosità: posto che in una situazione come questa, lo scarso patrimonio disponibile è assorbito dagli immobilizzi e dal monte dei crediti dubbi, come ha finanziato Capitalia l'acquisto annunziato nei giorni scorsi del 2 per cento delle Generali e quale contributo potrà dare a un bilancio come quello che ho illustrato un investimento che già sconta dopo pochi giorni una notevole perdita in conto capitale? |