"Il Riformista" 23 marzo 2003/Fratture. Attualità di una polemica del 1963 De Gaulle sbagliava, mio padre no. L'Europa non è l'asse franco-tedesco Spezzare l'unità del blocco occidentale nasconde la merce avariata dell'autoritarismo di Giorgio La Malfa E' stato osservato da più parti che, fra le conseguenze collaterali più gravi dell'azione americana di questi mesi, vi è la spaccatura in seno all'Unione Europea. In Parlamento, Fassino e Rutelli hanno ripetutamente mosso l'accusa all'Italia di aver indebolito l'Europa firmando, insieme con la Gran Bretagna, la Spagna e un certo numero di paesi dell'Europa dell'Est, un documento alternativo a quello franco-tedesco. In sé l'accusa è curiosa in quanto il documento franco-tedesco ha preceduto il contro-documento e dunque sarebbero semmai Chirac e Schroeder a dover rispondere della divisione europea. Tuttavia la critica si spiega se si ritiene, secondo una opinione convenzionale, che l'integrazione europea si identifichi con il superamento dello storico contrasto franco-tedesco e non possa che essere costruita attorno alla Francia e alla Germania. In realtà, il problema dell'identità europea è un problema reale. La sua definizione dovrebbe in un certo senso costituire la premessa dei lavori della Convenzione chiamata a disegnare le istituzioni politiche dell'Unione Europea a 25: come si fa a decidere di condurre insieme la politica estera se non si è definita in precedenza una piattaforma comune circa la collocazione dell'Europa nel mondo, il rapporto con gli Stati Uniti, la Russia, il Medio Oriente e così via? In questo senso la crisi irachena sta agendo come una cartina al tornasole di una questione mai affrontata esplicitamente e sulla quale, come si vede in queste settimane, vi sono visioni divergenti. Riflettendo su questi problemi ed in particolare sui rapporti fra l'Europa franco-tedesca e la Gran Bretagna e fra l'Europa e gli Stati Uniti mi sono tornati alla mente due libri: uno, del 1944, di Alain Peyrefitte, nel quale egli riferisce il contenuto dei suoi frequenti colloqui con il generale De Gaulle (C'etait De Gaulle, Fayard 1994), l'altro, un libro che raccoglie gli scritti di mio padre contro il generale De Gaulle (Contro l'Europa di De Gaulle, Edizioni di Comunità, 1964) che sembrano riferirsi alla situazione di oggi. In una conversazione del gennaio 1960 , De Gaulle dice a Peyrefitte che, finché i paesi europei resteranno divisi, essi saranno "una preda facile per i russi. A meno che gli americani non li proteggano". Per questo "la loro scelta è fra essere colonie russe o protettorati americani. Si capisce che abbiano preferito la seconda. Ma devono unirsi per sfuggire a questa alternativa… Bisogna cominciare da un nocciolo duro, da ampliare poi alla Spagna, al Portogallo, all'Inghilterra, se essa si stacca dal Commonwealth e dagli Stati Uniti, e domani chissà la Polonia ed altri, quando la Cortina di ferro si solleverà". A quella visione di un'Europa che deve unirsi per liberarsi dal protettorato americano, rispondeva aspramente mio padre, nel gennaio del 1963, all'indomani della conferenza stampa con la quale il generale De Gaulle aveva posto il veto all'ingresso dell'Inghilterra nel Mercato Comune: "La polemica schiettamente nazionalista del generale De Gaulle pone una inaccettabile distinzione fra la motivazione fondamentale della politica degli Stati Uniti, accusata di neocapitalismo colonialista nei confronti dell'Europa, e la motivazione fondamentale di una presunta intesa di ‘terza forza' delle patrie europee". E aggiungeva: "In questo modo, il generale frattura coscientemente l'unità spirituale del blocco occidentale, per sostituire stoltamente all'idea forza della democrazia occidentale un anacronistico ed inconsistente spirito di nazionalismo europeo, che nasconde in realtà la merce avariata dell'autoritarismo e sarà sempre costituzionalmente privo di qualsiasi richiamo ideale". L'idea di fondo del generale – si legge ancora - è quella di "staccare l'Europa dall'America, costituirla in blocco autonomo spezzando l'alleanza atlantica, trattare direttamente con l'Unione Sovietica". Nelle recriminazioni sulla divisione dell'Europa frequenti nelle polemiche di questi giorni emerge la visione gaullista dell'Europa: un'Europa non alleata degli Stati Uniti, ma unita per fare da contrappeso ad essi. E in questo quadro assume un rilievo particolare, e preoccupante, che alla Francia ed alla Germania si unisca la Russia. L'idea che si formi un triumvirato franco-tedesco-russo è di quelle che non possono essere lasciate maturare senza una adeguata riflessione: basta pensare a quali preoccupazioni una simile prospettiva non potrebbe non suscitare nelle fragili democrazie dell'Europa dell'est, in paesi come la Polonia, per comprendere le ragioni per le quali i polacchi prendano parte oggi all'azione militare anglo-americana in Iraq. Credo che lo scontro fra "due concezioni all'interno della vita europea" del quale parlava mio padre negli anni Sessanta, conservi una piena attualità e imponga a un paese come l'Italia una riflessione attenta. Nel dibattito parlamentare di mercoledì scorso – condividendo la valutazione espressa dal governo circa la legittimità giuridica e l'opportunità politica dell'azione militare anglo-americana – ho detto che potevo convenire sulla non partecipazione italiana all'azione solo in ragione delle responsabilità della presidenza di turno della Ue che l'Italia assumerà fra poche settimane e quindi dell'esigenza di operare per riunire ciò che si va dividendo. E tuttavia, credo sia indispensabile domandarsi se davvero pensiamo che l'ideale unione europea per la quale i democratici italiani si sono battuti nel dopoguerra sia, parafrasando Thomas Mann, una Europa franco-tedesca. |