"Il Sole 24 Ore" 29 febbraio 2004 "...ma resta la fragilità dei Trattati" di Giorgio La Malfa Con l'attacco del cancelliere tedesco Schroeder e del primo ministro francese Raffarin alla politica dei tassi della Bce cade il secondo tabù dell'Unione monetaria europea. Il primo era caduto il 25 novembre 2003 con lo scontro, largamente annunciato, sull'eccessiva rigidità dei limiti di bilancio previsti dal Patto di Stabilità. In questi anni, pur dichiarandosi consapevoli della necessità di introdurre qualche flessibilità, né la Commissione Europea, né l'Ecofin avevano saputo procedere a una revisione della modalità del Patto. Fino a quando Francia e Germania, cui le sanzioni dovevano irrogarsi, si sono ribellate. All'indomani della vicenda, in un'intervista al Sole-24 Ore del 30 novembre, osservavo che quello era solo il primo passo della crisi dell'Unione monetaria europea e aggiungevo: "Bisognerebbe intervenire sulle regole della politica monetaria perché la prossima crisi verrà da lì. L'euro è il futuro candidato." Non era una profezia difficile. Come ho scritto molte volte in questi anni, l'Unione Monetaria Europea ha dei difetti strutturali senza modificare i quali essa non potrà funzionare. Essi riguardano sia la politica fiscale che la politica monetaria. Per la politica fiscale, prima di riconoscerlo, la Commissione Europea ed i Governi hanno dovuto scontrarsi con il deficit dei due maggiori paesi membri e, dopo averlo riconosciuto, non sono riusciti e probabilmente metteranno molto tempo prima di riuscire ad introdurre delle ragionevoli modificazioni. Che questo problema esistesse è stato riconosciuto da molti. La politica monetaria, invece, era e resta un tabù. In realtà ho sempre ritenuto che essa fosse il punto veramente debole, quello destinato a provocare gli scontri che potranno mettere a rischio l'Unione monetaria in quanto tale. Non è possibile infatti che non vi sia alcun organo dell'Ume deputato ad occuparsi dello sviluppo delle economie dell'area, né che l'obiettivo della lotta contro l'inflazione abbia una supremazia rispetto a qualunque altro obiettivo. Questo assetto non è ragionevole e per questo motivo non resisterà nel tempo. Con gli interventi di Schroeder e Raffarin il problema viene di colpo alla superficie. Essi perentoriamente domandano una politica della Banca Centrale che favorisca la ripresa dell'economia europea. Chiedono una quotazione dell'euro più favorevole alle possibilità di esportazione dell'Europa e osservano che una riduzione dei tassi di interesse europei favorirebbe sia gli investimenti interni, sia il ritorno a più ragionevoli quotazioni dell'euro. Si può dare loro torto? E tuttavia faccio osservare che questi interventi sono in diretta violazione dell'articolo 107 del Trattato di Maastricht. Esso stabilisce che "nell'esercizio dei poteri e nell'assolvimento dei compiti e dei doveri attribuiti dal presente trattato e dallo Statuto del Sebc, né la Bce, né una banca centrale nazionale possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni e dagli organi comunitari, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni e gli organi comunitari nonché i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della Bce e delle banche centrali nazionali nell'assolvimento dei loro compiti". Dunque Francia e Germania, di nuovo, come per il Patto di Stabilità sfidano il trattato. Le pronunce dei loro governi sono in diretta violazione dell'articolo 107. Che cosa farà la Bce e soprattutto cosa farà la Commissione? Essa intende aprire, nella sua responsabilità di custode dei trattati, una seconda questione davanti alla Corte Europea sull'argomento? Dunque i nodi vengono al pettine. Francia e Germania hanno perfettamente ragione nel ritenere insensato l'apprezzamento dell'euro rispetto al dollaro mentre gli Stati Uniti crescono al ritmo del 4%, e l'economia europea è stagnante. Ma quale è la sede nella quale l'Europa possa decidere quale politica dei tassi e quale livello dei cambi dell'euro meglio corrispondono alle condizioni attuali ed ai bisogni di sviluppo dell'Europa? Vi è qualcuno che possa ragionevolmente ritenere che una moneta unica oggi per 12 e domani per 20 o 25 paesi europei possa funzionare in questa maniera? Nelle sue memorie appena uscite in Francia, sulle quali varrà la pena di ritornare più diffusamente, Jacques Delors scrive che egli riteneva che l'Unione monetaria dovesse essere affiancata fin dall'inizio da una unione economica. Ma aggiunge che porre questo problema avrebbe solo impedito la firma del trattato di Maastricht. Probabilmente egli ed altri europeisti pensavano che sarebbe stato possibile porre mano successivamente a questi problemi e che si sarebbe potuta calibrare l'Unione monetaria rispetto alle esigenze della politica economica e dello sviluppo delle economie europee. Questo non è avvenuto e non sarà facile che avvenga: accettata una ortodossia e iscrittala in un trattato, è difficile liberarsene. Servirebbe una volontà politica positiva e una leadership europea che allo stato degli atti non esiste. Per questo i tabù saltano e le illusioni dell'Europa si rivelano sempre più tali. |