Un'analisi del pensiero e dell'azione di governo di Ugo La Malfa/Il grande statista è stato ricordato ieri a Padova in occasione del centenario della nascita L'eredità di un lucido precorritore dei tempi Si è tenuto il 26 marzo, a Padova, presso la Sala del Romanino, un convegno su "Banche, imprese e tutela del risparmio". L'incontro era compreso nel programma delle celebrazioni per il centenario della nascita di Ugo La Malfa. Riproduciamo di seguito l'intervento di Maurizio Mistri. di Maurizio Mistri L'azione politica di Ugo La Malfa è stata il portato di un pensiero coerente, di una analisi lucida dei problemi della società italiana e dei suoi bisogni. I bisogni di una società che durante il fascismo e dopo la fine della guerra esibiva un rilevante deficit di modernità. All'uscita dalla guerra l'Italia mostrava una economia estremamente debole; il suo ceto politico oscillava tra rivoluzionarismo verbale e pratiche clientelari; il suo ceto imprenditoriale appariva impaurito dalla dimensione delle sfide che accoglievano un'Italia che sarebbe stata chiamata ad entrare nell'area economica e culturale dell'Europa. Le masse popolari ed i partiti che le organizzavano non sentivano come prioritario il problema della modernizzazione del Paese, e disprezzavano, in larga misura, il richiamo al realismo nella politica. Ciò restringeva le possibilità di azione e di manovra di quei riformisti che, formatisi nella opposizione al fascismo, non si sentivano conservatori e non si sentivano attratti dalle sirene di un comunismo dal volto di Stalin. Penso che a fondamento del pensiero politico di Ugo La Malfa ci sia stata la profonda comprensione dei meccanismi che hanno governato i processi evolutivi che hanno interessato l'economia e la società italiane. Ugo La Malfa è stato studioso attento dei problemi economici e sociali delle moderne società, e lo è stato con un approccio decisamente empirista, basato sulla osservazione dei fatti e la verifica delle ipotesi. Non c'era alcun ideologismo nelle sue posizioni in materia economica; quell'ideologismo che si ritrovava nelle formule cristallizzate della catechesi marxista; ma anche quell'ideologismo che si ritrovava nelle impostazioni aprioristiche di un liberismo conservatore che escludeva ogni ipotesi di interventi correttivi dello Stato. Ugo La Malfa accettava l'idea che nella economia e nella società ci fossero lotte e conflitti, e ne vedeva le valenze positive purché la politica fosse in grado di governarne le dinamiche. Dunque la politica è chiamata a trovare regole di contemperamento dei conflitti sociali ed a garantire alle forze evolutive della società adeguate possibilità di espressione. Si tratta di una funzione nobile della politica a cui le forze politiche italiane, per Ugo La Malfa, non dovevano sottrarsi, imparando a costruire programmi realistici e compatibili con le esigenze dell'economia, nella consapevolezza del fatto che non ci può essere sviluppo civile senza sviluppo economico. Nel patrimonio di conoscenze economiche di Ugo La Malfa c'è la lezione keynesiana e quella del New Deal americano. C'è la magistrale lezione metodologica di Carlo Cattaneo, filtrata dal rigoroso meridionalismo di Gaetano Salvemini. Una lezione secondo cui l'ascesa delle classi economicamente più deboli può essere garantita dalla congiunzione di un quadro di crescita economica e di un sistema di istituzioni aperte. Allora compito della politica è rendere aperta una società chiusa come quella italiana. L'opzione europeista rappresenta la via maestra per aprire la società italiana, per rammodernarla. L'europeismo di Ugo La Malfa, non era un "nazionalismo europeo", semmai contrapposto agli Stati Uniti, ma il naturale complemento dell'atlantismo. La spinta all'integrazione europea è stata pensata da poche illuminate coscienze europee, ed è stata garantita dalla iniziativa politica degli USA. Per Ugo La Malfa l'europeismo politico significava la possibilità di offrire agli italiani un modello di funzionamento della democrazia nel quale viene esaltato il senso della responsabilità individuale e della cooperazione collettiva. Un modello al quale non è estranea la lezione del federalismo statunitense. C'era anche l'europeismo economico, quale si è sostanziato nella creazione del MEC e poi nelle diverse tappe del processo di integrazione europea. L'europeismo economico significava per Ugo La Malfa la creazione di una cornice entro cui potessero dispiegarsi al meglio le forze della creatività economica, contro suggestioni protezionistiche mai sopite e contro suggestioni collettiviste. Europeismo ed atlantismo furono due opzioni fondamentali del pensiero di Ugo La Malfa, due contenuti strategici il cui perseguimento giustificava la costruzione di uno schieramento politico capace di garantirli. Da qui l'alleanza con quelle forze, moderate, che assicuravano la stabilità del quadro generale e da qui la polemica con quella sinistra, allora guidata dal PCI, che era avversa all'integrazione europea ed all'alleanza con gli USA. Nel mentre denunciava il ritardo culturale di una parte della sinistra italiana su temi fondamentali per la vita del Paese, Ugo La Malfa non tralasciava di stimolare la stessa sinistra a farsi europea, a rendersi matura per assumersi ruoli politici significativi nella direzione del paese. Fu il PSI di Pietro Nenni a cogliere il senso del messaggio di Ugo La Malfa, dopo una stagione drammatica per la sinistra tutta, e ciò contribuì a rafforzare l'ancoraggio dell'Italia all'Europa ed a creare le condizioni per avviare un necessario processo di ammodernamento del Paese. L'Italia, dal dopoguerra fino agli inizi degli anni sessanta, aveva vissuto un periodo di veloce sviluppo economico; ma lo conobbe a prezzo dell'accentuarsi di squilibri strutturali. Si erano acuite in modo grave le differenze di reddito fra ceti garantiti e ceti non garantiti. Si erano acuite le differenze economiche fra le regioni del Nord, che avevano potuto approfittare dell'aggancio all'Europa, e le regioni del Sud che ne erano rimaste tagliate fuori. Per affrontare la questione degli squilibri settoriali e territoriali Ugo La Malfa propose la "politica dei redditi", che era una strategia per programmare la ripartizione del reddito nazionale al fine di rafforzare i fattori di crescita e di riequilibrio dell'economia. Il grande contributo di Ugo La Malfa a tale materia lo si ebbe con la "Nota aggiuntiva" al bilancio del 1962. Qualcuno, soprattutto a sinistra, volle vedere nella politica dei redditi uno strumento per imbrigliare il Sindacato. Per Ugo La Malfa la politica dei redditi, invece, non poteva che essere uno strumento per corresponsabilizzare le parti sociali e le forze politiche. Questa impostazione era astratta? Sfido a trovarne una più realistica, capace di evitare quegli errori nella gestione della politica economica che hanno portato il nostro paese ad accumulare il debito pubblico più elevato d'Europa. All'interno del sistema politico italiano Ugo La Malfa non poteva che ritagliarsi il ruolo di ispiratore di processi culturali tesi al rinnovamento della politica, dal momento che alle spalle aveva un piccolo partito. In questo quadro egli era cosciente del fatto che il Sindacato italiano era dominato dalla sinistra e che non si poteva ottenere consenso su di una politica di rigore economico se la sinistra, allora egemonizzata dal PCI, non avesse avviato un serio processo di revisione del proprio metodo di analisi dei meccanismi dell'economia. I ritardi e le contraddizioni che Ugo La Malfa addebitava al PCI non erano di poco conto, sia in materia di politica estera che in materia di politica economica. Tuttavia, la crisi che l'Italia imboccò dopo lo shock petrolifero del 1973/74, e il conseguente doloroso processo di riaggiustamento dell'economia, obbligavano la sinistra ad assumersi responsabilità precise in materia di lotta all'inflazione, di riavvio del processo di integrazione economica dell'Europa, a partire dal Sistema monetario europeo, di riequilibrio dei conti pubblici. Ho fatto cenno agli squilibri fra le regioni d'Italia. Ugo La Malfa era un uomo del Sud, che conosceva la miseria del suo Mezzogiorno. Conosceva la portata di una miseria che favoriva fenomeni di clientelismo e di corruzione. Egli aveva ben presente che non si potevano riscattare le plebi meridionali se non si favoriva un processo di crescita economica delle regioni del Sud. Una crescita basata sullo sviluppo produttivo, sull'ammodernamento del sistema infrastrutturale, sulla diffusione del sapere scientifico. In tale ottica l'intervento dello Stato doveva essere necessario catalizzatore di energie e non certo dispensatore di risorse finanziarie. Mancava, nel Sud, se non con qualche lodevole eccezione, un ceto imprenditoriale capace di rifiutare le pericolose suggestioni del clientelismo politico. La società civile del Mezzogiorno, che pur c'era, era riuscita ad esprimersi attraverso un nucleo di intellettuali meridionalisti che si richiamavano ad una interpretazione moderna sia del liberalismo che del socialismo democratico. Basti ricordare Francesco Compagna e la scuola meridionalista di "Nord e Sud", nelle cui pagine seppero confrontarsi sia il pensiero liberaldemocratico che quello socialista. Va detto che la tradizione liberale del riformismo meridionale si ritrovò quasi tutta nel PRI di Ugo La Malfa. Per Ugo La Malfa lo sviluppo delle aree più arretrate dell'Italia doveva essere assicurato da una adeguata crescita del sistema economico a cui doveva seguire una altrettanto adeguata ripartizione del surplus così prodotto. Per ottenere ciò vi doveva essere una gestione rigorosa della finanza pubblica, basata su scelte capaci di privilegiare gli investimenti piuttosto che le spese. A molti questa posizione di Ugo La Malfa appariva quasi etica, e quindi poco politica. Invece era politica perché razionale. La questione dell'equilibrio dei conti dello Stato si mostrerà, vari anni dopo la morte di Ugo La Malfa, in tutta la sua ampiezza, allorquando l'Italia dovette affrontare il problema dell'ingresso nell'area dell'Euro. L'Italia fu costretta ad entrare nell'area dell'euro perché se non lo avesse fatto sarebbe precipitata in una crisi di tipo sudamericano. Si è trattato di un necessario ancoraggio all'Europa. Ugo La Malfa soleva dire che l'Italia doveva attraversare le Alpi ed entrare in Europa e che doveva evitare di precipitare nel Mediterraneo. Con ciò voleva dire che l'Italia doveva essere un paese sempre più simile ai paesi europei avanzati e non un paese simile a quelli mediorientali. Ebbene l'Italia entrò nell'euro e quella scelta obbligò, ed obbligherà sempre di più, proprio le attuali forze politiche a misurare la compatibilità tra progetti politici e vincoli economici. Negli anni del pur importante miracolo economico le regole che governavano la vita economica erano lontane dagli standard dei paesi più avanzati. Il sistema fiscale era poco equo, la borsa era asfittica. Il capitalismo italiano era debole ed aveva una forte vocazione clientelare. Rammodernare il sistema economico italiano era un compito di estrema complessità. Certo è che alla base di un sistema economico che funzioni bene, tra le altre cose, ci deve essere lealtà nei comportamenti e trasparenza nelle informazioni. In mancanza di regole serie di comportamento è facile che scoppino scandali. Il caso Sindona è stato emblematico. Quando scoppiò la vicenda Sindona, Ugo la Malfa aveva responsabilità di governo. Riuscì a resistere a forti pressioni politiche che chiedevano il salvataggio di Sindona. Non solo si oppose a tale salvataggio ma, nel 1974, impose la creazione della Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), con il compito di garantire la trasparenza delle informazioni sulle società quotate in borsa. Anche in ciò Ugo La Malfa fu un precorritore dei tempi e la sua lezione appare attuale, proprio in una fase della nostra vita economica in cui il sistema bancario è esposto a critiche severe per il ruolo che da alcune parti gli si addebita in vicende che tutti conosciamo. |