La sospensione del passaggio delle funzioni del catasto ai Comuni/Le richieste dell'Anci e l'opposizione della Confedilizia e Confagricoltura Dal Governo un orientamento equilibrato Una nota dell'Anci dei giorni scorsi chiedeva al Governo di non rinviare gli adempimenti per il passaggio delle funzioni del Catasto ai Comuni, per come era stato ventilato. I motivi a sostegno della richiesta erano che " un eventuale rinvio del termine del conferimento a carico dei comuni delle risorse umane , finanziarie e strumentali avrebbe rappresentato una lesione del principio di sussidiarietà e si sarebbe posto in contraddizione con le norme del Parlamento, approvate sei anni fa." Dietro questa "messa in mora" non si nasconde una questione di principio sul decentramento ma un problema sostanziale che riguarda la riforma del Catasto: della struttura che non solo elenca i beni immobili (terreni e costruzioni) esistenti sul territorio nazionale ma li classifica, secondo determinati indici, con lo scopo di accertarne la consistenza, il valore e il reddito e le relative imposte fiscali. La riforma del catasto viene da lontano ed ha sempre avuto effetti rilevanti come dimostrano due esempi geograficamente distanti: in Lombardia la riforma aveva avuto inizio sotto il dominio degli Asburgo e si era conclusa nel 1760 con il cosiddetto catasto di Maria Teresa, un esempio di grande rigore e qualità che aveva portato all'eliminazione dei privilegi tributari ; nel regno di Napoli (1741) la riforma fu caratterizzata dall'introduzione di una imposta reale sulle proprietà ma si scelse, invece, di esentare i beni degli ecclesiastici.Per tornare a tempi più recenti fu una legge del 1939 ad introdurre il catasto edilizio urbano, dal quale discendono molte delle attuali disposizioni.. Il problema odierno riguarda, quindi, possibilità concreta per i comuni di poter gestire l'elenco dei beni immobili esistenti sul territorio comunale, di poterne revisionare gli estimi, determinandone il valore e il reddito e le relative imposte. La questione, oggi sul tappeto, ha avuto inizio con la legge Bassanini n.59 del 97 , che delegava al Governo l'individuazione dei beni e delle risorse da trasferire ai comuni ai fini del decentramento. Il decreto legislativo n112 del '98 che elencava le funzioni mantenute dalla Stato in materia di catasto e quelle da trasferire agli enti locali, stabilì che le "Conservatorie " restassero allo Stato mentre le funzioni catastali passassero ai Comuni, compresa la revisione degli estimi e il classamento. Successivamente sono stati emanati il Dpcm (decreto della presidenza consiglio ministri) del 19 dicembre 2000 che individuava le risorse necessarie e fissava al 26 febbraio 2004 il termine per la conclusione delle operazioni e il Dpcm del 21 marzo 2001 che definiva la distribuzione delle risorse a livello provinciale. Per chiudere queste operazioni sarebbero stati necessari altri due decreti attuativi per il passaggio graduale delle funzioni e il trasferimento del personale. Rispetto a questa conclusione l'Anci sosteneva che il trasferimento ai comuni avrebbe consentito un recupero di 354 milioni di euro evasi ogni anno, mentre le organizzazioni Confedilizia, Uppi, Appi affermavano, con forza, che questa decisione avrebbe portato a un aumento delle tariffe, in base alle quali si calcola l'imponibile Ici, con conseguenze ancora più penalizzanti per i proprietari degli immobili. Ci sembra una preoccupazione più che fondata anche alla luce dell'esperienza dell'Ici che i comuni stanno utilizzando con l'applicazione della aliquota massima ( è prevista una gradazione dal 4 al 7 per mille). A proposito la "Voce" ha dato notizia, nei giorni scorsi, del quadro delle entrate fiscali degli Enti locali e delle Regioni, diffuso dal Dipartimento delle politiche fiscali del Ministero dell'Economia, dal quale si evidenziava che nei primi undici mesi del 2003 c'è stato un vero e proprio boom. Le forti perplessità sorte intorno al decentramento appaiono quindi condivisibili, anche per la dimensione degli 8000 e più comuni italiani, tra cui solo quelli maggiori avrebbero la possibilità di gestire logisticamente tutte le attività catastali. Questo, peraltro, è emerso con evidenza nel sondaggio attivato a suo tempo dall'Agenzia del Territorio presso gli enti locali, le cui risposte pervenute risultavano limitate a 2.885 comuni, che rappresentano soltanto il 37% del totale. In particolare, molti comuni, temendo gli alti costi di gestione, hanno scelto la strada dell'aggregazione nelle Comunità Montane. C'è poi il problema del personale, che il DPCM del 19 dicembre 2000 ha individuato nella misura complessiva di 4000 unità, che fa nascere timori per gli eventuali esuberi e per i disagi connessi agli spostamenti. Ma a parte questi problemi, c'è un fatto sostanziale che rende più che problematica la riforma degli estimi catastali ed è l'impossibilità di riuscire a rendere omogenee le basi imponibili nel momento in cui 8000 comuni dovessero deliberare in autonomia. Occorre, pertanto, riconoscere che una seria riforma degli estimi può essere condotta organicamente solo da una struttura organizzata ed "esperta" come l'Agenzia del Territorio. Aveva quindi ragione la Confragricoltura quando sottolineava che " il trasferimento del catasto ai comuni avverrebbe in uno stato di confusione normativa e nel disordine istituzionale". Ha fatto bene il Governo a fermarsi e come dice il presidente della Confedilizia " il ripensamento del trasferimento del catasto ai comuni è un atto di responsabilità che l'attuale Governo compie , a fronte di decisioni dei precedenti esecutivi ( di centro-sinistra) non sufficientemente pensate." Pino Vita |