Un democratico dell’800/Le intuizioni mazziniane sopravvissute a fascismo e comunismo Superare le tensioni sociali in un quadro europeo Estratto dagli interventi del convegno "Mazzini nostro contemporaneo", Roma, 9 febbraio 2005. di Luigi Lotti* Salvo Mastellone sa che gli dissi, non tanto per amicizia sincera, ma per convinzione profonda, che questi suoi studi degli ultimi anni sono sicuramente i contributi più importanti alla conoscenza di Mazzini che si siano visti da decenni, perché egli ci fa vedere questo Mazzini diverso e ci fa capire meglio il perché di molte cose. Nella pur straordinaria vicenda della Repubblica romana tutte le grandi potenze dicono: spazzarla via, e tutti intervengono, dalla Francia repubblicana, sia pure bonapartista (ma repubblicana), dalla Spagna, dall’Austria. Quello di cui si perde la nozione è che nell’Europa della rivoluzione del ‘48, Mazzini è il leader rivoluzionario europeo, e questo in una prospettiva democratica che naturalmente non poteva essere condivisa né dalle potenze dinastiche assolutiste, e poi nemmeno tanto dal liberalismo, nemmeno dalle tendenze liberali costituzionali che non arrivavano a quel punto. Certo, Mazzini si era posto il problema nazionale, come aveva colto che l’800 aveva come perno dei problemi europei l’affermazione delle nazionalità, ma la nazione che Mazzini voleva rivendicare come insieme di un popolo, non era disancorata dalla democrazia; il nesso era fortissimo, nazione e democrazia, binomio entro il quale si risolvono i problemi economici e sociali. Questo ci consente di collegare la tematica di questo nostro incontro sul Mazzini contemporaneo, proprio a quello che Salvo Mastellone ha detto, perché questa forza di proiezione democratica è poi quella che è sopravvissuta - sui tempi lunghi - del Mazzini originario. O quantomeno del Mazzini sul quale si sono accentrate le indagini e gli studi in Italia. Il ‘48 ha uno straordinario significato; quando il 9 febbraio del ‘49 fu fondata la Repubblica romana, questa nasceva morta. Su questo non c’era ombra di dubbio, di fronte all’Europa che non accettava una cosa di questo genere. Però, nel momento in cui essa muore, lascia un testo costituzionale straordinario, e cioè dà il contributo più alto che il movimento democratico italiano avesse dato al moto risorgimentale. E’ qui, nella Repubblica romana, questa esemplificazione. Che poi non poteva reggere perché il Papa rivendicava il proprio potere temporale, perché le potenze glielo volevano ridare, ma volevano soprattutto togliere di mezzo questo leader rivoluzionario. Roma è Roma: aveva un significato simbolico straordinario, qui si faceva la democrazia in Europa. E quindi bisognava cancellare questa esperienza; però il segno rimane. Il problema che si pone dopo è perché nelle vicende che seguono, nei decenni che seguono, Mazzini cede e tende a perdere questa propria connotazione? Io credo si possa individuare tutto ciò in alcuni motivi: ad esempio, che la fase della rivoluzione europea è ferma, è finita, la fase della rivoluzione in Europa è finita. C’è solo un ulteriore slancio rivoluzionario, 20 anni più tardi, che è la Comune di Parigi, ma proprio perché ha connotazioni classiste esasperate viene schiacciata subito. E non c’è più una connotazione di rivoluzione democratica: cioè l’avvento della democrazia è affidato all’evolversi lento, graduale, possibilista, degli Stati liberali. In secondo luogo perché comunque il problema della nazionalità - anche se non totalmente - ma della nazionalità italiana, della nazionalità germanica, è risolto, per forte spinta interna, inserita in un quadro di conflitti internazionali. E poi fondamentalmente perché il problema sociale viene assunto dal marxismo. In questa contrapposizione frontale di una classe proletaria contro questo capitalismo egemone, si perde la connotazione democratica e si perdono le connessioni persino con il nesso nazionale democratico. Nucara ricordava prima e anche La Malfa, l’intuizione straordinaria di Salvatorelli del ‘52, nelle trasmissioni alla radio, in assenza di televisione, che venivano fatte su figure del Movimento Repubblicano in Italia, così come su figure del movimento socialista o figure del movimento cristiano sociale, e poi pubblicate in edizioni di grande importanza. Salvatorelli si ferma su Mazzini, nel ‘52, quando fa la trasmissione, con Stalin vivo. C’è una contrapposizione frontale, con una guerra fredda al massimo della tensione. Salvatorelli dice che, se nella seconda metà del secolo decimonono, Marx aveva sconfitto Mazzini, nella seconda metà del ventesimo, cioè quello appena cominciato, quando egli parla, Mazzini supera definitivamente Marx, e le linee maestre - soprattutto di ispirazione fondamentale del pensiero sociale - ritornano di piena attualità. Uno si domanda: ma come faceva? Ora, al di là delle capacità di previsione di Salvatorelli, il dato di fatto che poi noi abbiamo visto - senza entrare nel merito della tragedia o delle straordinarie vicende che hanno accompagnato il ventesimo secolo - è che il ventesimo secolo ha visto sul piano delle proiezioni, dello sviluppo, sul piano delle proiezioni della democrazia, sul piano della soluzione del problema sociale, una contrapposizione durissima e tragica di tre ideologie, di tre posizioni: il fascismo, il comunismo e la democrazia. A conti fatti la democrazia ha vinto, questo è un dato di fatto, dopo tutte le tragedie che si sono viste nel ventesimo secolo. Dei tre cardini, delle tre ipotesi, solo la democrazia è rimasta, perché ha vinto la partita, e gli altri no. Il fascismo si è suicidato con la seconda guerra mondiale; il comunismo è andato in collasso per consunzione interna o per incapacità interna di corrispondere alle esigenze di democrazia e di libertà e anche di sviluppo economico. A questo punto allora si riesce a comprendere la forza della previsione di Salvatorelli di 40 anni prima - la seconda metà del ventesimo secolo - e anche di Mazzini. Naturalmente questo coincide con tutta una serie di sviluppi che sono in tutto corrispondenti con quella che era la impostazione democratica mazziniana, seppure con gli adeguamenti che il mondo contemporaneo comporta: ma intanto c’è una democrazia consolidata all’interno dei singoli paesi. C’è l’unificazione europea. E una fratellanza universale che, se vogliamo, è debole, ma che comunque ha dei cardini fondamentali nella Dichiarazione dei diritti umani fatta in sede di Nazioni Unite, con valori universali. E poi la questione sociale, naturalmente superata o comunque molto modificata, anche in virtù dello straordinario sviluppo economico e sociale. Allora, tutto questo, è la trasposizione di come Mazzini vedeva lo sviluppo di una democrazia all’interno delle singole nazioni, in un quadro di unificazione europea e in un quadro di superamento delle tensioni sociali mediante il veicolo solidale e associativo, e ovviamente anche una forma di sviluppo economico, in un quadro di proiezione di fratellanza universale che egli sentiva in termini vaghi - e che ancora oggi non è proprio presente, ma comunque, sul piano dei principi, almeno c’è. In questo senso credo che l’evolversi spesso tragico delle vicende politiche europee - e non solo europee - del ventesimo secolo abbia portato poi a rendere più che mai presente e viva questa ideologia. *Università di Firenze, Facoltà di Scienze Politiche "Cesare Alfieri" |